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Messaggi dallo Spazio

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Kevin si fermò cercando di esserne sicuro. Non voleva dire che sapeva quello che stava facendo fino a che non era certo che non si trattasse solo di una sensazione casuale dentro di lui. E se fosse stato solo un effetto del caldo?

“No,” disse Kevin a se stesso, desiderando trovare la certezza mentre seguiva quel suono.

Iniziò ad avanzare, cercando di seguire la pulsazione, restando con essa mentre si faceva più forte, cercando la direzione in mezzo agli alberi. Ogni volta che la sentiva affievolirsi, si fermava, camminava in cerchio fino a che non trovava la direzione che gli sembrava più forte. Non ci volle molto perché trovasse una traiettoria chiara che lo portò a quella che sembrava la traccia lasciata da un piccolo cerbiatto. La seguì fino a che non raggiunse uno spazio che si apriva per rivelare un’ampia pozza naturale, larga quanto una piscina, con l’acqua verdastra. Istintivamente Kevin capì che l’oggetto che era caduto sulla Terra era lì da qualche parte, sotto la superficie. Lo poteva sentire attirarlo così forte ora, da indurlo a fare un passo verso la pozza, poi un altro, cercando di ricordare il motivo per cui gli avevano detto esattamente di non fare una cosa del genere…

Una figura ricoperta di scaglie salì dall’acqua, i denti che schioccarono in uno scatto che fece arretrare Kevin rapidamente, appena in tempo per evitarlo. Non avrebbe pensato agli alligatori se Ted non li avesse tutti avvertiti poco prima. Il muso di quella creatura era tanto lungo e affilato, la forma decisamente viscida. Il caimano continuò ad avanzare, portandosi fuori dall’acqua, basso sul terreno, la coda trascinata dietro di lui disegnando delle S sul terreno.

“Aiuto!” gridò Kevin. Avrebbe voluto girarsi e correre, ma immaginava che nel momento in cui avesse tentato di farlo, quella cosa gli sarebbe stata addosso. Continuò invece a camminare all’indietro, mentre il caimano avanzava con un ringhio che prometteva che Kevin sarebbe stato il suo prossimo pasto. Kevin sentì la pressione di un altro contro la schiena e capì di aver mancato il sentiero, il che significava che il caimano stava guadagnando terreno. L’animale aprì la mandibola e mostrò quella che sembrava un’infinita striscia di denti…

Arrivò il rombo di uno sparo, così potente nella giungla che Kevin pensò di poter diventare sordo. Il caimano emise un sibilo di dolore e si accasciò. Anche Kevin si lasciò cadere, addossato all’albero che lo sosteneva mentre Ted faceva la sua comparsa con un fucile appoggiato alla spalla. Lo abbassò solo quando sembrò certo che la bestia fosse morta.

“Stai bene?” gli chiese.

Kevin riuscì ad annuire, nonostante la paura che ancora lo attanagliava. “Penso di sì.”

“Cosa stavi facendo? Mi pare di averti detto di non andare a zonzo.”

Kevin voleva dire che non era un bambino. Invece fece un cenno con la testa indicando la pozza di acqua scura. “Dovevo. Ho percepito… penso sia là dentro.”

Vide il soldato sbattere le palpebre, poi guardare verso l’acqua. “Ne sei certo?”

“Sì,” disse Kevin. “Non so come faccio ad esserne certo, ma è lì.”

Con sua sorpresa, Ted non mise in questione la faccenda, ma chiamò gli altri. Arrivarono tutti con la stessa fretta di quando avevano trovato i primi segni della caduta. Non furono però altrettanto rapidi a gettarsi in acqua, ovviamente spaventati da quello che poteva esserci lì in agguato. Alla fine Ted e tre altri soldati, due Scandinavi e un Americano, vi entrarono, guadando lo specchio d’acqua con un telo da usare a guisa di rete.

“Abbiamo qualcosa,” esclamò Ted, e vi avvolsero attorno il telo, tirando insieme per sollevare l’oggetto e trascinarlo fuori dall’acqua. Sembrarono metterci un’eternità, e Kevin si trovò ad aspettarsi qualcosa di enorme mentre lavoravano per tirarlo fuori insieme a una dozzina di altri scienziati che si portarono in loro aiuto.

Quando alla fine l’oggetto rotolò a terra, fuori dal telo, non si presentò come quello che Kevin si era aspettato. Lo aveva immaginato più grande, prima di tutto. La sua immaginazione gli aveva detto che ci sarebbe stato un veicolo più grande di un’auto, magari della stazza di una casa. Lo aveva immaginato argentato e luccicante, o così nero da assomigliare allo spazio attraverso cui aveva volato.

Invece era una sfera di roccia completamente tonda, ancora viscida per l’acqua che la ricopriva, ma liscia sotto. Sembrava che qualcuno avesse sparato una palla da bowling in pietra attraverso l’universo, o magari avesse puntato un grosso cannone contro la Terra.

Lo stesso gli scienziati si radunarono attorno all’oggetto e Kevin quasi non poté vederlo, tanti erano.

“È questo?” chiese il dottor Brewster. “Lasciatemi passare, lasciatemi passare. L’abbiamo trovato?

“Abbiamo decisamente trovato qualcosa,” disse la dottoressa Levin. Sembrava che stesse cercando di sforzarsi di stare calma, di non esaltarsi troppo. “Ora dobbiamo solo capire esattamente cosa sia.”

Ted stava scuotendo la testa. “Prima di fare qualsiasi cosa, c’è almeno un’altra cosa che dobbiamo fare. Dobbiamo portarla via.”

CAPITOLO QUATTORDICI

Kevin non voleva togliere gli occhi di dosso alla roccia mentre la trasportavano su una sorta di barella improvvisata, non del tutto sicuro di cosa farne mentre camminavano in mezzo alla giungla diretti verso il campo base. Era allo stesso tempo esaltato e confuso, preso fra la gioia di aver trovato la cosa verso cui erano stati indirizzati dai segnali alieni, e la sorpresa di non essersi trovato davanti la grandiosa nave spaziale argentata che si era immaginato.

Era strano averla effettivamente trovata, anche se erano venuti lì per fare proprio questo. Era un po’ come se non avesse dovuto essere lì, eppure c’era, e adesso Kevin faceva fatica a contenere la sua eccitazione al pensiero di vedere quello che conteneva.

“La apriremo quando saremo tornati, vero?” chiese alla dottoressa Levin, che sembrava intenta a guardare davanti a sé con l’espressione di chi sta aspettando che arrivi il Natale.

Accanto a lui la dottoressa Levin annuì. “L’idea è questa. C’è un laboratorio che ci aspetta nel complesso della UN fuori da Bogotá, e lì vedremo cosa contiene.”

Sentiva che anche lei stava tentando di non mostrarsi troppo eccitata. In effetti la maggior parte degli scienziati sembravano essere felici di aver trovato questa roccia stranamente liscia, proprio come sarebbero stati se avessero avuto tra le mani una navicella spaziale aliena intatta, sprizzante tecnologia avanzata. Forse era solo il fatto che fossero degli scienziati, e ai loro occhi una roccia appariva in qualche modo più reale. Erano probabilmente abituati a fare test su rocce che venivano dallo spazio, essendo nella NASA, mentre le navicelle spaziali potevano forse apparire loro impossibili.

Lo stesso Kevin stava sperando che le cose sarebbero state un sacco più entusiasmanti non appena l’avessero aperta. Magari all’interno avrebbero trovato della tecnologia aliena, o messaggi lasciati all’interno come un biglietto in una bottiglia. A meno che gli alieni non fossero davvero minuscoli, dubitava che ce ne fossero all’interno, ma magari erano tanto piccoli, oppure avevano trovato un modo per stare in spazi ristretti, o qualcosa del genere.

Qualsiasi cosa fosse, sarebbe stato magnifico.

Ritornarono alla zona dove avevano lasciato i furgoni, e lì c’erano già scienziati che stavano caricando la loro attrezzatura. Sembrava che fossero felici di tornare indietro ed aprire la roccia recuperata, tanto quanto Kevin. Quando avevano tirato fuori i dispositivi, erano stati delicati, ma ora li gettarono praticamente nei bagagliai dei veicoli.

“Dovremmo entrare nei furgoni,” disse la dottoressa Levin. “Siamo quasi pronti a partire, penso.

Kevin annuì e si incamminò verso la Jeep. Vide il professor Brewster lungo la strada e stava per schivarlo passando oltre, ma con sua sorpresa il capo dell’istituto della NASA sembrava veramente felice. Stava praticamente ballando sul posto per l’eccitazione.

“L’abbiamo trovata,” disse il professor Brewster. “L’abbiamo davvero trovata. Questo è… so che siamo stati duri con te, Kevin, ma l’abbiamo fatto solo perché volevo essere certo di questa cosa. Fin da quando… beh, fin da quando avevo la tua età.”

Kevin stentava a crederci: non si era mai aspettato che il professor Brewster, tra tutte le persone, potesse mostrare un così candido ottimismo.

Corse alla Jeep dove Ted e sua madre lo aspettavano. Probabilmente per la prima volta da quando tutto questo aveva avuto inizio, sua madre aveva stampata in volto il genere di meraviglia che gli diceva quanto finalmente potesse capire tutto questo. Capiva che non lo stava facendo solo per il bene di Kevin. Ted sembrava un po’ meno felice. Se Ted era preoccupato di qualcosa, la cosa non era un bene. Dopotutto aveva affrontato un caimano senza alcun problema.

Questo però non andò a scalfire minimamente la contentezza di Kevin. Tutti gli scienziati erano arrivati con i loro macchinari, ed era stato lui a individuare il punto in cui si trovava la capsula aliena. Era come se in qualche modo fosse sua, anche se si trovava in un furgone a venti metri da lui, sorvegliata da un miscuglio di scienziati e soldati di diverse nazionalità. Aveva la sensazione che qualsiasi cosa fosse successa da ora in poi dipendesse da lui.

“Cosa pensi che ci sarà nella capsula quando la apriremo?” chiese Kevin.

Ted ci pensò per qualche secondo.

“Potrebbero aver inviato una capsula temporizzata piena di informazioni. Magari sperano che qualcuno qui abbia la tecnologia per riportarli indietro da qualsiasi cosa sia successa loro. Dovrai chiederlo agli scienziati. Loro di certo ne sanno di più.”

 

Forse era così. Almeno la maggior parte di loro sembravano parlarne, così che le radio lungo la carovana apparivano vive di discussioni in diverse lingue. Kevin non li aveva sentiti così entusiasti da quando i messaggi avevano avuto inizio. Forse perché adesso avevano più che un semplice messaggio tradotto da un ragazzino di tredici anni. Forse apprezzavano il fatto di avere qualcosa di solido a prova di ciò che stava accadendo.

Kevin non poteva biasimarli per questo. Anche se lui aveva sempre saputo che quello che vedeva era vero, trovare la roccia era stato una specie di sollievo. Era stata una prova di quanto tutto questo significasse.

“Quanto manca per arrivare al complesso della UN?” chiese Kevin. Ora voleva solo arrivarci, così che potessero proseguire con l’osservazione.

“Dipende,” disse Ted. “Abbiamo già visto quanto inaffidabili le strade possano… dannazione.”

Per un momento Kevin pensò che ci potesse essere un altro blocco lungo la strada. Poi vide la fila di persone in uniforme con le pistole puntate.

Li fissò scioccato. Sentì il chiacchiericcio degli altri alla radio mentre vedevano anche loro quello che stava succedendo. Anche Ted appariva teso. Sebbene non sorpreso. Se non altro aveva l’aspetto di essersi aspettato una cosa del genere.

“Troppo tardi per fare marcia indietro,” disse Ted rallentando la Jeep. “C’è troppa gente dietro di noi. Pare che dovremmo usare le maniere forti.”

Fermò il veicolo e si girò verso Kevin. “Sembrano dell’esercito colombiano piuttosto che appartenenti ai cartelli, quindi dovrebbe andare tutto bene, ma se non fosse così, state qui e tenete la testa bassa. Capito?”

“Sì,” disse la madre di Kevin.

Ted guardò Kevin. “Capito?”

“Ok,” disse Kevin. Cosa pensava che lui potesse fare? “Ehm, non hanno intenzione di spararci, vero?”

“Probabilmente no,” disse Ted.

“Probabilmente no?” Non era molto rassicurante. Kevin avrebbe preferito un “decisamente no” o addirittura un “niente di cui preoccuparsi.”

Ted fece cenno con la testa verso il punto dove si trovava il professor Brewster che già si stava dirigendo davanti alla carovana. “Immagino che dipenda da chi lasceremo parlare.”

Saltò giù e Kevin poté vedere un gruppo di altre figure che pure passavano avanti, felici di essere di aiuto o solo intenzionati a mostrare la loro autorità, o magari semplicemente curiosi di vedere cosa stesse accadendo.

Fu certamente quello il motivo per cui anche lui iniziò a uscire dalla Jeep.

“Kevin,” disse sua madre. “Ted ci ha detto di restare nel veicolo.”

“Lo so, mamma,” le rispose, “ma non pensò che farà una grossa differenza se dovesse esserci uno scontro”

“Kevin!” ripeté sua madre mentre lui balzava a terra e iniziava a camminare. La sentì seguirlo, ma continuò ad avanzare. Non si sarebbe perso questa cosa.

Quando ebbe raggiunto il gruppo di uomini armati, stavano già discutendo in un tono che sembrava pericolosamente vicino alla violenza. Kevin aveva visto ragazzi a scuola andare ben oltre l’insultarsi a vicenda, per niente intenzionati a tornare sui propri passi per paura di apparire stupidi. C’era sempre la sensazione di non voler combattere, di avere paura e che tutta la faccenda fosse qualcosa di stupido, ma nonostante tutto andavano avanti. Kevin non si era mai aspettato di sentire degli adulti fare lo stesso, ma pareva che alcuni lo facessero.

“… E io vi sto dicendo, professore, che questo è territorio sovrano della Colombia,” stava dicendo un uomo, rivolto al professor Brewster. “Se questo aggeggio fosse caduto in territorio statunitense, mi sta dicendo che ci avrebbe permesso di portarlo via come state tentando di fare voi?”

“No, certo che no, generale,” rispose seccamente il professor Brewster. “Perché noi abbiamo le migliori strutture scientifiche del mondo.”

“State mettendo in dubbio la qualità del programma scientifico colombiano?” chiese il generale.

“Sto dicendo che non possedete un decimo delle risorse che abbiamo noi,” rispose il professor Brewster.

La cosa non parve fare colpo sull’altro uomo. Se non altro, parve solo scocciarlo.

“Quindi è questo, giusto? Gli Stati Uniti sono più grandi e più ricchi, e quindi dobbiamo tutti inchinarci a quello che vogliono?” Kevin lo vide scuotere la testa. “Abbiamo avuto abbastanza di tutto questo nel passato. Pensate che non riconosca qui alcuni degli uomini del passato?”

“Quando siamo stati invitati,” disse Ted avvicinandosi. “Generale Marquez, non l’ho sentita lamentarsi quando eravamo qui ad aiutare il vostro paese contro i cartelli.”

“E ora invece vi state servendo da soli,” rispose l’altro.

“Abbiamo preso contatti attraverso i canali diplomatici,” disse il professor Brewster. “Vi abbiamo detto che saremmo venuti.”

“Ma non avete aspettato un permesso,” disse il generale Marquez. Kevin aveva la sensazione che le cose stessero rapidamente precipitando, e lui si trovava nel mezzo di tutto questo, circondato da adulti che litigavano. Adulti che di certo non avrebbero ascoltato qualcuno come lui, e che sembravano determinati a discutere e gridare fino a che tutto non fosse scoppiato nella violenza.

“Se mi volete dare un minuto, signore,” disse Ted. “Sono certo di poter trovare al telefono il nostro presidente, per voi e per il vostro.”

“In modo che concordino che dovreste fare quello che volete per una qualche concessione minore, per una qualche vuota promessa?” chiese il generale. “Il nostro presidente è un brav’uomo, ma questa è una faccenda militare.”

“Pare che lo possa diventare,” disse Ted. La cosa strana per Kevin era che non alzò la voce, neanche nel mezzo di una situazione pericolosa come quella. Il professor Brewster stava sudando, e Kevin poteva sentire il suo nervosismo in crescita, ma sembrava che l’ex soldato fosse proprio… calmo.

Era un tipo pericoloso di calma, però, e la cosa preoccupava Kevin quasi quanto il resto.

“La metterò in termini semplici,” disse il generale Marquez. “L’oggetto che state trasportando appartiene al popolo colombiano. Ne prenderemo possesso. Se tenterete di fermarci, verrete arrestati e imprigionati. E ora fatevi indietro.”

Si mosse verso il primo furgone della carovana, ovviamente intenzionato a controllarlo per vedere se contenesse segni degli alieni.

“Non posso permettervi di toccare quel furgone, signore,” disse Ted, e ora in qualche modo aveva un’arma in mano, puntata direttamente contro il generale colombiano.

Tutt’a un tratto ci furono più pistole puntate di quante Kevin avesse mai potuto vederne in vita sua.

CAPITOLO QUINDICI

Kevin fece del suo meglio per non apparire spaventato mentre decine di armi erano puntate verso di lui. Non era facile. La maggior parte dei Colombiani sembravano mirare a Ted, ma dato che Kevin non si trovava tanto distante, la distinzione non faceva per lui poi tanta differenza. I soldati dalla loro parte, nel frattempo, avevano colto l’opportunità per sollevare le loro armi contro i Colombiani. Quella che era stata fino a poco fa una condizione unilaterale si era trasformata nel giro di pochi secondi in un pericoloso punto di stallo.

“Siete pur sempre in minoranza,” disse il generale Marquez. “Se sparate, morirete tutti.”

Ted scrollò le spalle. “Con rispetto, signore, lei sarà il primo a morire.”

Si spostò in modo che il generale fosse tra lui e gli altri Colombiani.

“Pensi che mi interessi?” chiese il generale Marquez. “Una cosa come questa è più importante di te, più importante di me, e resto ancora con una potenza superiore di attacco.”

“Allora è una buona cosa che abbia chiamato il supporto aereo,” disse Ted.

“Stai bleffando.”

Ma Kevin poté sentire il rumore di lame rotanti in lontananza, e parve che tutti le udissero. Avrebbe dovuto farlo sentire al sicuro, ma per quello che poteva vedere l’intera situazione diventava invece ancora più pericolosa. Questo aumentava solo il numero di persone che avrebbero potuto decidere di aprire il fuoco nel momento sbagliato.

Di fatto, un elicottero apparve da sopra gli alberi, spigoloso e dotato di punte come armi. Kevin si trovò a ripensare alla telefonata che Ted aveva fatto prima. Si era aspettato che succedesse, o almeno che capitasse una cosa del genere. Guardò in alto, poi riportò lo sguardo su tutti gli uomini con le pistole reciprocamente puntate. Altri pochi secondi e c’era la probabilità che ci fossero proiettili che volavano ovunque.

Quindi Kevin fece l’unica cosa che poteva e si portò davanti, fra Ted e il generale.

“Levati di mezzo, Kevin,” disse Ted.

“Dovresti spostarti,” confermò il generale Marquez.

Kevin scosse la testa. “No.”

“Kevin!” gridò suo madre più indietro, ma un paio di ricercatori la presero per un braccio e la trattennero. “Levati da lì!”

Kevin non si mosse. Spostava lo sguardo da Ted al generale colombiano, restando tra i due mentre sopra l’elicottero si librava in costante minaccia.

“Vi state entrambi comportando da idioti,” disse Kevin. Non era il modo in cui avrebbe dovuto parlare a degli adulti, e certo non ad adulti pesantemente armati come quelli, ma per quanto Kevin poteva vedere, quella era l’unica verità.

“Non sai cosa sta succedendo qui, Kevin,” disse Ted.

“Ha ragione,” confermò il generale Marquez. “Non capisci le implicazioni di questa cosa.”

Perché gli adulti pensavano sempre di essere gli unici a capire le cose? Perché pensavano che i ragazzi come Kevin fossero stupidi?

“Voi non volete che un gruppo di persone che vengono da fuori della Colombia entrino qui e prendano ciò che è vostro, o che vi dicano cosa fare,” disse Kevin, “perché pensate che sia come ammettere che sono meglio di voi. E Ted non vuole cedervi la capsula in parte perché pensa che abbiamo fatto noi la maggior parte del lavoro nel trovarla, e in parte perché ha degli ordini da seguire, e lui è il tipo di persona che li seguirebbe a qualsiasi costo. È tutto decisamente stupido.”

Ted piegò la testa di lato. “Kevin non ha tutti i torti. Io ho degli ordini da seguire.”

“E io non voglio vedere la Colombia insultata dagli Americani che si portano via questo oggetto,” disse il generale Marquez. “Avete già interferito fin troppo con il nostro paese.”

“Quindi vi state entrambi comportando da testardi,” disse Kevin. Non era una bella cosa parlare ai due adulti in quel modo, ma era proprio la verità, e comunque, se non lo avesse fatto, probabilmente tutti avrebbero prima o poi sparato. Sembrava un buon motivo per continuare su quella linea, quindi fece un cenno indicando gli scienziati. “Guardate tutti i diversi paesi che stanno lavorando insieme. Se lo possono fare loro, perché non voi?”

“Cosa suggerisci di fare?” chiese il generale Marquez.

Kevin almeno per quello aveva una risposta. “Avevamo intenzione di portare la capsula in un laboratorio della UN…”

“Il centro WHO,” precisò Ted.

“Quindi perché non farlo?” chiese Kevin. “Sembrerà come se tutto stesse accadendo perché è stato concesso, e voi potreste essere presenti quando apriremo la capsula. Tutti potrebbero vedere.”

“Comprese le telecamere,” disse Ted. Abbassò la pistola. “Ho sentito che state pensando di portarvi in politica, generale.”

Il generale rimase in silenzio per diversi secondi mentre considerava la cosa, e Kevin pensò che ora capisse parte della questione.

“Non vi farebbe apparire debole,” disse. “Farebbe sembrare le cose come se voi foste il responsabile di aver concesso questo al mondo. Questa cosa è stata inviata sulla Terra, non in un paese specifico. È per tutti. Non è qualcosa che qualcuno in particolare potrebbe dichiarare di possedere.”

Il generale Marquez ci pensò ancora un poco, poi annuì. “Molto bene.” Si rivolse ai suoi uomini in spagnolo, e tutti abbassarono le armi. “Vi accompagneremo al complesso della UN, e guarderemo questo oggetto che viene aperto. Sei stato molto coraggioso, ometto.”

Kevin si sentì arrossire per l’orgoglio a quelle parole, anche se un’occhiata al volto di sua madre gli fece capire i guai in cui si trovava per essersi messo in una situazione così pericolosa. Ted gli mise un braccio attorno alle spalle e lo riportò alla Jeep.

“Ben fatto,” disse, “ma non rifare mai più una cosa tanto stupida. Potevamo farci ammazzare tutti.”

 

Poteva succedere, ma non era successo. Meglio ancora, i furgoni si rimisero in moto nella loro carovana e si diressero verso il luogo dove avrebbero finalmente scoperto cos’avevano inviato gli alieni sulla Terra dal loro mondo.

“Stiamo andando ad aprire la capsula,” disse Kevin. Non poteva celare l’eccitazione nella voce.

“Sì,” disse Ted, e per una volta parve entusiasta almeno quanto Kevin. “Stiamo per vedere cosa ci hanno mandato gli alieni.”