Tasuta

Messaggi dallo Spazio

Tekst
Märgi loetuks
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

CAPITOLO DIECI

Kevin sedeva nella sua stanza, senza ascoltare nulla. C’erano segnali registrati dagli scienziati con le loro attrezzature a lungo raggio d’azione, ma nessuno di quei segnali si trasformava in parole nella sua mente. Nessuno di essi sembrava avere alcun significato.

Kevin stava iniziando a preoccuparsi della cosa, e sembrava che non fosse il solo.

“Perché non senti nulla, Kevin?” chiese il professor Brewster. Lui e la dottoressa Levin stavano lì a guardare, aspettando qualsiasi cosa potesse succedere.

Kevin non aveva una risposta. “Non lo so. Magari non c’è niente da ascoltare.”

“Devi tentare, Kevin,” disse il professor Brewster con sguardo di disapprovazione, come se la soluzione fosse semplicemente fare di più, o spingere oltre le difficoltà del contatto.

“David,” disse la dottoressa Levin. “Non fare pressione su Kevin. Non vedi che sta sempre peggio?”

Kevin sapeva che quella parte era vera. Aveva iniziato a notare un piccolo tremito ora alla mano sinistra, che scompariva se la contraeva, ma che ricominciata rapidamente ogni momento che si sentiva stressato. Il che si verificava per la maggior parte del tempo ora, all’interno dell’istituto di ricerca.

“Allora dobbiamo fornirgli maggiore attenzione medica,” dichiarò il professor Brewster. “Kevin, devi capire, ho dei dipartimenti del governo che mi chiamano di continuo per sapere cosa stia succedendo. Prima mi ha telefonato un generale a quattro stelle che voleva sapere se ci fossero delle potenziali applicazioni militari per queste informazioni. Con il presidente che vuole sapere tutto quello che succede, non è il momento adatto per non essere in grado di dire nulla.”

“Non posso tradurre delle cose se non ci sono,” disse Kevin. Cosa volevano che facesse? Che si inventasse le cose? Magari pensavano ancora che lo stesse facendo, nonostante tutto. Kevin odiava quel pensiero.

“Forse hai solo bisogno di una pausa,” disse la dottoressa Levin. “Vai a fare una passeggiata attorno all’istituto, cerca di rilassarti un poco, e possiamo tornare più tardi ad ascoltare i segnali, quando ti sarai un po’ riposato.”

Kevin annuì e uscì tra i corridoi, decidendo di andare a cercare sua madre. Adesso, quando non era nella sua stanza, la trovava di solito da qualche parte nei pressi di dove Phil lavorava, o nel piccolo spazio che il centro di ricerca le aveva dato in modo che potesse stare vicina a Kevin. Decise di controllare prima lì e partì lungo i corridoi.

Ora pareva esserci più gente nell’istituto di ricerca, rispetto a prima. Kevin poteva vedere persone con l’uniforme militare e altri in abito elegante e con gli auricolari alle orecchie. Tre di loro, con il badge dell’NSA, si fermarono al suo passaggio e lo guardarono come se si chiedessero come potessero permettergli di girovagare al quel modo per i corridoi.

Una delle persone più strane lì era un uomo che sembrava essere sulla quarantina, con i capelli corti e la postura eretta di qualcuno appartenente all’esercito, anche se indossava una giacca in pelle e un paio di jeans invece dell’uniforme, e chiaramente non si faceva la barba da una settimana.

“Ti stai chiedendo chi sia,” disse quando Kevin lo fissò.

Kevin annuì nervosamente. Sospettava che alcune persone non avrebbero reagito tanto bene vedendosi fissate a quel modo.

“Hai un buon istinto,” disse. “Il numero di scienziati che mi sono passati accanto senza chiederselo… con tutta questa gente che va e viene, chiunque potrebbe entrare qui se non stessero attenti.”

“Chiunque?” chiese Kevin. “Ma lei chi è?”

“Mi chiamo Ted,” disse porgendogli la mano. Un gruppo di soldati passò loro accanto e Ted li salutò con un cenno. Con sorpresa di Kevin, uno di loro lo salutò brevemente.

“Siete dell’esercito?” chiese Kevin. “Della CIA? Della polizia?”

“Qualcosa del genere,” disse Ted. Rimase a pensare un momento. “A dire il vero, niente del genere in questi giorni. E tu sei Kevin, il ragazzo che è capace di decifrare i segnali alieni.”

Era probabilmente la prima persona che lo descriveva correttamente. La maggior parte della gente sembrava pensare che lui ricevesse un flusso dal vivo proveniente da una civiltà aliena, o che potesse realmente parlare con loro. Questo gli fece venire voglia di fermarsi a parlare con quest’uomo, ma lo stesso c’era qualcosa nella sua presenza che lo fece esitare. C’era qualcosa che non andava.

“Scusi,” disse Kevin. “Devo andare.”

“Va bene, Kevin,” disse l’uomo. “Sono sicuro che ci rivedremo presto.”

Kevin corse via. Poteva praticamente sentire Ted che lo guardava mentre si allontanava. Trovò sua madre nella piccola camera da letto che l’istituto le aveva fornito perché potesse stare vicina.

“Kevin, stai bene?” gli chiese. “Sei un po’ pallido.”

“Sto bene,” disse Kevin. “Mamma, c’è un uomo qua fuori, e non sono sicuro…”

Barcollò un poco mentre la stanza ondeggiava. Un attimo era dritto in piedi, e quello successivo si trovava steso a terra, con tutta la gente attorno a lui. Gli ci volle un attimo per capire che doveva aver avuto un attacco. C’erano medici e ricercatori, e ovviamente sua madre, ma nessun segno dell’uomo che aveva visto prima.

“Sto bene,” disse Kevin, sforzandosi di mettersi a sedere. Si sentiva ancora frastornato e solo il braccio di sua madre attorno alle sue spalle gli impedì di ricadere indietro.

“Non stai bene,” gli disse. “Vieni, ti riportiamo nella tua camera, e poi andrò a chiedere al professor Brewster perché non si sta prendendo cura del mio bambino.”

“Mamma,” riuscì a dire Kevin, perché lui non era un bambino. Aveva tredici anni. Lo stesso permise a sua mamma di aiutarlo a tornare verso la sua stanza. A un certo punto durante il tragitto Phil si unì a loro e i due più o meno lo sostennero tra loro fino a che non arrivarono a farlo sdraiare sul suo letto.

“Vado a capire perché non si stanno preoccupando della tua salute come dovrebbero,” disse sua madre, e partì con l’espressione determinata di qualcuno che doveva arrabbiarsi per qualcosa prima di iniziare a gridare.

“Immagino che dovremmo capire esattamente cosa stia succedendo,” disse Phil quando se ne fu andata. “Cosa dici, Kevin? Sei pronto per altri esami?”

“Altri esami?” ribatté Kevin.

Sì, perché Phil voleva fare una risonanza magnetica, e poi degli esami del sangue. Kevin non si era reso conto che nelle ultime due settimane era arrivato a odiare gli aghi che lo pungevano, perché sembrava che tutti volessero il suo sangue per qualcosa. Ricercatori e staff medico andavano a venivano, tutti spiegando quello che avrebbero fatto e senza che nessuno usasse parole che Kevin potesse capire chiaramente.

“Abbiamo fatto dei progressi con i medicinali anti-crisi,” disse a Kevin una delle infermiere, “ma al momento i dottori stanno discutendo con tutti gli altri, chiedendo se sia la cosa migliore.”

Il che significava che erano preoccupati che questo potesse bloccare la sua abilità di capire il segnale, se mai si fosse ripresentato. Kevin li poteva immaginare mentre tentavano di bilanciare la possibilità di perdere delle informazioni che potessero condurre agli alieni, con la possibilità che Kevin potesse morire e non dar loro nient’altro. Forse solo alcuni di loro pensavano a ciò che tutto questo significasse per lui, e fino ad ora nessuno aveva pensato di chiedergli che cura volesse.

“È la cosa migliore?” chiese Kevin.

L’infermiera scrollò le spalle. “Ufficialmente non dovrei avere un’opinione al riguardo. Non ufficialmente… ho sentito che un paio di medici stanno parlando di usare delle varianti delle terapie genetiche sviluppate per persone che soffrono di altre malattie, come la malattia di Alexander.”

“Pensavo che non ci fosse niente del genere a disposizione per me,” disse Kevin, ripensando alla consultazione con il dottor Markham e tutti quelli che avevano fatto seguito.

“Non c’era, ma al momento hai dalla tua parte alcuni dei maggiori cervelli del paese. Se c’è qualcuno che può fare qualcosa su misura per la tua patologia, quelli sono loro.”

E poi Kevin si sarebbe trovato sottoposto a una cura sperimentale che avrebbe potuto risolvere il problema, o fare nulla, o peggiorare le cose. Valeva la pena di rischiare di perdere completamente il segnale alieno?

“Per il momento però hai visite.”

Fece un cenno verso la porta e la piccola figura entrò. Kevin sgranò gli occhi vedendo Luna, con il suo atteggiamento casuale, come se avesse appena fatto una chiamata a casa sua per vedere se voleva andare a fare un giro in bici fino al parco.

“Luna? Come se arrivata qui?”

“Mi ha portata mia mamma,” disse lei con un sorriso. “Perché tua mamma ha pensato che ti avrebbe fatto piacere vedermi.” Gli porse un’arancia, poi gliela lanciò. “Non ho uva.”

Kevin la afferrò goffamente, mentre Luna si sedeva sul bordo del letto. La sua espressione mutò da felice di vederlo a preoccupata.

“Va tanto male?” gli chiese, e buona parte della sua solita allegria era scomparsa dalla sua voce.

“Non lo so,” disse Kevin. Distolse lo sguardo per un momento. “Beh, in un certo senso immagino che lo sappiamo.”

Luna gli mise una mano sulla spalla. “Possono anche aver detto che morirai, ma io mi rifiuto di lasciarti morire, per il momento, Kevin. Non mi sono neanche ancora pazzamente innamorata di te.”

Kevin rise. “Se devo aspettare questo, potrei vivere per sempre.”

“Vero,” disse Luna, ma il suo sorriso non le arrivava fino gli occhi come al solito. Kevin poteva vedere quanto le costasse dover essere forte per lui, dover essere allegra.

 

“Va bene piangere, se vuoi,” le disse.

“Come se stessi per piangere,” rispose Luna, anche se sembrava di poter scoppiare da un momento all’altro.

Non pianse, ma lo abbracciò, tanto forte che Kevin pensò che gli si spezzassero le costole. Si sorprese a notare il suo buon profumo.

“Mi sei mancato, sai?” gli disse.

“Anche tu mi sei mancata,” le assicurò Kevin. Le aveva detto che andava bene piangere, ma ora era lui quello con le lacrime che gli salivano agli occhi.

“Ehi, non intendevo renderti triste,” disse Luna. “Uno dei tipi dell’esercito in corridoio potrebbe spararmi per una cosa del genere.”

Bastò a far ridere Kevin. Luna aveva sempre avuto un talento per questo.

“Come vanno le cose là fuori?” le chiese. “Nel mondo reale? Come va a scuola, o alla TV? Sono stufo che tutto ruoti attorno alle cose che posso vedere.”

“Spiacente di deluderti,” disse Luna. “Ma si parla un sacco di te alla TV. Ora ci sono quasi sempre dei giornalisti a casa tua, e la gente parla e parla, discutendo se questo sia vero, o una bufala, o una campagna pubblicitaria sfuggita di mano. C’è anche uno strano culto alieno che è iniziato, con la gente che indossa antenne e se ne va in giro a sostenere che gli alieni ci salveranno da tutto, a partire dal disastro ecologico fino ai prezzi nei negozi.”

“Te lo stai inventando,” disse Kevin.

“Forse la cosa delle antenne sì,” disse Luna. Si guardò attorno. “Dev’essere tranquillo qua dentro. C’è davvero silenzio.”

“C’è stato molto più caos da quando la gente ha scoperto quello che so fare,” disse Kevin. “E passo la maggior parte del tempo ad ascoltare segnali, quindi non è esattamente una biblioteca.”

Luna fece il tipico sorriso di qualcuno che di solito chiacchiera comunque quanto vuole quando va in biblioteca.

La tranquillità comunque non durò molto, perché il professor Brewster, la dottoressa Levin e la madre di Kevin entrarono insieme.

“State spingendo troppo Kevin,” stava dicendo sua madre.

“Stiamo davvero cercando di non farlo, Rebecca,” le assicurò la dottoressa Levin. “Non abbiamo alcun controllo sui segnali che riceviamo, e Kevin è capace di fermarsi quando ne ha bisogno.”

“E oggi Kevin non ne ha praticamente ascoltato nessuno,” disse il professor Brewster. “E poi sta ricevendo migliori cure qui di quello che sarebbe stato possibile in qualsiasi altra parte del paese.”

“È… vero,” ammise sua madre. Aveva comunque un tono piuttosto riluttante.

“Ci stiamo prendendo cura di suo figlio,” continuò il direttore dell’istituto. “E Kevin sta facendo un lavoro importante qui. E a proposito di questo, Kevin, te la senti di andare davanti alle telecamere?”

“Ora?” chiese Kevin. Non ne era sicuro.

“Circolano delle voci che tu non stia bene oggi, e pare una buona idea far vedere alla gente che invece sei in salute,” disse il professor Brewster.

“Anche se non è vero?” chiese Luna, accanto a Kevin.

“Soprattutto per questo motivo,” disse il professor Brewster. “E comunque la gente sta aspettando di sentire cos’altro Kevin abbia da dire. Kevin?”

“Non sei costretto a farlo,” disse sua madre.

Kevin annuì. “Va bene. Mi sento molto meglio ora. Se può aiutare, lo farò.”

***

Kevin si sentiva come se stare lì in piedi davanti alla gente dovesse essere più facile. Non stava facendo niente, dopotutto, che non avesse già fatto prima. Aveva mostrato loro quello che sapevano fare alle porte della struttura, e nella conferenza stampa prima. Lo stesso era nervoso con tutta quella gente a guardarlo.

“Andrà tutto bene,” gli disse Luna. Come poteva sempre indovinare come lui si sentisse? “E non puoi tirarti indietro adesso. Voglio vedere quello che fai con la roba degli alieni.”

“Roba degli alieni,” ripeté Kevin. “Ci serve decisamente un nome migliore per definire questa cosa.”

Lo stesso avanzò per portarsi di fronte alla folla. C’erano più persone oggi, ammucchiate in ogni angolo della sala conferenze dove Kevin doveva esibirsi per loro. C’erano giornalisti, ovviamente, scienziati, gente del governo…

… e Ted che lo guardava con intensità dalla folla.

“Quel tipo laggiù,” disse Kevin.

“Quale tipo?” chiese Luna.

“L’ho incontrato nei corridoi mentre stavo cercando mia mamma, e mi è sembrato… non lo so, fuori posto. Pareva che potesse essere uno dei soldati, ma mi ha detto che non lo era più. Non so neanche se dovrebbe essere qui.”

“Pensi che sia un pazzo?” chiese Luna. “Pensi che sia qui per ucciderci tutti?”

“Non l’ho pensato fino a che non l’hai detto,” disse Kevin. Ora che lei l’aveva detto, Kevin si trovò con gli occhi fissi nel punto in cui si trovava Ted. Si chiese se avrebbe dovuto dire qualcosa a qualcuno.

“Tempo di fare le tue cose, Kevin,” disse il Professor Brewster spingendolo verso il centro della piattaforma che avevano allestito. “Salve a tutti, come potete vedere Kevin sta bene, e alcune delle voci che hanno circolato qua fuori sono decisamente esagerate.”

“Quali voci?” gli chiese Kevin, trovandosi poi con gli occhi ancora puntato su Ted. “Professor Brewster, c’è un uomo là fuori che…”

Il Professor Brewster lo ignorò. “Kevin è piuttosto stanco oggi, però, quindi faremo questa cosa nel minor tempo possibile. Kevin?”

Kevin fece un passo avanti e si infilò le cuffie, capendo che era probabilmente meglio andare avanti con questa cosa. Il problema era che c’era ancora silenzio, niente di nuovo da tradurre, nessun segnale in ingresso. Rimase lì in silenzio per diversi secondi, sentendosi sempre più imbarazzato. Peggio di tutto, non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Ted, convinto che nel momento in cui l’avesse fatto, l’uomo avrebbe fatto qualcosa.

Fu allora che un uomo completamente diverso, verso la parte anteriore del salone, iniziò a gridare. “Sei il male!” urlò. “Porterai gli alieni qui addosso a noi tutti!”

Corse in avanti, e anche se aveva un pass della stampa ed era vestito con un abito elegante, c’era qualcosa di selvaggio nei suoi occhi. Si lanciò contro il palco e Kevin lo vide spingere di lato Luna, facendola cadere stesa a terra.

“Luna!” gridò Kevin, ma non c’era tempo per aiutarla, perché l’uomo stava ancora correndo verso di lui, e ora Kevin poteva vedere che aveva un coltello in mano. Afferrò Kevin e un attimo dopo era dietro di lui, la lama premuta contro la sua gola.

“Stai tentando di portarli qui. Stai tentando di far loro distruggere noi tutti. Devo fermarti, a qualsiasi costo.”

Kevin non aveva mai avuto così tanta paura prima d’ora, ma la parte più strana era che la maggior parte di quella paura non era per se stesso. Luna era stesa a terra dove l’uomo l’aveva fatta cadere, e ora Kevin si chiese se avesse potuto pugnalarla solo perché si era trovata in mezzo.

“Tranquillo amico.”

Mentre Kevin aveva cercato dove si trovasse Luna, Ted, tra tutti i presenti, era salito sul palco e teneva espertamente una pistola puntata con entrambe le mani.

“Se metti giù il coltello, possiamo parlarne,” disse.

L’uomo dietro a Kevin non abbassò il coltello dalla gola. “È parlare il problema. È parlare con loro. Li sta portando qui per ucciderci! No, stai indietro!”

Sottolineò l’ordine puntando il coltello verso Ted che avanzava. Con il coltello spostato per un momento dalla sua gola, Kevin fece l’unica cosa che gli venne in mente e si lasciò cadere a terra.

Risuonarono due spari, tanto forti da sembrare assordanti. Kevin sentì qualcosa di metallico cadere sul pavimento, seguito da un tonfo più sordo un secondo più tardi. Un istante dopo Ted era lì che lo tirava in piedi.

“Non guardare in giro. Ci sono cose che un ragazzino non dovrebbe vedere. Corri dagli altri.”

Kevin avrebbe voluto fare tutto questo. Voleva correre da Luna e vedere se stava bene. Voleva correre da sua madre che in quel momento stava spingendo nel caos di gente per andare verso di lui. Voleva fare tutto questo, ma non poteva, per un semplice motivo.

“Sta arrivando un segnale!” disse.

CAPITOLO UNDICI

Kevin poté sentire il messaggio che arrivava, il segnale che iniziava a farsi sentire nelle cuffie, gli inizi di una traduzione che cominciavano a farsi strada in lui. Stava accadendo ora, che lui lo volesse o no.

“Non penso che abbiamo molto tempo,” disse. “Sento che sta arrivando.”

Già la gente si stava affollando attorno a lui. C’era sua madre che gli teneva un braccio attorno alle spalle come a poterlo proteggere da qualsiasi cosa. C’erano la dottoressa Levin e il professor Brewster, entrambi con espressione preoccupata. Con sollievo di Kevin, anche Luna era di nuovo in piedi. Non era stata pugnalata. Kevin corse da lei e la abbracciò.

“Stai bene?” le chiese.

“Dipende,” disse. “Quanti Kevin dovrebbero esserci?”

Kevin scosse la testa. “Non scherzare. Ero preoccupato per te.”

“Tu eri preoccupato per me? Non ero io quella con il coltello alla gola.”

In tutto questo ovviamente le telecamere continuarono a riprendere. Non si sarebbero mai fermate nel mezzo di un momento così drammatico.

Il professor Brewster pareva avere paura che Kevin potesse rompersi. O forse stava solo fissando l’uomo morto dietro a Kevin, quello che lui non osava girarsi e guardare.

“Cosa sta succedendo?” chiese. “Perché non portiamo Kevin fuori di qui?”

“Dice che sta arrivando un altro messaggio,” spiegò Ted.

Kevin non sapeva come spiegarlo in modo più semplice di così.

“Beh, tienilo fermo lì fino a che non ti avremo portato al sicuro,” disse il professor Brewster, ma di certo doveva sapere ormai che non funzionava così.

Kevin strinse i denti. “Non riesco a controllare quando un messaggio arriva. Lo ricevo e traduco e basta.”

“Perché… perché è un problema se ricevi il messaggio qui?” chiese Luna. Sembrava tremante, il che era comprensibile dato quello che entrambi avevano appena passato. Lo stesso era lei a fare le domande giuste, non il professore.

“Perché ci saranno le coordinate per le capsule di fuga,” disse Kevin. “Ne sono certo. Cos’altro potrebbe essere?”

“Hai ricordato i numeri del sistema prima,” sottolineò Luna. “Potresti ricordarti anche questo.”

“E se fosse un elenco più lungo?” ribatté Kevin. “E se mi perdessi qualcosa?”

Luna indicò le videocamere, e Kevin si rese conto che aveva ragione. Tutto quello che doveva fare era parlare, e tutto quello che avesse detto sarebbe stato registrato da così tante videocamere che era impossibile addirittura contarle. Tutto sarebbe andato direttamente nel mondo intero in un istante.

Andò verso di loro, e proprio in quel momento il segnale lo colpì.

La scia di numeri sembrò durare all’infinito. Non c’era da meravigliarsi che gli esseri che li stavano inviando avessero avvisato Kevin di ciò che stava arrivando. Avevano voluto dargli la possibilità di prepararsi a registrarli in qualche modo, in modo che le informazioni non andassero perdute. Ogni volta che Kevin finiva di ripetere una striscia di numeri, una nuova scia di cifre e simboli iniziava quasi senza lasciargli il tempo di riprendere fiato. La traduceva man mano che arrivava, tremando per lo sforzo, o forse solo per i postumi di tutto quello che era successo solo pochi minuti prima.

Recitò numeri e lettere in una lunga e quasi infinita fila, ma la verità era che, per la prima volta da quando Luna lo aveva aiutato a capire il collegamento con il sistema Trappist, non sapeva esattamente cosa tutto questo significasse.

Alla fine la scia di numeri arrivò a un punto d’arresto e Kevin rimase fermo in piedi cercando di riprendere fiato.

“È tutto?” chiese Luna. “Kevin, stai bene?”

Kevin riuscì ad annuire, anche se pure quel semplice gesto era uno sforzo in quel momento. Non era sicuro di quale parte della domanda stesse confermando.

La dottoressa Levin arrivò e cinse le spalle di entrambi.

“Ok,” disse loro, “riportiamovi entrambi dentro. Dopo tutto quello che è successo, immagino che un sacco di gente voglia parlare con tutti e due, ma io voglio farvi dare una controllata prima, per assicurarmi che tutto sia a posto. Non mi piace come entrambi siate arrivati così vicini a farvi seriamente male.”

Mentre si voltavano per andare, Kevin sentì le grida dalla folla riunita che iniziava a ridestarsi dal sorpreso silenzio che poco prima aveva come imbavagliato tutti.

 

“Kevin, quando verranno gli alieni?” gridò un uomo.

“Kevin, cosa significa vita?”

“Quando ammetterai che è tutta una bufala?”

“Sei ferito?”

C’erano così tante domande diverse che venivano urlate contemporaneamente che per un momento o due Kevin provò l’unico desiderio di andarsene e lasciarli lì. Ma non lo fece. Gli pareva di dover dire qualcosa, e questa volta non aveva niente a che vedere con le pressioni derivanti dai segnali alieni.

“So che molti di voi si aspettano che vi dia delle risposte, ma la verità è che non ne ho molte,” disse. “Sono solo un ragazzo. Non ho nessuna conoscenza speciale. Non so neanche perché sono io a ricevere questi messaggi che gli alieni stanno inviando.”

“Cos’è successo oggi?” chiese un giornalista. “Perché tutti questi numeri? Di cosa si tratta?”

Kevin piegò la testa, cercando di elaborare le giuste parole che gli era permesso dire. Poi pensò che probabilmente era il modo sbagliato di pensarci. Il fraintendimento di questo aveva causato quest’altro. Qualcuno aveva tentato di ucciderlo oggi, perché non aveva capito le informazioni che lui aveva da dare. Perché, dato lo spazio per farlo, era balzato alla conclusione errata.

“Qualcuno ha tentato di uccidermi oggi,” disse, “perché pensava che le informazioni che sto ricevendo fossero tanto pericolose che ne valesse la pena.”

“È così?” gridò qualcuno.

Kevin scosse la testa. “Sapere che c’è una civiltà aliena là fuori, che ce n’era una, è straordinario, ma non vale la pena uccidere la gente per questo, e non voglio che nessun altro sia in pericolo a causa mia.” Si fermò quasi ripensando all’immagine di Luna che veniva spinta a terra, al rumore della pistola di Ted mentre sparava. “Io non conto. Ciò che conta è che il mondo di alieni stava morendo, e che loro hanno inviato… Immagino che si possano chiamare capsule temporizzate. E ora sappiamo dove stanno andando.”

Anche lui sapeva dove stava andando adesso, perché sua madre lo tirò giù dalla piattaforma e lo accompagnò dentro all’istituto.

***

“Se mio figlio deve essere attaccato, non voglio che stia qui!” disse la madre di Kevin mentre discuteva insieme al professor Brewster.

Kevin lo guardava entrambi dal bordo del suo letto. Sussultò quando un medico dello staff dell’istituto gli disinfettò un mini taglietto che la lama del coltello gli aveva procurato. Vicino a lui, Luna aveva una benda avvolta attorno alla testa, mentre Ted era lì, quasi come se in parte si aspettasse un’altra aggressione.

“Capisco la sua preoccupazione,” disse il professor Brewster, e Kevin sapeva che era la cosa sbagliata da dire a sua madre in quel momento.

“Lei ha idea di cosa significhi vedere il proprio figlio aggredito perché si trova invischiato in una cosa totalmente folle?” chiese la madre di Kevin. “Ha dei figli, lei?”

“Beh, no, ma…”

“Ma tu chi sei?” chiese Kevin a Ted, ignorando per un momento la discussione tra sua madre e il professore.

“Oh, sono solo uno che dà una mano dove può,” disse Ted.

“Non è una risposta,” disse Luna.

Sembrò pensare un momento o due, poi si riscosse. “Immagino non possa nuocere. Scusa. Sono solo abituato a non dire niente. Stavo nell’esercito. Forze Speciali. Poi sono stato prestato alla CIA per un po’, e poi… beh, poi ho cercato di ritirarmi, ma ho avuto una chiamata quando tutta questa cosa ha avuto inizio, e non è esattamente che potessi rifiutare.”

“Hai detto prima che è stato il presidente a chiamarti,” disse Kevin. “Non l’avrebbe fatto se fossi solo uno qualsiasi.”

“Beh, magari ai miei tempi ho visto delle cose,” disse Ted. Guardò verso il punto dove il professor Brewster e la madre di Kevin stavano ancora discutendo. “Da quello che sento, è venuto lui in persona a conoscerti per questa cosa. Questo ti rende più speciale di quanto sia io. Volete venire a vedere come i sapientoni stanno procedendo con i numeri che tu hai tirato fuori dal nulla?”

Kevin annuì, e insieme tutti e tre uscirono dalla stanza. Kevin si sentiva un po’ più in forze ora, la maggior parte della debolezza che aveva provato era ovviamente dovuta alla combinazione tra la ricezione del messaggio e l’aggressione subita. Si sentiva anche stranamente vuoto, e gli ci volle un po’ per capirne il motivo: dalla prima volta che tutto questo aveva avuto inizio, non aveva alcuna sensazione degli alieni.

Non c’era nessun conto alla rovescia che gli pulsava nella testa. Non c’era nessun segnale imminente che avrebbe dovuto aspettare. Non c’erano messaggi. Tutto taceva. Sarebbe dovuta essere una sensazione di pace, ma per la prima volta da quando era arrivato lì, Kevin si sentiva… inutile, come se non avesse nulla da fare.

Era praticamente l’unico in quella condizione. La gente cui passavano accanto era impegnata, tutti sembravano essere al lavoro sul problema delle coordinate. I laboratori che venivano utilizzati per altre cose erano vuoti, e gli scienziati erano invece riuniti nelle sale conferenze, lavorando sulle strisce di numeri in centinaia di modi diversi. Anche alcune persone della NASA sembravano coinvolte.

Kevin aveva pensato che ci sarebbe potuto essere un problema con la sicurezza mentre si avvicinavano allo spazio che accoglieva il supercomputer, ma Ted passava ovunque, oltre a soldati e agenti dell’FBI indistintamente, e ognuno gli faceva cenno con il capo lasciando passare tutti e tre.

“Wow,” disse Luna quando raggiunsero la fosse del supercomputer. “Pensa ai giochi che si potrebbero fare con questo coso.”

Kevin dubitava che lo usassero molto per una cosa del genere, ma quando si trattava di dissezionare elenchi di numeri, sembrava fosse molto bravo. SAM stava sputando fuori miriadi di possibilità usando i segnali, mentre metà degli altri macchinari presenti nella stanza erano stati accesi, e gli scienziati li stavano usando gridando risultati.

“Altro colpo mancato,” esclamò uno. “Penso che colpisca un qualche punto delle Pleiadi.”

Kevin sentì uno sbuffo di frustrazione da parte di un altro scienziato.

“Stanno cercando di restringere la ricerca,” spiegò Ted.

La dottoressa Levin era lì, e con sorpresa di Kevin, pareva che la gente la stesse ascoltando. Forse il fatto che ci fossero effettivamente gli alieni facilitava il ricevere ordini dal capo del SETI.

“Il problema sono le troppe informazioni,” disse. “Ci hai dato così tante possibilità, Kevin, che non riusciamo ad elaborarle tutte, neanche con il potere dei nostri computer.”

“Avete provato in Internet?” chiese Kevin.

“Non credo che sia il genere di cose che si trovano in Internet,” disse il professor Brewster unendosi a loro. “Abbiamo alcuni dei più sofisticati computer del mondo qui.”

Kevin scosse la testa. “Potrebbe essere. Quando ho tradotto, ho dato l’informazione ai giornalisti, giusto? Quindi non è possibile che tutta la gente del mondo stia guardando questa cosa? Diceva che il problema era avere abbastanza gente per fare questa cosa. Beh, non significa che avete il mondo intero ad aiutarvi?”

“Il ragazzino potrebbe avere ragione,” disse Ted. “Avete controllato?”

“Beh… no,” ammise il professor Brewster.

La dottoressa Levin scrollò le spalle. “Magari vale la pena di tentare. Il SETI ha spesso preso in prestito potere informatico da persone in giro per il mondo.”

“Fatelo,” disse Ted.

La dottoressa Levin si allontanò per alcuni secondi. Tornò con un tablet e un’espressione leggermente scioccata.

“Io… io non ci credo,” disse, e iniziò a cliccarci sopra. “Aspettate, ve lo mostro su uno schermo più grande.”

Premette alcuni punti sul tablet, e lo schermo di un computer davanti a loro si accese, tanto grande che l’intera stanza poteva vederlo. C’erano delle coordinate sullo schermo, insieme a delle parole “Veicolo Alieno deve colpire la Terra!” Il sito pareva essere anonimo, ma non c’era dubbio su quello che stava dicendo.

“Se prendiamo questo insieme di coordinate,” disse la dottoressa Levin, “beh, guardate.”