Solo chi è coraggioso

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CAPITOLO QUATTRO

“Non c’è niente qua fuori, Royce,” insistette Mark, ma Royce scosse la testa. Non poteva spiegare tutto quello che aveva visto senza rischiare di cambiare le cose, ma sapeva che quella era la direzione giusta. Mise una mano sulla borsa che conteneva lo specchio, sentendo la sua rassicurante presenza.

“Stiamo andando dalla parte giusta,” lo rassicurò Royce.

“Allora dicci perché,” chiese Mark.

Royce esitò. “Io… non posso. Vi prego, dovete fidarvi di me.” Si voltò a guardare Matilde e Neave. “So che è difficile, ma so quello che sto facendo.”

“Sarebbe più facile se ci fossero terre in vista,” disse Matilde, indicando la distesa aperta del mare attorno a loro. “Non voglio restarmene qui ad andare alla deriva, Royce.”

Gwylim abbaiò come se fosse d’accordo con lei.

“Possiamo sempre mangiare te se finiamo il cibo,” disse Neave. Royce ci mise qualche secondo a capire che era una sua idea di battuta. La ragazza lo guardò negli occhi. “Se dici che questa è la direzione che dobbiamo seguire… beh, hai già avuto ragione altre volte.”

Royce le era riconoscente per questo, anche se era perfettamente consapevole che la giovane Picti avrebbe potuto facilmente sottolineare anche tutte le volte in cui si era sbagliato. Royce li aveva già condotti lungo una pista falsa, trovando lo specchio ma non suo padre. E se questa volta fosse stato lo stesso? E se lo specchio non gli avesse mostrato la verità?

Quella sensazione lo tormentava mentre continuavano a navigare, perché Royce sapeva quanta gente era stata deviata per aver visto troppo, considerando le possibilità come fossero certezze. Barihash aveva distrutto un’intera città per questo. Royce poteva condurre i suoi amici alla morte allo stesso modo.

Quella possibilità gli faceva venire voglia di girare la barca. Voleva che gli altri fossero al sicuro, voleva fare la cosa giusta per loro e per il regno, eppure le cose che aveva visto continuavano a fare pressione su di lui. Non erano la vasta gamma di possibilità e varianti che aveva visto nello specchio, eppure poteva ancora mantenersi sul filo centrale, poteva ancora ricordare i passi che doveva compiere. Guardò oltre attraverso gli occhi di Bragia. Il falco stava volando disegnando cerchi sopra alla barca, e in lontananza gli parve di distinguere la striscia verde di un’isola.

“Lì!” disse. “C’è un’isola lì!”

Gli altri parvero essere incoraggiati da quella visione. Mark corresse la rotta di un poco, Matilde e Neave aspettarono con ansia che il vento spingesse avanti la barca. Gwylim si portò a prua, lì immobile come una polena. Presto fu possibile vedere l’isola in lontananza, anche senza gli occhi di Bragia.

Era piccola confronto alle Sette Isole che si erano lasciati alle spalle, ma lussureggiante di erba e alberi, tanto che sembrava un gioiello verde che sbucava dal mare. Era piuttosto pianeggiante e l’interno dell’isola scompariva tra gli alberi, cosicché era impossibile vedere molto dalla barca. Quando si furono avvicinati, Royce distinse delle spiagge di sabbia dorata che si fondevano con i boschi come il bianco di un occhio attorno all’iride verde.

“Speriamo solo che non ci siano donne magiche o lucertoloni anche qui,” disse Matilde.

Neave scrollò le spalle. “Se ricordo bene, Lethe ti piaceva abbastanza.”

“Non è il momento di mettersi a litigare,” disse Royce. “Ma avete ragione, potrebbero esserci dei pericoli.”

Fece volare Bragia sopra alla spiaggia, usando il falco come guida, volendosi assicurare di non portare i suoi amici in un altro posto colmo di pericoli. Avrebbe potuto guardare nello specchio, ma quella era un’opzione ancora più pericolosa: doveva vedere ciò che era, non ciò che poteva essere. Attraverso gli occhi del falco, Royce vide che gli alberi formavano un cerchio esterno attorno al centro dell’isola, mentre dentro si trovava un vasto terreno aperto ricoperto di erba.

Su di esso vide un branco di cervi bianchi che brucavano e gli parve che un cervo maschio sollevasse la testa al passaggio di Bragia, le corna maestose stagliate al vento mentre controllava il volo del falco. Ora Royce sapeva senza ombra di dubbio che questo era il posto che lo specchio gli aveva promesso. Significava anche che sapeva cosa fare adesso.

“Siamo nel posto giusto,” disse. “Devo scendere a riva da solo.”

“Da solo?” chiese Mark con voce ovviamente incredula. “Dopo che abbiamo fatto tutta questa strada con te, vuoi andare da solo?”

“Devo,” disse Royce. “Io…” Di nuovo provò la tensione dei futuri che minacciava di mutare. Se avesse spiegato, sapeva che le cose che aveva visto sarebbero cambiate del tutto. “Non posso spiegarne i motivi, ma devo andare su quest’isola senza nessun altro.”

“Sai come sembra?” chiese Matilde.

“Sembra una sciocchezza senza senso, lo so,” confermò Royce.

“No Royce,” rispose lei. “Sembra che non ti fidi di noi.”

“Metterei la mano sul fuoco per voi,” disse Royce. “E quando potrò, spiegherò tutto. Ma adesso non posso.”

“E quindi devi andare sull’isola da solo, soltanto con la spada di ossidiana come protezione?” chiese Neave. La sua disapprovazione era evidente come quella degli altri.

“Penso… penso di poter portare Gwylim e Bragia con me,” disse Royce. La forma del potenziale futuro non sembrava essere intaccata dall’idea della loro presenza. “Vi prego, siete arrivati fino a questo punto fidandovi di me. Vi chiedo solo un altro sforzo.”

“Va bene,” disse Mark sospirando. Ma non mi piace.

Portarono la barca il più vicino possibile alla riva, senza toccare la spiaggia, poi buttarono in mare una piccola ancora per tenerla ferma. Royce controllò di avere la sua spada e tutto il resto di cui aveva bisogno, mentre Gwylim si portava al suo fianco. La presenza del bhargir gli dava un senso di potere e sicurezza di cui Royce era grato. Bragia volava sopra di loro, disegnando dei cerchi attorno all’isola alla ricerca di pericoli. Royce mise lo specchio nella borsa di velluto che aveva alla cintura.

“Tornerò appena posso,” promise ai suoi amici.

Royce scese dalla barca, mettendo i piedi in acqua. Era bassa lì e gli arrivava solo alla vita, ma lo stesso avanzò con cautela mentre si dirigeva verso la costa. C’era sempre il rischio di qualche creatura pericolosa nell’acqua. Il bhargir nuotò fino a che non poté posare le zampe sulla sabbia e camminare come Royce.

Arrivarono alla spiaggia, con le onde che lambivano delicatamente la sabbia. Guardandosi alle spalle, Royce vide che i suoi amici erano ancora sulla barca, in attesa ma preoccupati. Sapeva che avrebbe dovuto fare in fretta: se ci avesse messo troppo, sarebbero di certo venuti a cercarlo, semplicemente per assicurarsi che stesse bene.

Si portò in mezzo agli alberi, con Bragia che volava in alto, guardando attraverso i suoi occhi il più spesso possibile per assicurarsi che la direzione fosse quella giusta. La vegetazione era piuttosto rada e Royce poteva scorgersi in mezzo agli alberi, guardando se stesso dall’alto attraverso gli occhi del falco. Si addentrò di più verso l’interno dell’isola, diretto verso il punto dove il paesaggio si apriva in una distesa pianeggiante e scoperta.

Tra gli alberi vide molte piante che conosceva: frutti e radici commestibili che suggerivano che qualcuno potesse vivere sull’isola per tutto il tempo che voleva, senza doversi preoccupare di morire di fame. Royce poteva sentire poco lontano il rumore di un corso d’acqua, e avvicinandosi a quel suono, trovò l’acqua che sgorgava da dei massi ricoperti di muschio. Meglio ancora, vide il piccolo secchio di fortuna che vi era stato posto accanto, ovviamente progettato e costruito per prendere l’acqua. L’aveva fatto suo padre?

Royce osava sperarlo, mentre arrivava al limitare degli alberi e metteva piede sulla piana ampia ed erbosa. L’erba era corta, ovviamente mantenuta a quell’altezza dagli sforzi dei cervi, mentre c’erano dei punti dove non ce n’era proprio, perché vi si trovavano delle grandi piastre di roccia, contrassegnate da simboli e segni intagliati sulla superficie. La maggior parte dei cervi corsero via sparpagliandosi, diretti verso il bosco alla ricerca di un nascondiglio. Solo uno rimase lì: un cervo maschio più grande degli altri, le corna magnifiche, la pelliccia bianca che luccicava al sole. Si impennò, lanciando un bramito scocciato, poi andò verso gli alberi insieme agli altri. Se Royce non avesse già saputo di essere nel posto giusto, lo avrebbe scoperto adesso.

Ora che si trovava in quell’ampia radura nel cuore dell’isola, poteva vedere la capanna che vi era stata costruita, riparata sotto agli alberi di lato. Era di semplice fattura, ma sembrava robusta, costruita con alberi caduti e tagliati da mani che chiaramente sapevano quello che facevano.

Royce si diresse verso la capanna, ragionando sul fatto che ciò che era venuto a cercare qui poteva solo trovarsi là dentro. Attraversò la radura, passò oltre le lastre di pietra e si trovò a fermarvisi accanto per leggere. Vi trovò le parole delle persone che erano state lì prima, e qualcosa in quelle parole parve risuonare nel profondo della sua anima. Alcuni rimasugli della chiarezza che aveva trovato nello specchio gli dicevano che quelle erano parole in una lingua antica riguardo ai suoi antenati, re e regine di cui le pietre avevano cantato e i cui regni erano stati pieni di magia.

Royce andò fino alla capanna. Era semplice, ma poté vedere che qualcuno aveva iniziato a intagliare delle scritte nel legno, lavorando con un coltello lungo, o forse con un’accetta tenuta con mani attente. Royce fissò gli intagli, che sembravano raccontare la storia di un uomo che aveva attraversato il mare, che aveva fissato nello specchio e…

 

Royce sentì Gwylim ringhiare accanto a sé e si girò giusto in tempo per vedere un’ascia che calava verso il suo volto. Royce si gettò di lato e l’arma si piantò nel legno, liberandosi subito dopo mentre un uomo grande e grosso con i capelli scompigliati e la barba incolta la tirava su di nuovo.

“Carris finalmente mi ha trovato e ha mandato un assassino?” chiese l’uomo, pronto a colpire ancora con la sua accetta.

Royce fece un salto indietro, schivando con fatica il fendente. Sguainò la spada di ossidiana e parò il colpo successivo, trovando solo a malapena la forza per tenere la lama alla larga dalla sua testa. Al suo fianco, Gwylim ringhiava, pronto a saltare da un momento all’altro.

“No, Gwylim, non farlo,” disse Royce. La distrazione quasi gli costò la vita mentre il suo avversario lo colpiva allo stomaco con il manico dell’ascia, pronto poi a calarla contro di lui in un fendente mortale. Royce rotolò via e l’accetta colpì la terra dove si era trovato un istante prima.

“Padre, ti prego,” gridò Royce. Gettò via la spada di ossidiana, intenzionato a fargli capire che non era lì per combattere.

“Pensi che possa cascare in un trucchetto del genere?” chiese suo padre. “Pensi che gli assassini non abbiano finto di essere tutti coloro a cui voglio bene, ormai? Intendi indurmi ad abbracciarti così da potermi pugnalare? Ho dato a mio figlio un ciondolo con il mio sigillo in modo da poterlo riconoscere. Ce l’hai? No? Penso di no!”

Fece un passo avanti, l’ascia sollevata sulla propria testa, e per un momento Royce temette che la magia dello specchio lo avesse reso pazzo come aveva fatto con Barihash, capace solo di vedere nemici ovunque. Royce alzò le mani per arrendersi, nella speranza che suo padre fosse un uomo ancora abbastanza buono almeno da riconoscere quel gesto.

L’uomo rimase fermo fissando le mani di Royce, che presto si rese conto di cosa stava guardando: il simbolo impresso lì, le cicatrici di quando era stato bambino, quando aveva allungato la mano per afferrare il ciondolo che era finito in mezzo alle fiamme.

Suo padre si fermò e lasciò cadere l’accetta. “Tu… quello è il mio simbolo. Quello è il ciondolo che ti ho dato. Tu sei mio figlio.”

Royce sorrise. “Ciao, padre.”

CAPITOLO CINQUE

Royce stava fermo, i palmi tesi in avanti. L’uomo fece un passo indietro.

“Royce, sei proprio tu?”

“Sì, padre,” gli rispose, e anche lui stentava a crederlo. Dopo tutto quello che aveva passato per trovarlo, suo padre ora era lì davanti a lui. Quest’uomo dall’aspetto selvaggio, con la barba così lunga da sfiorargli l’ombelico, era suo padre. Il re.

Era difficile da credere, ma Royce sapeva che era vero. Royce poteva vederlo ora, nella somiglianza con i suoi lineamenti, ma c’era di più. Suo padre portava un anello con il sigillo reale, e anche se i suoi abiti erano consumati e sbiancati dal sole, se ne riconosceva ancora la loro ricca origine.

“Sei tu. Sei…”

Suo padre corse in avanti e lo abbracciò con forza. “Ho aspettato… così tanto questo giorno.” La sua voce risuonava secca e un po’ rotta, come se non avesse parlato per molto tempo. Sembrava ricordare le parole con un po’ di difficoltà. “Sei sicuro… sei sicuro che sei tu? Che non sei un sogno?”

Era il genere di domanda che poteva venire solo dall’essere rimasto solo così a lungo.

“No, non importa. Sei tu. L’ho visto! Ho visto tutto! Dal momento in cui ho trovato tua madre tanto tempo fa, ho sperato così tanto di poterti rivedere quando fossi cresciuto.”

Royce rispose all’abbraccio di suo padre. C’erano così tante domande che voleva fargli, così tante cose che voleva dirgli.

“Vedi le pietre?” chiese suo padre, con l’orgoglio di un uomo che vuole fare mostra del poco che possiede. “Le storie dei tuoi antenati, Royce.”

Fece strada accanto alla capanna, fino a un punto in cui si trovava un’altra lastra di roccia, screpolata e composta di diversi pezzi. Sopra c’era l’inizio di un’altra storia.

“Ho cercato di aggiungere la mia vita alle loro,” disse re Filippo. “Su un’isola come questa, è facile trovare il tempo per farlo. Ho parlato con loro, anche se non mi hanno risposto. Non volevo dimenticare come si parla.”

“Perché venire qui, però?” chiese Royce.

Suo padre scrollò le spalle. “Ho guardato nello specchio.”

Era una risposta, e allo stesso tempo non lo era. Per chiunque altro, non avrebbe avuto senso, ma anche Royce aveva guardato. Poteva capire cosa significava dover fare cose che non si potevano spiegare.

“Ci sono cose che non si possono dire,” disse.

Suo padre annuì. Allontanandosi da lui, si avvicinò a Gwylim e gli si piegò accanto, non nel modo in cui uomo avrebbe fatto con un cane, ma piuttosto come con un uomo seduto a terra. Tese il braccio e Bragia vi atterrò sopra.

“Questi che hai trovato sono strani compagni, figlio mio,” disse. “Lo strumento di una strega e una cosa che non è sempre stata un lupo.”

“Non sono gli unici,” disse Royce. “I miei amici sono ancora sulla barca.”

“E se fossero venuti sull’isola, non mi sarei fatto vedere,” disse suo padre. “Sarei stato alla larga e avrei rubato la vostra barca per fuggire.”

Royce annuì, perché quella parte la conosceva. L’aveva vista nello specchio.

“Perché te ne sei andato?” gli chiese. “Perché sei venuto qui?”

“Dovevo andarmene, altrimenti mi avrebbero ucciso,” disse suo padre. “E avrebbero ucciso anche te. Sono venuto qui perché questo posto un tempo era nostro, della nostra famiglia.”

“E hai lasciato una pista da seguire per me, perché sapevi che sarei venuto a cercarti,” disse Royce.

“Non ne sono sicuro,” spiegò suo padre. “Stare aggrappati alle cose dello specchio è difficile. Ricordo di averlo fatto, ma tutti i motivi, e tutte le cose che potrebbero portare a… tu hai guardato nello specchio, anche se ti ho avvisato di non farlo.”

“Sì,” disse Royce. “Devi aver visto che l’avrei fatto.”

Suo padre sorrise, come se Royce non avesse colto il punto. “Non funziona così.”

“Io ho visto delle cose,” continuò Royce. “Ho visto come deve andare questa cosa. Devi tornare. Il re deve tornare perché tutto abbia fine.”

Ora il sorriso di suo padre divenne una risata che riecheggiò nello spazio aperto della radura, facendo scappare i pochi cervi che avevano ricominciato a pascolare.

“Non funziona neanche così,” gli spiegò.

“E allora come funziona?” chiese Royce.

“Lo specchio non ti dona saggezza, ma ti mostra delle possibilità,” disse suo padre. “Così tante che è impossibile conservarle tutte. La tua mente ne sceglie alcune, ma quello che ottieni è ciò che ci porti. Barihash, la cosa là sotto, deve aver provato sospetto prima di guardarci, quindi si è aggrappato a tutte le possibilità che gli mostravano i modi in cui veniva tradito.”

Aveva un sacco di senso per Royce. Lui stesso aveva visto quelle possibilità ed era stato in grado di mettersi a scegliere tra esse. Aveva scelto il filo scintillante delle cose che potevano funzionare, e anche adesso lo vedeva nella sua mente, mentre il resto era impossibile da conservare.

“C’era un… uomo,” disse Royce. “Gli ho mostrato lo specchio nel momento prima che mi uccidesse e lui… si è fermato. Mi ha implorato di ucciderlo.”

“L’uomo grigio,” disse suo padre. “L’Angarthim.”

Non disse altro per qualche secondo, avendo ovviamente difficoltà a trovare le parole.

“Qual è la cosa più orribile che puoi mostrare a un uomo che ha subito un lavaggio del cervello per tutta la vita? Puoi mostrargli la verità. E quali possibilità gli avrà mostrato la sua mente, essendo lui un uomo che prima aveva visto solo dei frammenti?”

Royce non poteva neanche immaginarlo. E poi, non voleva davvero immaginarlo, perché c’erano troppe possibilità già nella sua testa, senza doversi mettere a pensare ad altro. Aveva visto qualcosa di ciò che sarebbe successo se lui avesse fatto la cosa sbagliata, tutti i modi in cui il mondo poteva trasformarsi in sangue, morte e orrore. Doveva tenersi stretto al sentiero che andava in mezzo a tutto ciò che aveva visto, e questo era l’unico modo in cui le cose sarebbero andate bene.

“Perché non mi ha fatto impazzire?” chiese.

“Perché sei abbastanza forte da vederlo per quello che è,” disse suo padre. “O perché sei stato abbastanza forte da tirarti indietro quando ne hai avuto bisogno. Ho visto uno scorcio. Avrei potuto lottare contro Barihash per più di questo, ma sapevo che non avrei mai potuto contenere tutto.”

“Io ho ucciso Barihash,” disse Royce. Provò un certo senso di colpa nell’ammetterlo a suo padre.

Ma l’uomo annuì. “Bene. A volte il male deve essere sconfitto. Era fatto di dolore, odio e sospetto, e non avrebbe mai potuto portare altro che male nel mondo. È lo stesso con re Carris, e la guerra che verrà. Ci sarà violenza, ma è violenza necessaria.”

Royce lo poteva capire. Aveva lottato contro il vecchio duca per gli stessi precisi motivi; aveva lottato contro Altfor e suo zio e tutti quelli che erano venuti con loro. Aveva sperato di poter migliorare le cose se solo avesse potuto sconfiggerli.

Ora, le possibilità che il suo cervello a malapena poteva contenere suggerivano che c’era bisogno di altro ancora. La chiarezza che lo specchio gli aveva dato, l’abilità di guardare il mondo e semplicemente vedere, gli aveva mostrato che ci voleva ben più della sola violenza. Se si fosse solo tuffato in quello, ne sarebbero conseguiti solo anni di morte.

Ovviamente se non avessero combattuto per niente, allora le cose sarebbero rimaste come erano, con tutta la crudeltà che ne conseguiva. La via in mezzo a quei due estremi era così sottile da assomigliare a un precipizio, con il pericolo subito sotto in attesa.

“Sono già passato sopra a dei precipizi,” disse Royce tra sé e sé.

“Cosa?” chiese suo padre.

“Sto solo tentando di capire cosa fare adesso,” rispose lui. In qualche modo gli sembrava sbagliato. “Anche con tutto quello che lo specchio mi ha mostrato, devo ancora capirlo.”

“Lo specchio non ti mostra quello che dovresti fare,” disse suo padre. “Questo è l’errore più pericoloso che si può fare. Hai ancora delle scelte. Hai sempre delle scelte. Tutti le hanno.”

Aveva più senso di quanto Royce avrebbe potuto credere. Non voleva distruggere le scelte delle persone che venivano con lui. Pur chiedendo agli altri di fidarsi di lui al punto da venire fino a lì, non li avrebbe mai costretti a farlo. Aveva solo potuto sperare che credessero in lui tanto da accompagnarlo fino a lì.

Ora aveva un’altra cosa da chiedere.

“Padre,” disse. “Ho attraversato l’oceano per venirti a cercare. Ho trovato lo specchio sulle Sette Isole, ma stavo cercando te. Sono venuto qui perché volevo trovare mio padre, e perché credo che il regno abbia bisogno del suo re.”

Suo padre rimase fermo per un momento o due, poi scosse la testa. “Non sono sicuro di poterlo fare, Royce.”

La delusione gli percorse tutto il corpo, assoluta.

“Ma ho fatto tutta questa strada!”

Poteva sentire il dolore nella propria voce, e rispecchiava quello sul volto di suo padre.

“Ho guardato nello specchio,” disse suo padre. “Mi sono visto qui, non che tornavo nel regno.”

“Ma questo è stato tanto tempo fa,” disse Royce. “Le cose sono cambiate, padre.”

Suo padre scosse la testa. “Sai che ci sono cose che non posso dire.”

Cose che aveva visto, ipotizzò Royce. Questo però gli diede un’idea. Portò la mano alla borsa che aveva al fianco.

“Ci guarderesti dentro ancora?” gli chiese, porgendogli lo specchio.

“Sai i pericoli che ci sono,” disse suo padre, ovviamente preoccupato. “Un uomo non dovrebbe guardarci dentro troppo spesso, per tutte le cose che questo potrebbe cambiare.”

“Per favore,” lo implorò Royce.

Suo padre esitò, poi annuì. Lentamente e con cautela guardò nello specchio. Parve fissarlo per un’eternità, così a lungo che in effetti Royce pensò di tirarlo via, nascondendoglielo in modo che non potesse continuare.

Alla fine suo padre chiuse gli occhi.

“Pare che il regno avrà i suoi re,” disse con espressione indecifrabile. Era chiaro che aveva visto altro, cose che Royce non conosceva. “E tu avrai tuo padre.”

Royce rimase con il respiro sospeso.

 

“Allora tornerai nel regno con me e i miei amici?” gli chiese, osando sperare.

“Sì,” promise suo padre. Andò per un momento o due nella capanna, raccogliendo una piccola sacca, quasi uguale a quella che Royce aveva trovato sulla prima delle Sette Isole. Pareva essere tutto quello che voleva portare con sé.

“Non ho la tua armatura o la tua spada,” disse Royce. “Le ho perse sulle Sette Isole.”

“Non ha senso,” disse suo padre. “Ho visto… no, come ho detto, non funziona così.”

Royce sapeva bene che non doveva chiedere ciò che aveva visto., ma era difficile non pensarci, mentre si incamminavano in mezzo agli alberi e si dirigevano verso il limitare dell’isola. Era anche difficile non rimuginare sul fatto che finalmente aveva trovato suo padre. L’uomo che se n’era andato tanto tempo prima ora era qui, e camminava accanto a lui insieme a Gwylim, mentre Bragia svolazzava tra gli alberi.

Il tragitto fino alla spiaggia non parve richiedere tanto tempo quanto quello per la camminata fino al centro dell’isola. Si mossero rapidamente e presto si trovarono a guardare il punto in cui era ancorata la barca. Gli amici di Royce erano ancora lì in attesa nella barca, quando Royce e suo padre arrivarono, ma saltarono presto a terra per andare loro incontro quando lo videro in compagnia.

“Una Picti, una ragazza di paese e un combattente dell’Isola Rossa?” chiese suo padre.

“I miei amici,” rispose Royce. “C’era anche un cavaliere, Sir Bolis, ma è morto sulle Sette Isole, salvando tutti quanti noi.” Fece un passo avanti verso i suoi amici, pronto a presentarli uno per uno. “Ragazzi, ecco mio padre, re Filippo, il legittimo re. L’abbiamo trovato.”

I suoi amici reagirono con sorprendente deferenza. Mark si inchinò, Matilde fece una riverenza e addirittura Neave chinò il capo in segno di rispetto.

“Padre, questo è Mark. Mi ha aiutato a sopravvivere sull’Isola Rossa ed è il mio migliore amico.”

Su padre strinse la mano di Mark. “Un uomo che ha salvato la vita di mio figlio ha tutta la mia gratitudine.”

“Lui ha salvato la mia ancora più spesso,” gli assicurò Mark.

Royce andò avanti. “Questa è Matilde, che ha preso parte della resistenza alle regole del vecchio duca praticamente dall’inizio. È ancora più feroce di quello che sembra.”

“Davvero?” chiese suo padre. Guardò Matilde. “Direi che già a guardarti sembri abbastanza valorosa. Mi piacerebbe combattere al tuo fianco.”

“Grazie, vostra maestà,” disse Matilde compiaciuta.

“E tu,” chiese l’uomo, voltandosi verso Neave.

“Neave, vostra maestà,” disse lei, e nella sua voce c’era una nota di rispetto che Royce non si era aspettato.

“I Picti meritano un posto migliore nel regno rispetto a quello che sono stato in grado di dare loro,” disse. “Rispettano la magia che c’è nel mondo in un modo che la gente ha dimenticato. Se sei qui, significa che la tua tribù combatte al fianco di mio figlio?”

“Sì,” rispose Neave. “Ha fatto gridare la pietra guaritrice. Anche altri si uniranno alla sua causa.

“Pare che tu abbia preparato un bell’esercito,” disse il padre di Royce.

Royce annuì. “Ci stiamo lavorando. Per quando saremo tornati, spero che i miei fratelli avranno raccolto abbastanza gente da poter avere la meglio su re Carris. Però ci serve un simbolo. Ci serve il legittimo re. Ci servi tu.”

“Sono con voi,” promise suo padre. Indicò la barca. “Abbiamo un lungo viaggio, però, e una dura battaglia quando saremo arrivati.”