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Messaggi dallo Spazio

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Sullo schermo apparve una mappa del mondo, prima tanto ampia che Kevin non riuscì a capire dove fosse il sito dello schianto. Poi cambiò, zoomando sul Sud America, poi ancora. Prese di mira un paese, poi una regione, poi quella che parve una zona di foresta a un paio di miglia.

“La foresta pluviale colombiana,” disse Ted fissandola.

“Ne siamo sicuri?” chiese il professor Brewster.

“Ovviamente controlleremo,” disse la dottoressa Levin, “ma a primo colpo d’occhio… sì, sembra corretto. Che a modo suo è sorprendente. L’idea che una civiltà potesse predire con tale precisione dove la loro navicella sarebbe atterrata, a una tale distanza è… quasi impossibile a credersi.”

“Beh, penso che dovremo iniziare a crederci.” Ted mise una mano sulla spalla di Kevin. “Se hai ragione su questa cosa, i nostri amici alieni stanno mandando il loro carico in Colombia.”

“È una brutta cosa?” chiese Kevin.

Ted scrollò le spalle. “Non lo so. Potrebbe rendere le cose complicate. Sono più preoccupato di quante altre persone avranno visto questa cosa. Dottoressa Levin?”

“Non c’è modo di saperlo,” disse il direttore del SETI. “Immagino che se l’abbiamo scoperto, l’avranno fatto un sacco di altre persone.”

“Il che significa che metà del mondo sarà lì,” disse Ted. “Che dici se andiamo lì a conoscerli, Kevin?”

“Andare a conoscere chi?” chiese la madre di Kevin, entrando nella fossa del computer. “Cosa sta succedendo?”

Kevin cercò di elaborare la frase migliore per dirlo. “Mamma, ehm… posso andare in Colombia?”

CAPITOLO DODICI

“Non serve che vieni, mamma,” disse Kevin mentre lui e gli altri passavano attraverso la sicurezza all’aeroporto di San Francisco. Era solo un passo dietro a lui, come se avesse paura che allontanarsi di più significasse perderlo nel caos dell’aeroporto. Anche Ted era vicino, anche se Kevin sospettava che fosse per motivi diversi.

“Ma certo che devo venire,” disse sua madre, tirandosi dietro una piccola valigia che le dava l’aria di essersi preparata per una vacanza. “Un momento c’è gente che tenta di assassinarti, e un attimo dopo stai per volare nel mezzo della giungla? Pensi che intenda lasciartelo fare da solo?”

“Non sarei solo, mamma,” sottolineò Kevin. Se non altro pareva che l’intero istituto si stesse dirigendo in Colombia, pressandosi a bordo non di uno, ma di due aerei charter, e portandosi dietro una vasta gamma di attrezzature intese per la ricerca della capsula di salvataggio.

“Vengo comunque,” disse sua madre, e Kevin sapeva bene che non era il caso di discutere con quel tono.

Una persona che non sarebbe venuta era Luna, e Kevin si trovò a sentire già la sua mancanza. Era andata a casa perché apparentemente i suoi genitori avevano vedute più rigide sulla sua idea di volare in Sud America alla ricerca di alieni.

Il professor Brewster stava davanti e guidava gli scienziati e i soldati, gli agenti e gli occasionali giornalisti mentre salivano sull’aereo.

“Sei pronto, Kevin?” gli chiese. “Abbiamo un bel volo davanti.”

Kevin annuì. “Non posso credere che stiamo facendo questa cosa.”

“Quasi non la stiamo facendo,” disse il professor Brewster. “C’è un sacco di gente che deve operare dietro alle quinte per permetterci di volare in Colombia con questo scopo. Ora sbrigati e sali a bordo.”

Kevin salì sull’aeroplano e trovò un posto a sedere vicino al finestrino. Sua madre si sedette accanto a lui, mentre Ted si mise proprio davanti.

“È un bel po’ di strada fino in Colombia,” disse Ted. “È passato un po’ di tempo.”

“Ci sei già stato?” chiese Kevin.

“Ufficialmente?” disse con un sorrisino. “Mai in vita mia.”

“E non ufficialmente?” chiese Kevin.

“Oh, è stato molto non ufficiale l’ultima volta che ci sono stato,” rispose Ted. “Ma le cose sono molto più tranquille lì adesso. Ci sono ancora un po’ di cartelli, ma senza la guerra civile in corso, il governo può tenerli meglio sott’occhio.”

“Sembra fico,” disse Kevin.

Sua madre non era d’accordo. “Sembra un posto pericoloso dove portare mio figlio.”

“Sono certo che andrà tutto bene,” disse Ted. Kevin sentì i portelloni dell’aereo che si chiudevano dopo che anche le ultime persone furono salite a bordo. “E poi è troppo tardi per tornare indietro adesso. Nove ore da adesso, e saremo a Bogotá.”

Nove ore. Come si passavano nove ore rannicchiati in uno spazio confinato con un mucchio di scienziati? A Kevin pareva che praticamente tutti i presenti dovessero trovare la risposta a quella domanda. Alcuni giocavano con il telefonino, o leggevano, o guardavano film. La madre di Kevin per lo più dormì. Kevin alternava il guardare fuori dal finestrino e il tentativo di riposare un po’, mettendosi ogni tanto le cuffie con il segnale del flusso, giusto in caso ci fosse qualcosa da sentire. Ma non c’era nulla.

“Non so neanche se funzionino così lontani dall’istituto di ricerca,” disse Kevin dopo averle messe per la terza volta.

“L’ho chiesto agli scienziati prima che partissimo,” disse Ted. “Le hanno regolate in modo che il segnale dalla base sia rilevato tramite Internet. Ovunque ci sia connessione, puoi accedere al segnale.”

Kevin immaginava che non avrebbe dovuto essere sorpreso al riguardo. Era ovvio che volessero assicurarsi che lui potesse sentire, qualsiasi cosa succedesse. Non avrebbero mai rischiato di perdersi un messaggio importante. Lo stesso, l’idea di essere in grado di ascoltare da qualsiasi posto del mondo, pareva impressionante.

Kevin passò parte del tempo a guardare in basso, osservando i posti che sorvolavano. Non era neanche mai stato fuori dallo stato prima d’ora, eppure stava volando sopra a deserti e fitte foreste pluviali, città e pezzi di oceano. Pensò alla gente là sotto. Sapevano della capsula di salvataggio? Cosa pensavano della possibilità di trovare realmente della vita aliena?

Ebbe parte della risposta quando atterrarono a Bogotá. Vide subito una dozzina di gruppi simili, tutti con un’attrezzatura che sembrava sospettosamente simile a quella che avevano portato loro dall’istituto.

“Pare che non fossimo gli unici a lavorare alla localizzazione di quelle coordinate,” disse Ted mentre guardava tutta quella gente. Sembrava piuttosto rilassato al riguardo, ma il professor Brewster era tutt’altro che calmo.

“Questa cosa è semplicemente inaccettabile,” disse lo scienziato. “Ci sono gli Svizzeri, e quello sembra un gruppo del settore tecnologico privato, e quelli sono i Canadesi. Dopo tutti gli sforzi che abbiamo impiegato nello svelare queste informazioni, non posso credere che stiano programmando di soffiarci la capsula da sotto il naso.”

Kevin avrebbe voluto dire che non potevano sapere per certo che questa fosse l’intenzione dei gruppi, ma non gli venne in mente un altro motivo per cui potessero essere lì. Non era sicuro di quali fossero le sue sensazioni riguardo alla loro presenza.

Da una parte voleva credere che il messaggio alieno fosse inteso per l’umanità intera, e che dovesse essere condiviso. Era contento di aver dovuto gridare le coordinate alle videocamere dei notiziari piuttosto che rischiare di perderle per quel motivo. Allo stesso tempo il professor Brewster aveva in parte ragione: era stato Kevin quello capace di tradurre il segnale alieno, non gli altri, e voleva almeno vedere la capsula di salvataggio ora che era lì.

“Dobbiamo solo essere i primi ad arrivarci,” disse il professor Brewster. Kevin sospettava che fosse più facile a dirsi che a farsi. Non vedeva come sarebbero riusciti a passare attraverso l’aeroporto più velocemente degli altri, o arrivare più rapidamente alla giungla, o anche cercare in modo più veloce.

Però ci provarono. Kevin avrebbe riso vedendo dodici gruppi di scienziati che conducevano uno strano tipo di corsa attraverso l’aeroporto di Bogotá, eccetto per il fatto che doveva tenere il passo con tutti loro, cercando di trovare spazi nell’ammasso di gente e assicurarsi allo stesso tempo di non perdere di vista sua madre.

“Da questa parte!” gridò il professor Brewster, facendo strada verso quello che sembrava il banco del noleggio auto. “Salve, dobbiamo noleggiare… vediamo… probabilmente una dozzina di fuoristrada e un furgoncino.”

“Mi spiace,” disse la donna al banco. “Come ho detto all’ultimo signore che ha chiesto, non sono cose che teniamo qui all’aeroporto. La maggior parte della gente… beh, non ne hanno bisogno per la vacanza, capisce?”

“Questa non è una vacanza,” dichiarò il professor Brewster. “Questa è una spedizione scientifica della massima importanza!”

“Lo stesso.”

La dottoressa Levin si intromise. “Andiamo, David, sai che prima dobbiamo riposarci, e poi potremo lavorare sull’effettiva spedizione.”

“E nel frattempo i Canadesi arriveranno prima!” si lamentò. “E poi come hanno fatto ad arrivare qui così in fretta?”

Non sembrava esserci una risposta a questo, ma Kevin si trovò spinto in avanti mentre si dirigevano dall’aeroporto al punto dove si trovava l’ambasciata americana, una sorta di grosso blocco grigio nel mezzo di Bogotá.

L’ambasciatore li stava aspettando all’interno. Strinse la mano del professor Brewster e poi quella di Kevin, con sua grande sorpresa.

“Un paio d’ore fa il presidente mi ha chiamato avvisandomi del vostro arrivo. Starete un po’ stretti, essendo così tanti, ma ho fatto preparare delle stanze per tutti voi, e sto lavorando al trasporto del vostro team nella foresta pluviale. Dovreste essere consapevoli che il governo colombiano non è completamente felice di tutto questo, ma stiamo operando per spianarvi la strada.”

 

Non sembrava una buona cosa che al governo del paese dove stavano cercando non piacesse la loro presenza lì. A quel punto però Kevin era troppo stanco per preoccuparsene. Si addormentò quasi subito quando lo staff dell’ambasciata lo ebbe accompagnato nella sua stanza, e non si svegliò fino a che non sentì la voce del professor Brewster che gridava da fuori.

“Venite tutti! L’ambasciata è riuscita a ottenere il trasporto, e dobbiamo essere pronti a partire prima che tutti gli altri ci battano sul tempo!”

Kevin fece del suo meglio per prepararsi in tutta fretta. Lo stesso, quando fu uscito là fuori, la maggior parte degli altri erano già pronti. Il professor Brewster si era messo una maglietta color kaki e dei pantaloni che lo facevano sembrare una specie di esploratore, se messo a confronto con certe foto. Sua madre indossava i suoi abiti normali, con l’aggiunta di un grande cappello parasole. Ted era sempre e solo Ted.

“Veloci,” disse il professor Brewster battendo le mani. “Veloci! Non possiamo permettere a nessun altro niente più che un minimo vantaggio di partenza.”

Partì cercando di far uscire tutti dall’albergo.

“Tutti gli altri saranno già alla capsula?” chiese Kevin a Ted. Il professor Brewster sembrava essere responsabile della spedizione, ma Ted era quello che sapeva ciò che stava facendo. La metà della gente lì sembrava già guardare a lui per capire cosa fare.

L’ex soldato scosse la testa. “Ne dubito. La foresta pluviale di notte gioca brutti scherzi. È facile essere sviati, anche senza contare gli animali selvatici. La mossa più sensata era che tutti stessero fermi durante la notte, per muoversi poi questa mattina.”

Kevin immaginava che fosse anche la mossa che tutti loro avevano fatto, e pareva che gli alberghi con il tutto esaurito fossero un segno di ciò. Doveva esserci gente da tutto il mondo a tentare di trovare la capsula di salvataggio, e tutto per i numeri che lui era stato capace di tradurre.

“Bene, ragazzo,” disse Ted. “Ci hai portati fino a qui. Direi che è ora di scoprire cosa c’è alla fine di tutto questo.”

Scesero al piano di sotto, dove scoprirono che l’ambasciata era riuscita a trovare loro dei furgoncini e dei SUV, un paio di vecchie Jeep e qualche auto più datata.

“Solo stai vicino,” disse Ted, mentre sceglieva una Jeep e saliva al posto di guida.

Partirono, restando insieme e formando una carovana che serpeggiava alla velocità delle auto più lente, il che era, secondo Kevin, veramente piuttosto piano. In parte la cosa non lo disturbava poi così tanto, perché la Colombia era bellissima. Una parte più grande di lui avrebbe invece voluto maledire i veicoli lenti e le strade sempre più piene di buche, perché voleva vedere la navicella che gli alieni avevano usato per arrivare lì. Voleva vedere il risultato di tutto ciò che aveva fatto.

Continuarono a procedere, e quando furono più vicini alla zona della foresta pluviale indicata dalle coordinate, la strada peggiorò. Poi, quando gli alberi iniziarono a costeggiare la strada da entrambi i lati, si trovarono completamente bloccati nel traffico, e Kevin ci mise qualche secondo a capire quello che stava succedendo.

Un furgone era rovesciato e messo di traverso in mezzo alla strada, e un altro mostrava delle ammaccature che suggerivano una collisione. C’erano altri furgoni e macchine attorno, con la gente che aspettava o cercava di escogitare il da farsi, o discuteva in una decina di lingue diverse. Kevin riconobbe alcune delle persone, e capì chi dovessero essere.

“Non sono gli altri gruppi di ricerca?” chiese mentre si avvicinavano. Vide Ted annuire, ma prima che l’ex soldato potesse dire qualcosa, il professor Brewster già era lì, uscendo da un altro veicolo.

“Perché ci siamo fermati?” chiese.

“Lo può vedere il perché,” disse Ted.

“Ma non possiamo aggirarli?” chiese il professore.

Ted indicò gli alberi che crescevano vicini da entrambi i lati della strada. “Se lei ne è capace, prego, si accomodi.”

Il professor Brewster parve sul punto di poter dire qualcosa, poi scosse la testa e partì verso il punto dove tutti discutevano.

“Pensi che farà qualche differenza?” chiese la madre di Kevin.

Ted scrollò le spalle.

Davanti il professor Brewster iniziò a discutere con una mezza dozzina di altre persone, alcune che puntavano il dito tentando di capire chi fosse il responsabile della gestione dei problemi lì. Dato che Kevin non poteva immaginare che il direttore dell’istituto di ricerca potesse accontentarsi di non essere responsabile di qualcosa, immaginò che le altre persone che discutevano lì in mezzo alla strada fangosa dovessero essere direttori delle loro organizzazioni. A volte gli adulti erano insensati.

Saltò fuori dalla Jeep, sia perché voleva vedere cosa stava accadendo e anche perché pensava di poter veramente dare una mano. Si diresse verso il punto in cui due o tre persone stavano discutendo su un argano, mentre una folla di scienziati e soldati dall’espressione annoiata stavano a guardare.

“Se avete un argano, perché nessuno lo sta usando?” chiese.

Gli rispose un uomo con un forte accento scandinavo. “Perché è il nostro argano, e il nostro direttore non vuole che aiutiamo gli altri ad arrivare… per primi all’oggetto.”

“Ma è una cosa stupida,” disse Kevin.

“Kevin,” disse sua madre raggiungendolo. “Tutte queste persone sono molto intelligenti. Sono probabilmente tutti dottori.”

“Ma si stanno comunque comportando da stupidi,” disse Kevin, e fu sorpreso di vederli guardare verso di lui invece di ignorarlo. Sapevano chi era, si rese conto, e sembravano guardarlo come se dovesse essere lui a decidere cosa fare.

“Perché non lavorate insieme e basta?” chiese.

“Te l’ho detto,” rispose l’uomo che aveva parlato prima. “Non possiamo permettere loro di usare il nostro argano, fino a che…”

“Non l’argano,” disse Kevin. “Tutta questa cosa. Gli alieni hanno inviato la loro capsula di salvataggio su questo pianeta, non in un paese, quindi perché non lavoriamo insieme per trovarla?”

“E vederla riportare in America?” chiese uno degli altri presenti.

“Beh, potremmo trovare un altro posto,” suggerì Kevin. “Un posto dove poterla guardare.”

Gli uomini rimasero in silenzio per alcuni secondi, rimuginando. Uno prese una mappa.

“C’è una struttura della UN a poche miglia da Bogotá,” disse.

Un altro annuì. “Ho fatto del lavoro lì, su nuove piante scoperte. Ha delle buone strutture.”

“I nostri capi potrebbero essere comunque contrari,” disse il primo, un po’ incerto.

Kevin aveva una risposta. “Allora possono discutere mentre noi tutti stiamo aprendo la capsula di salvataggio.”

Quando la girò a quel modo, gli altri non parvero voler sentire altre discussioni. Iniziarono invece a collegare l’argano, e i ricercatori che erano rimasti attorno si spostarono per aiutare a muovere il furgone da dove si era ribaltato.

“Ben fatto,” disse Ted quando Kevin tornò da lui. “Non sono molti quelli che avrebbero potuto convincerli a lavorare insieme.”

Kevin scrollò le spalle. A lui era sembrata la cosa ovvia da fare.

“Cos’è questa roba?” chiese il professor Brewster. “Cosa sta succedendo? Perché si muovono di nuovo?”

“Andiamo a trovare la capsula di salvataggio insieme,” spiegò la madre di Kevin.

“Ma nessuno l’ha autorizzato,” disse il professor Brewster. “Io non l’ho autorizzato.”

“Ma significa che ci stiamo muovendo,” disse la madre di Kevin. “È sbagliato che stiano lavorando insieme?”

“No,” disse il professor Brewster. Kevin immaginò che fosse solo un po’ sorpreso di non essere stato lui a prendere per una volta una decisione. “Immagino di no. Ma questo non significa che mi fidi di loro. Quando si tratta della competitività del dibattito accademico, non mi fiderei di quei Canadesi neanche morto. State in guardia, tutti quanti.”

Si allontanò lanciando ordini ai suoi, e anche ad alcuni degli altri gruppi. Kevin si chiese se ci fosse qualcuno che gli stava prestando attenzione. Guardò verso Ted.

“Dovremmo sospettare degli altri?” gli chiese.

L’ex soldato scrollò le spalle. “Forse sì, forse no. A volte si lavora con della gente e non si sa quello che faranno in fondo alla strada. Per il momento c’è solo una cosa che conta.”

“Trovare la capsula,” disse Kevin.

Ted annuì. “Trovare la capsula.”

CAPITOLO TREDICI

Kevin non era mai stato in una giungla prima, ma non era niente rispetto a ciò che aveva visto in TV. Lì le giungle erano solo un insieme di qualche foglia di palma con un sacco di posto dove la gente potesse correre e combattere, e muoversi rapidamente. Nella realtà, la vita vegetale spingeva da ogni lato e c’erano solo alcuni sentieri tracciati da animali, quindi i soldati dovevano tagliare con l’accetta per disegnare un tracciato da poter seguire man mano che si addentravano sempre più.

In TV non mostravano neanche la pioggia. Quella scendeva mentre camminavano, inzuppando con costanza l’intero gruppo in scrosci che sembravano riempire tutto il mondo sotto alle chiome degli alberi.

“È sempre così?” esclamò il professor Brewster.

Una delle guide scrollò le spalle. “Si chiama foresta pluviale per un motivo, signore.”

Kevin non era certo della velocità a cui si stavano muovendo, ma non gli sembrava tanto rapida. Camminava invece insieme a loro, con il più lento degli scienziati che si spostava ancora più lentamente di lui. Certo non era di aiuto che la metà di loro volessero fermarsi ogni poche centinaia di metri per raccogliere campioni di insetti o di piante insolite.

“Possono servirsi da soli,” disse Ted. Teneva il passo con Kevin, mai a più di qualche metro dal suo fianco, come se avesse paura che allontanarsi significasse perderlo nella giungla. “La gente più intelligente che mai incontrerai, ma significa solo che un posto come questo si presenta a loro come troppo pieno di potenziali scoperte. Pensano sempre ad essere i primi a scoprire una nuova specie di farfalla o a trovare una sostanza che possa curare il cancro, e si dimenticano di quanto sia importante la cosa che intendiamo fare qui. Tutto quello a cui riescono a pensare è quanto piena di vita sia la giungla.”

Kevin non poteva biasimarli, perché la giungla era piena di vita, in un modo che non avrebbe mai creduto. Sembrava che ovunque guardasse, ci fossero piante che non aveva mai visto prima, dagli enormi alberi che formavano la vegetazione agli esseri striscianti che si facevano strada tra di loro a cose di livello più basso che cercavano di trovare la luce che potevano dal suolo della foresta. C’erano insetti e lucertole, piccoli mammiferi e qualche fruscio tra gli arbusti a suggerire animali più grossi.

Oh, e ragni tanto grandi che Kevin non voleva per niente avvicinarcisi. L’unica parte divertente era che sembrava che il professor Brewster ne fosse particolarmente spaventato, tanto da fare dei salti così alti ogni volta che ne vedeva uno, che Kevin pensava che potesse arrivare a raggiungere le chiome degli alberi.

“A cosa pensi quando sei qui?” chiese Kevin a Ted.

“A parte la missione?” Il soldato scrollò le spalle. “Per lo più ricordi dell’ultima volta che sono stato qui. Devi fare attenzione, Kevin.”

“Non ho intenzione di allontanarmi,” disse lui. A volte la gente lo trattava come se non avesse tredici anni. Come se fosse solo… un bambino o qualcosa del genere.

“Non è questo che intendevo dire,” disse Ted. “Le cose vanno meglio dopo la pace con il FARC, ma ci sono ancora cartelli là fuori a cui non piace la gente che entra nel loro territorio. Addirittura l’esercito. Un insieme di diversi gruppi scientifici? Saremmo una facile preda per la gente sbagliata.”

Lanciò un’occhiata a dove un gruppo di soldati da una mezza dozzina di nazioni diverse stavano dando una mano a liberare il passaggio, tagliando i rami e le liane con la certezza di gente che aveva dovuto farlo molte altre volte in altri luoghi.

“Non è solo questo, vero?” chiese Kevin. “Non ti fidi della gente con cui lavoriamo.”

“Dopo che hanno passato l’ultima giornata a correre per essere i primi ad arrivare qui?” Ted scosse la testa. “Ma questo è abbastanza normale. Stiamo tutti cercando qualcosa di valore. Abbiamo una risorsa di valore, te, perché sei capace di tradurre i segnali. Magari non succederà nulla. Magari andrà tutto bene, ma sai cosa si dice: spera il meglio, stai pronto per il peggio.”

 

Messe così le cose, la giungla sembrava più minacciosa di quanto fosse parsa prima, piena di punti dove sarebbe stato facile allungare un braccio e afferrare qualcuno. Kevin fece del suo meglio per ignorare quel pensiero.

Una cosa che non poteva ignorare era il caldo. Aveva pensato che, dato che veniva dalla California, la differenza non sarebbe poi stata tanto rilevante, solo qualche grado in più di calore al massimo. Non aveva pensato agli effetti della pioggia, che combinata con il caldo trasformava l’intero posto in una sorta di gigante pentola a pressione, con il vapore che saliva dalle persone mentre camminavano.

“Stai bene, Kevin?” chiese la dottoressa Levin.

Lui annuì. “Tutto ok.”

“Lo dici a qualcuno se c’è qualcosa che non va, vero?” gli chiese. Guardò dove sua madre si stava facendo strada lungo il sentiero dietro di loro. “Tua madre è piuttosto preoccupata che stiamo facendo la cosa sbagliata, portandoti qui.”

“Io voglio essere qui,” disse Kevin. Sapeva che la scienziata stava solo cercando un prendersi cura di lui, ma lui voleva vedere questa cosa. Voleva trovare l’oggetto che gli alieni avevano inviato sulla Terra. Voleva vedere dove lo avrebbe condotto tutto quello che aveva tradotto.

“Beh, spero solo che non manchi ancora troppa strada,” disse la dottoressa Levin. “Tu starai anche bene, ma io mi sto squagliando con questo caldo.”

“Non tanto distante dal punto che abbiamo visto,” disse Ted controllando lo schermo del suo GPS dall’aspetto robusto. “Ancora un po’ più avanti da quella parte.”

Continuarono ad avanzare trovando una radura da usare come base mentre cercavano. Alcuni dei soldati iniziarono a preparare delle grezze tende per creare un riparo dalla pioggia, mentre i diversi gruppi di scienziati sistemavano l’attrezzatura che avevano portato attraverso la giungla. Tirarono fuori quelli che sembravano dei metal detector e strani dispositivi che stavano all’interno di piccoli carrelli che si potevano tirare a mano. Alcuni disposero sufficiente attrezzatura informatica e computer da poter probabilmente gestire il loro normale laboratorio da lì, se non si fossero trovati così tagliati fuori dal mondo. La cosa più strana era guardare una mezza dozzina di gruppi di attrezzatura quasi identica.

“L’oggetto che è venuto sulla Terra è caduto da qualche parte qui vicino,” disse il professor Brewster, ovviamente dando per scontato di essere lui il responsabile. “Dobbiamo trovarlo. Significa che ci sparpaglieremo e localizzeremo l’area generale del punto di impatto cercando i danni evidenti, poi useremo l’attrezzatura per localizzare l’oggetto.”

“State attenti,” disse Ted, e Kevin sospettava che se non l’avesse detto, nessuno l’avrebbe fatto al posto suo. Il professor Brewster sarebbe stato felice di spedire via della gente nella giungla senza maggiori indicazioni. “Lavorate sempre in coppia, così che se succede qualcosa, l’altro possa andare a chiamare aiuto. Restate vicini al campo e tenetevi in contatto. La giungla tenterà di farvi perdere. State attenti agli animali selvatici, e non entrate in nessun corso d’acqua. Ci sono caimani e serpenti in quell’area.”

Gli scienziati si allontanarono con cautela, accompagnati da soldati e qualsiasi guida locale fossero stati capaci di trovare.

“Andiamo a vedere?” chiese Kevin.

Ted scosse la testa. “Per il momento è meglio aspettare. Lascia che gli altri facciano il lavoro di trovare. Vedrai molto presto il risultato. Ora sarà meglio che vada a fare una telefonata.”

Si alzò e prese un telefono satellitare che probabilmente avrebbe funzionato ora che si trovavano nella radura, con il cielo aperto sopra di loro. Si allontanò un poco, parlando sottovoce. Kevin ebbe il pensiero di strisciare più vicino per sentire quello che stava dicendo, ma qualcosa nel modo in cui il soldato stava parlando gli suggerì che potesse non essere una buona idea.

“Penso che abbiamo trovato qualcosa!” gridò uno degli scienziati dalla giungla.

Kevin non poteva restare seduto lì, e parve che non potesse farlo nessuno degli altri riuniti lì nel campo. Si trovò ad essere solo uno di coloro che si misero a correre in mezzo alla giungla, il terreno soffice del suolo che cedeva sotto ai suoi piedi a ogni balzo. Seguì gli scienziati fino a un’altra piccola radura. Kevin si era in parte aspettato un cratere lì, circondato dalla desolazione. Invece c’erano solo alcuni segni nel terreno che indicavano che qualcosa ci era passato attraverso.

La cosa strana era che gli alberi attorno non sembravano essere stati danneggiati. Se qualcosa era caduto sulla Terra nel passato recente, non avrebbero dovuto esserci danni, rottami o addirittura braci fumanti?

Poi Kevin si rese conto che stava pensando nel modo sbagliato. Gli alieni avevano inviato i loro messaggi anni prima, anche viaggiando alla velocità della luce. Perché la loro capsula di salvataggio sarebbe dovuta essere appena arrivata? Perché non potevano essere anni, magari decenni che aspettava che qualcuno la scoprisse? Trovò che quell’idea gli piaceva, il pensiero di qualcosa di segreto che lo aspettava perché fosse lui a scoprirlo. Lo faceva sentire come qualcuno che va a caccia di un tesoro.

Gli scienziati avevano già iniziato a lavorarci, operando con i loro vari dispositivi. Da quello che Kevin poteva sentire, pareva che le cose non stessero andando molto bene.

“Non ricevo nessuna risposta dal metal detector,” esclamò Phil. Il ricercatore aveva sudato copiosamente sotto alla sua camicia hawaiana. “Non ho mai sentito tutto questo silenzio… beh, mai.”

“Non ricevo nessuna risposta neanche cercando il livello del calore,” gridò un altro degli scienziati.

“Beh, questo è normale. Da quando è atterrata si sarà costantemente raffreddata. E non sappiamo quando l’atterraggio sia avvenuto. E il magnetometro?”

L’uomo che aveva portato quella cosa che sembrava un carrellino a mano scosse la testa. “Il terreno è troppo irregolare. Non posso dire se mi arrivino dei segnali o se siano solo interferenze.”

Pareva che il radar che doveva penetrare il terreno avesse lo stesso problema, anche se Kevin non aveva saputo, prima d’ora, che una cosa del genere esistesse. A dire il vero non sapeva come funzionasse metà dell’attrezzatura di quegli scienziati: era come magia per lui, anche se dubitava che loro avrebbero gradito quel paragone. Da dove si trovava poteva osservare un gruppo di scienziati che correvano qua e là con dispositivi, cavi e monitor o che ascoltavano continui segnali sonori. Era anche divertente da guardare, magari per la prima ora.

“Dovremo scavare,” disse alla fine il professor Brewster. “Deve essere qui da qualche parte, quindi se scaviamo, la troveremo.”

Sembrava che il plurale in quel caso non includesse il professor Brewster stesso, perché il direttore dell’istituto non fece neanche il gesto di prendere in mano una pala. Un sacco di scienziati lo fecero, e anche alcuni soldati diedero una mano, attaccando la terra attorno a loro come se potesse rivelare i suoi segreti se solo ci avessero lavorato sodo sopra.

Per Kevin pareva non esserci niente da fare se non aspettare. Non aveva una pala, e in ogni caso non sembrava il modo migliore per trovare qualcosa. Era solo uno scavare a caso nella speranza che succedesse qualcosa. Assomigliava un po’ a quando si scavano delle buche a caso in una spiaggia nella speranza che da qualche parte ci sia la cassa di un tesoro dei pirati. Rimase fermo lì, cercando di non mettersi in mezzo ai piedi mentre lavoravano.

Fu allora che sentì un sussurro di connessione attraverso gli alberi, quasi indefinibile. Era un po’come la pulsazione del conto alla rovescia, solo che questa pulsazione sembrava diventare più forte quando faceva qualche passo lungo il sentiero che doveva aver seguito la capsula di salvataggio. Quando camminava nella direzione opposta, il segnale si indeboliva.