Tasuta

Tramutata

Tekst
Märgi loetuks
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

Lui controllò dietro di loro, e così fece anche lei. Riusciva a vedere a malapena, con il vento che le sferzava sugli occhi, ma poteva vedere sufficientemente bene da capire che nessuno, nessuna creatura, li stava seguendo.

Lui rallentò un poco, poi si abbassò gradualmente scendendo di quota. Ora stavano volando a filo con gli alberi. Era bellissimo. Non aveva mai visto Central Park in quel modo, i suoi sentieri illuminati, le cime degli alberi proprio sotto di loro. Si sentiva come se potesse allungare una mano e sfiorarle. Aveva la sensazione che non sarebbe mai stato così bello come in quel momento.

Strinse più forte le mani attorno al suo petto e ne sentì il calore. Si sentiva al sicuro. Tutto quel contesto surreale riprendeva normalità tra le sue braccia. Avrebbe voluto volare così per sempre. Quando chiuse gli occhi e sentì l’aria fresca che le carezzava il volto, pregò che quella notte non finisse mai.

Capitolo Undici

Caitlin sentì che rallentavano e poi che iniziavano a scendere. Aprì gli occhi. Non riconosceva nessuno degli edifici sotto di loro. Sembrava fossero nella parte superiore della città. Probabilmente da qualche parte nel Bronx.

Mentre scendevano volarono sopra un piccolo parco e in lontananza le sembrò di vedere un castello. Quando si avvicinarono si accorse che si trattava veramente di un castello. Cosa ci faceva un castello lì a New York?

Si scervellò e si ricordò di averlo già visto prima, quel castello. In una cartolina da qualche parte… Sì, era un qualche museo. Mentre risalivano una collinetta e volavano oltre i suoi bastioni, oltre le sue piccole mura medievali, si ricordò improvvisamente di cosa si trattava. Il Cloisters, il Monastero. Il piccolo museo. Era stato portato lì dall’Europa, pezzo dopo pezzo. Aveva centinaia di anni. Perché la stava portando lì?

Scesero agevolmente sulle mura esterne e atterrarono su un’ampia terrazza di pietra che si affacciava sul fiume Hudson. Atterrarono nel buio, ma i piedi calarono delicatamente sulla pietra e lui la fece scendere con gentilezza.

Lei rimase lì, di fronte a lui. Lo guardò attentamente, sperando che fosse ancora reale, sperando che non volasse via. E sperando che fosse così meraviglioso come quando l’aveva visto la prima volta.

Lo era, forse ancora di più. La guardava con i suoi grandi occhi scuri, e in quel momento Caitlin si sentì persa.

C’erano così tante domande che voleva chiedergli, e non aveva idea di come iniziare. Chi era lui? Come poteva volare? Era un vampiro? Perché aveva rischiato la vita per lei? Perché l’aveva portata lì? E, cosa più importante di tutte, tutte ciò che aveva visto era stata solo un’allucinazione? Oppure i vampiri esistevano veramente, proprio lì a New York? E lui era uno di loro?

Aprì la bocca per parlare, ma tutto quello che riuscì a dire fu: “Perché siamo qui?”

Nel momento in cui la pronunciò, capì che si trattava di una domanda sciocca, e si odiò per non aver chiesto qualcosa di più importante. Ma lì al freddo, in quella notte di marzo, con il viso un po’ intorpidito, fu il meglio che riuscì a fare.

Lui la guardava. Il suo sguardo sembrava perforarle l’anima, come se le potesse vedere dentro. Sembrava che si stesse chiedendo quanto potesse raccontarle.

Finalmente, dopo quella che sembrò un’eternità, lui aprì la bocca per parlare.

“Caleb!” gridò una voce, ed entrambi si voltarono.

Un gruppo di uomini – vampiri? – tutti vestiti di nero, camminavano verso di loro. Caleb si voltò e li guardò. Caleb. Le piaceva.

“Non abbiamo ricevuto avvisi del tuo arrivo,” disse l’uomo al centro, con tono cupamente serio.

“È stato imprevisto,” rispose Caleb inespressivo.

“Allora dovremo prenderti in custodia,” disse, facendo cenno ai suoi uomini, che lentamente accerchiarono Caleb e lei. “È la regola.”

Caleb annuì con atteggiamento imperturbato. L’uomo al centro guardò Caitlin, che percepì la disapprovazione nel suo sguardo.

“Sai che non possiamo lasciarla entrare,” disse l’uomo a Caleb.

“Ma lo farete,” rispose Caleb categoricamente. Fissò l’uomo con uguale determinazione. Era uno scontro di volontà.

L’uomo rimase lì e lei vide che era insicuro sul da farsi. Seguì un lungo e denso silenzio.

“Molto bene,” disse, girandosi di scatto e facendo strada. “È il tuo funerale.”

Caleb lo seguì e Caitlin camminò al suo fianco, non sapendo cos’altro fare.

L’uomo aprì un grande portone medievale afferrandolo per un anello d’ottone. Poi avanzò all’interno, facendo cenno anche a Caleb di entrare. Altri due uomini in nero stavano ai lati dell’ingresso, sull’attenti.

Caleb prese Caitlin per mano e la condusse attraverso la porta. Mentre oltrepassavano l’enorme portone, Caitlin si sentì come se stesse accedendo a un altro secolo.

“Immagino che non dobbiamo pagare per entrare,” disse Caitlin a Caleb, sorridendo.

Lui la guardò, sbattendo le palpebre. Gli ci volle un po’ per capire che si trattava di una battuta. Alla fine sorrise pure lui.

Aveva un sorriso bellissimo.

La fece pensare a Jonah. Si sentiva confusa. Era strano da parte sua provare forti sentimenti per qualsiasi ragazzo, figurarsi per due nello stesso giorno. Aveva ancora a cuore Jonah. Ma Caleb era diverso. Jonah era un ragazzo. Caleb, per quanto sembrasse giovane, era un uomo. O era… qualcos’altro? C’era qualcosa di lui che Caitlin non era in grado di spiegare, qualcosa che le impediva di guardare da un’altra parte. Qualcosa che le faceva desiderare di rimanere accanto a lui. Jonah le piaceva. Ma aveva bisogno di Caleb. Stargli vicino le dava una sensazione universale.

Il sorriso di Caleb svanì velocemente come era comparso. C’era chiaramente qualcosa che non andava.

“Temo ci sia un prezzo ben più alto da pagare per l’ingresso,” disse. “Se quest’incontro non va come spero.”

La guidò attraverso un altro passaggio in pietra, all’interno di un piccolo cortile medievale. Perfettamente simmetrico, circondato sui quattro lati da colonne ed archi, il cortile era illuminato dalla luna ed era meraviglioso. Non riusciva a credere come potessero trovarsi ancora a New York. Sembrava fossero piuttosto nel mezzo della campagna europea.

Attraversarono il cortile e scesero lungo un viale lastricato di pietra che faceva riecheggiare i loro passi. Erano scortati da diverse altre guardie. Vampiri? Si chiese perché, se così fosse, si dimostrassero così civili. Perché non attaccavano Caleb, o lei stessa?

Percorsero un altro corridoio in pietra e oltrepassarono un’altra porta medievale. Poi si fermarono di colpo.

Lì in piedi c’era un altro uomo, vestito di nero, che assomigliava a Caleb in maniera impressionante. Indossava un grande mantello rosso che gli scendeva dalle spalle ed era affiancato da numerosi servitori. Sembrava detenere una posizione di una certa autorità.

“Caleb,” disse in un sussurro. Sembrava sorpreso di vederlo.

Caleb rimase lì calmo, guardandolo.

“Samuel,” rispose lui senza espressione.

L’uomo rimase lì a fissarlo, scuotendo impercettibilmente la testa.

“Neanche un abbraccio per il tuo fratello perduto da tempo?” chiese Caleb.

“Sai che questa è una cosa seria,” rispose Samuel. “Hai violato molte leggi venendo qui stanotte. Soprattutto portando lei.”

L’uomo non si preoccupò neanche di voltarsi verso Caitlin. Lei si sentì insultata.

“Non avevo scelta,” disse Caleb. “È giunto il giorno. La guerra è alle porte.”

Un brusio sommesso eruppe tra i vampiri che stavano dietro a Samuel, e tra il gruppo che si stava formando e allargando alle loro spalle. Caitlin si voltò e vide che ora erano circondati da oltre una decina di persone. Iniziava a provare un senso di claustrofobia. Erano decisamente in minoranza numerica e non c’era via di fuga. Non aveva idea di cosa avesse fatto Caleb, ma qualunque cosa fosse, sperava che lui riuscisse a trarsi d’impaccio.

Samuel sollevò le mani e il brusio si acquietò.

“E per di più,” continuò Caleb, “questa donna,” disse accennando a Caitlin, “è la Prescelta.”

Donna. Caitlin non era mai stata chiamata così prima. Le piaceva. Ma non capiva. La Prescelta? Lui aveva dato alla frase una strana enfasi, come se stesse parlando del Messia o di qualcosa del genere. Si chiese se fossero tutti pazzi.

Un altro brusio si propagò e tutte le teste si voltarono a guardarla

“Ho bisogno di vedere il Concilio,” disse Caleb. “E devo portarla con me.”

Samuel scosse la testa.

“Sai che non ti potrei fermare. Ti posso solo dare un consiglio. E ti suggerisco di andartene immediatamente, tornare alla tua postazione e attendere le convocazioni del Concilio.”

Caleb lo fissò. “Temo non sia possibile,” disse.

“Hai sempre fatto di testa tua,” disse Samuel.

Samuel si fece da parte e fece un gesto con la mano lasciando intendere che erano liberi di passare.

“Tua moglie non ne sarà felice,” disse Samuel.

Moglie? Caitlin rifletté, e sentì un brivido freddo correrle lungo la spina dorsale. Perché provava quell’improvvisa e assurda gelosia? Come potevano essersi sviluppati così velocemente i suoi sentimenti per Caleb? Che diritto aveva di sentirsi così possessiva nei suoi confronti?

Sentì che le guance le arrossivano. Provava per certo un interesse. Non aveva per niente senso, ma lo aveva completamente a cuore.

Perché non mi ha detto…

“Non chiamarla così,” rispose Caleb, anche lui con le guance in fiamme. “Sai che…”

“Sai che cosa!?” si udì gridare una donna.

 

Tutti si voltarono per vedere una donna che avanzava di gran carriera verso di loro dal fondo del corridoio. Anche lei era completamente vestita di nero, aveva lunghi capelli fluenti e rossi che le arrivavano sotto le spalle e grandi occhi verdi e brillanti. Era alta, di età indefinibile e sorprendentemente bella.

Caitlin si sentì umiliata in sua presenza, come se fosse appena sprofondata. Questa sì che era una donna. O era… un vampiro? Qualsiasi cosa fosse, era una creatura con la quale Caitlin non avrebbe mai potuto competere. Si sentiva svuotata, pronta a cederle Caleb, chiunque lei fosse.

“Sai che cosa!?” ripeté la donna, guardando Caleb con durezza mentre si dirigeva verso di lui, arrivando a pochi passi di distanza. Diede un’occhiata a Caitlin, e la sua bocca si piegò in un ghigno. Caitlin non aveva mai visto nessuno guardarla con tale odio.

“Sera,” disse gentilmente Caleb, “non siamo sposati da 700 anni.”

“Ai tuoi occhi, forse,” ribatté lei duramente.

Iniziò a camminare attorno a Caitlin e Caleb. La guardò dall’alto in basso come se fosse un insetto.

“Come osi portare lei qui,” gli sibilò contro. “Davvero. Potevi fare di meglio.”

“È la Prescelta,” disse Caleb con indifferenza.

Diversamente dagli altri la donna non sembrò sorpresa. Si lasciò invece andare a una breve risata canzonatoria.

“È ridicolo,” rispose. “Ci hai portato addosso la guerra,” continuò, “e tutto per un’umana. Una banale infatuazione,” disse con crescente rabbia. Ad ogni frase la folla dietro di lei sembrava trarre sostegno, lasciando emergere una rabbia comune. Si stavano trasformando in una folla infuriata.

“Infatti,” continuò Sera, “abbiamo il diritto di farla a pezzi.”

La folla alle sue spalle iniziò a mormorare in approvazione.

Il volto di Caleb lampeggiò d’ira.

“Allora dovrai passare sul mio corpo,” rispose Caleb, guardandola con pari determinazione.

Caitlin si sentì pervadere da un certo calore. Lui stava mettendo la sua vita davanti a tutto per lei. Di nuovo. Forse gli interessava davvero qualcosa di lei.

Samuel fece un passo avanti e si mise fra loro, portando le mani in fuori. La folla si tranquillizzò.

“Caleb ha richiesto un’udienza con il Concilio,” disse. “Gli dobbiamo almeno questo. Lasciate che presenti il suo caso. Lasciamo decidere al Concilio.”

“Perché dovremmo?” disse seccamente Sera.

“Perché lo dico io,” rispose Samuel, con ferrea determinazione nella voce. “E sono io che do gli ordini qui, Sera, non tu.” Samuel la fissò a lungo con durezza. Alla fine lei si arrese.

Samuel si fece da parte e indicò la scala di pietra.

Caleb prese la mano di Caitlin e la condusse avanti. Scesero i larghi scalini di pietra immergendosi nell’oscurità.

Dietro di lei Caitlin udì una secca risata fendere la notte.

“A non rivederci mai più.”

Capitolo Dodici

I loro passi risuonavano sull’ampia scala di pietra mentre scendevano. Era illuminata appena. Caitlin allungò un braccio e fece scivolare la propria mano sotto il braccio di Caleb. Sperò che lui le permettesse di tenerla lì. E così fece. Addirittura strinse il braccio attorno al suo. Ancora una volta sembrava che tutto andasse bene. Sentiva di poter scendere nell’oscurità più profonda fino a che era insieme a lui.

C’erano così tanti pensieri che le scorrevano nella mente. Cos’era questo Concilio? Perché lui aveva insistito per portarla lì? E perché lei sentiva una tale urgenza di stargli accanto? Non avrebbe avuto difficoltà ad opporsi a lui dicendogli che non voleva andare, che avrebbe preferito aspettare di sopra. Ma in verità non aveva la minima voglia di aspettare di sopra. Voleva solo stare con lui. Non poteva immaginarsi da nessun’altra parte.

Niente di tutto ciò aveva alcun senso. Ad ogni svolta, invece di ottenere delle risposte tutto quello che le veniva in mente erano nuove domande. Chi erano tutte quelle persone al piano di sopra? Erano veramente dei vampiri? Cosa ci facevano lì? Nel Monastero?

Svoltarono un angolo e si ritrovarono in una grande stanza che la colpì per la sua bellezza. Era incredibile, sembrava di essere scesi all’interno di un vero castello medievale. Alti soffitti ricoprivano stanze scavate in pietra del medioevo. Alla sua destra si trovavano numerosi sarcofagi, sollevati al di sopra del pavimento. Intricate figure medievali erano intagliate sui loro coperchi. Alcuni erano aperti. Era lì che dormivano?

Provò a ripensare a tutte le storie di vampiri che aveva sentito. Si diceva dormissero in delle bare. Che stessero svegli di notte. Forza e velocità sovrumane. Sembrava che tutto combaciasse. Lei stessa sentiva un po’ di fastidio al sole. Ma non era una sensazione insopportabile. Inoltre era indifferente all’acqua santa. E per di più quel posto, il Monastero, era pieno di croci: c’erano croci enormi ovunque. Non sembravano avere alcun effetto su quei vampiri. Sembrava piuttosto che fossero totalmente a casa loro.

Avrebbe voluto chiedere a Caleb tutte quelle cose e altre ancora, ma non aveva idea di come iniziare. Decise di cominciare con l’ultima.

“Le croci,” disse, accennando a una di esse mentre ci camminavano sotto. “Non ti danno fastidio?”

Lui la guardò senza capire. Sembrava essere perso fra i suoi pensieri.

“Le croci non fanno male ai vampiri?” chiese Caitlin.

Lui sembrò capire.

“Non a tutti noi,” rispose lui. “La nostra razza è molto frammentaria. In questo assomiglia molto agli umani. Ci sono molte specie nella nostra razza, e molti territori – o covi – per ogni specie. È piuttosto complesso. Le croci non fanno nulla ai vampiri buoni.”

“Buoni?” chiese Caitlin.

“Proprio come la tua razza umana, ci sono le forze del bene e le forze del male. Non siamo tutti uguali.”

Lui chiuse così il discorso. Come al solito le risposte risvegliarono nuove domande. Ma lei tenne a freno la lingua. Non voleva fare la ficcanaso. Non in quel momento.

Nonostante gli alti soffitti, i passaggi erano stretti. La porta di legno ad arco venne aperta e loro vi passarono attraverso abbassando la testa. Quando entrarono nella nuova stanza, l’altezza nuovamente li sovrastò e si ritrovarono in una altro ambiente spettacolare. Sollevando lo sguardo poté notare vetrate colorate ovunque. Alla loro destra c’era una sorta di pulpito, e davanti ad esso si trovavano decine di piccole sedie di legno. Era imponente e bellissimo. Sembrava veramente una specie di convento medievale.

Non scorse segno di vita e non percepì alcun movimento. Non si sentiva assolutamente nulla. Caitlin si chiese dove fossero.

Entrarono in un’altra stanza, con il pavimento che scendeva con una leggera pendenza, e lei sussultò. Quella stanzetta era piena di tesori. Era una sorta di museo e ogni oggetto era conservato con cura in teche di vetro. Proprio davanti a lei, sotto forti luci alogene, si trovavano quelli che dovevano essere antichi e inestimabili tesori del valore di centinaia di milioni di dollari. Croci d’oro. Grandi calici d’argento. Manoscritti medievali…

Caitlin seguì Caleb attraverso al stanza e si fermarono di fronte ad una lunga teca di vetro. All’interno c’era un magnifico bastone d’avorio, lungo qualche metro. Lui lo fissò attraverso il vetro.

Rimase in silenzio per parecchi secondi.

“Cos’è?” gli chiese lei alla fine.

Lui rimase con lo sguardo fisso, in silenzio. Poi disse: “Un vecchio amico.”

Aveva detto tutto. Non le offrì altri dettagli. Lei si chiese che genere di storia potesse esserci tra lui e quell’oggetto, o che tipo di potere esso contenesse. Lesse la targa: inizio del XIV secolo.

“È conosciuto come pastorale. È un bastone usato dai vescovi. È sia una verga che un bastone. Una verga per punire e un bastone per guidare chi ha fede. Il simbolo della nostra chiesa. Ha il potere di benedire, ma anche di dannare. È ciò che noi preserviamo. È ciò che ci mantiene salvi.”

La loro chiesa? Ciò che preservano?

Prima che Caitlin potesse fare altre domande lui la prese per mano e la condusse lungo un’altra porta.

Raggiunsero un cordone di velluto. Lui lo slacciò e lo tirò indietro per farla entrare. Poi la seguì, riallacciò il cordone e la condusse verso una piccola scala di legno a chiocciola. La scala scendeva, sembrava penetrare direttamente nel pavimento. Lei lo guardò confusa.

Caleb si inginocchiò e aprì un chiavistello segreto nascosto nel pavimento. Una botola si sollevò e Caitlin poté vedere che la scala continuava più in basso, in profondità.

Caleb la guardò dritta negli occhi: “Sei pronta?”

Voleva rispondere No. Invece gli prese la mano.

*

La scala era stretta e ripida, e conduceva nell’oscurità più profonda. Dopo un continuo girare e rigirare, scendendo sempre più giù, finalmente vide una luce in lontananza e iniziò a sentire del movimento. Appena ebbero svoltato l’angolo, entrarono in un’altra stanza.

Era un salone grande e ben illuminato da torce sparse ovunque. Era identico alle stanze del piano di sopra, con ampi soffitti di pietra, arcuati e ricoperti di intricate decorazioni. Dalle pareti pendevano grandi arazzi e l’ampio spazio era riempito da mobili medievali.

La stanza era anche gremita di gente. Vampiri. Erano tutti vestiti di nero e si muovevano in modo disordinato nello spazio. Molti di loro sedevano su varie sedie e alcuni parlavano tra loro. Nell’altro covo, quello sotto al Municipio, Caitlin aveva percepito qualcosa di malvagio e oscuro, si era sentita in costante pericolo. Qui al contrario si sentiva stranamente rilassata.

Caleb la condusse attraverso la lunga stanza, fino al centro. Mentre camminavano il movimento attorno a loro calò e anche il rumore si spense. Sentì tutti gli occhi puntati su di loro.

Quando raggiunsero l’altro lato della stanza, Caleb si avvicinò ad un grande vampiro più alto di lui e con le spalle ben più ampie. L’uomo abbassò lo sguardo, indifferente.

“Ho bisogno di un’udienza,” si limitò a dire Caleb.

Il vampiro si voltò lentamente e passò attraverso l’ingresso, chiudendosi con forza la porta alle spalle.

Caleb e Caitlin rimasero lì in attesa. Lei si voltò e guardò la stanza. Tutti – centinaia di vampiri – li stavano guardando. Ma nessuno si mosse per avvicinarsi.

La porta si aprì e il grande vampiro fece loro cenno. Entrarono.

Questa stanzetta era più piccola, appena illuminata da due sole torce poste alle estremità. Era anche completamente spoglia, eccetto per un lungo tavolo sull’altro lato. Dietro ad esso sedevano sette vampiri che li guardavano con sguardo torvo. Sembrava una schiera di giudici.

C’era qualcosa in quei vampiri che li faceva sembrare molto più anziani. C’era durezza nelle loro espressioni. Si trattava definitivamente di una schiera di giudici.

“Sessione di Concilio!” gridò il grande vampiro, battendo il suo bastone sul pavimento e poi uscendo rapidamente dalla stanza. Chiuse la porta con forza dietro di sé. Ora c’erano solo loro due di fronte ai sette vampiri.

Caitlin stava esitante al fianco di Caleb, insicura su cosa fare o dire.

Seguì un impacciato silenzio mentre i giudici li studiavano. Sembrava che stessero fissando le loro anime.

“Caleb,” disse una voce grave, proveniente dal vampiro che si trovava nel mezzo. “Hai abbandonato la tua postazione.”

“No, signore,” rispose lui. “Ho tenuto la mia postazione fedelmente per 200 anni. Questa notte sono stato costretto ad entrare in azione.”

“Tu non entri in azione se non per nostro ordine,” rispose l’uomo. “Ci hai messi tutti a rischio.”

“Era mio dovere dare l’allerta per la guerra imminente,” ribatté Caleb. “Penso che sia giunta l’ora.”

Un sussulto si levò dal Concilio. Seguì un lungo silenzio.

“E cosa te lo fa pensare?”

“L’hanno inzuppata di acqua santa, e la sua pelle non ne è stata bruciata. La dottrina ci dice che sarebbe giunta l’ora quando il Prescelto fosse arrivato, e fosse rimasto indenne all’attacco delle nostre armi. E ciò avrebbe annunciato al guerra.”

Un sussulto sommesso si diffuse nella stanza. Tutti fissarono Caitlin, esaminandola. Alcuni dei giudici iniziarono a parlare tra loro, fino a che quello al centro batté il palmo sul tavolo.

“Silenzio!” gridò.

Gradualmente il brusio si smorzò.

“Quindi hai messo a repentaglio la vita di noi tutti per salvare un’umana?” chiese.

 

“L’ho salvata per salvare noi stessi,” rispose Caleb. “Se lei è la Prescelta, noi non siamo nulla senza di lei.”

A Caitlin girava la testa. Non sapeva cosa pensare. La Prescelta? Dottrina? Di cosa diavolo stava parlando? Si chiese se lui potesse crederla qualcun altro, qualcuno di più importante.

Si sentiva sprofondare, non tanto per il modo in cui il Concilio la guardava, ma perché iniziava a temere che Caleb l’avesse salvata solo per un suo vantaggio personale. Che non fosse realmente interessato a lei. E che il suo affetto per lei sarebbe svanito quando avesse scoperto la verità. Avrebbe scoperto che lei era semplicemente una ragazza ordinaria, nella media. Non importava ciò che era accaduto negli ultimi giorni: l’avrebbe abbandonata. Proprio come tutti gli altri ragazzi nella sua vita.

Come a confermare i suoi pensieri, il giudice al centro scosse lentamente la testa, osservando Caleb con sussiego.

“Hai fatto un grave errore,” disse. “Quello che sbagliando non vedi è che tu hai dato inizio a questa guerra. La tua fuga è quello che ha svelato loro la nostra presenza. E inoltre lei non è quella che tu pensi.”

Caleb iniziò: “E allora come spieghi…”

Questa volta fu un altro membro del Concilio a parlare: “Molti secoli fa ci fu un caso simile a questo. Un vampiro risultò immune alle armi. Anche allora la gente pensò che si trattasse del Messia. Non lo era. Era solo un mezzosangue.”

“Un mezzosangue?” chiese Caleb. Sembrò improvvisamente incerto.

“Un vampiro di nascita,” continuo, “uno che non è mai stato tramutato. Sono immuni ad alcune armi, ma non a tutte. Ma questo non li rende uno di noi. E non li rende neanche immortali. Te lo faccio vedere,” continuò, e si voltò improvvisamente verso Caitlin.

Lei si sentiva nervosa con quegli occhi addosso che la esaminavano. “Raccontami piccola, chi ti ha tramutata?”

Caitlin non aveva idea di cosa stesse parlando. Non sapeva neanche che significato avesse quella domanda. Ancora una volta quella notte si trovò a chiedersi quale fosse la risposta migliore da dare. Esitò, avendo la sensazione che qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe avuto un impatto decisivo non solo sulla sua salvezza, ma anche su quella di Caleb. Voleva dare la risposta giusta per lui, ma non sapeva proprio cosa dire.

“Mi spiace,” disse, “ma non so di cosa state parlando. Non sono mai stata tramutata. Non so neanche cosa significhi.”

Un altro membro del Concilio si sporse verso di lei. “E allora chi è tuo padre?” chiese.

Fra tutte le domande possibili, perché doveva chiederle proprio quello? Era sempre stata la domanda che lei stessa si era posta, per tutta la vita. Chi era? Perché l’aveva lasciata? Era una risposta che lei desiderava più di ogni altra cosa al mondo. E ora, a richiesta, non era certo in grado di fornirla.

“Non lo so,” disse alla fine.

L’uomo si riappoggiò allo schienale, con aria trionfante. “Vedi?” disse. “I mezzosangue non vengono tramutati. E non conoscono mai i loro genitori. Ti stai sbagliando, Caleb. Hai commesso un grave errore.”

“La dottrina dice che il nostro Messia sarà una mezzosangue, e che ci condurrà alla spada perduta,” ribatté Caleb in sfida.

“La dottrina dice che una mezzosangue porterà il Messia,” lo corresse il membro del Concilio. “Non che lo sarà.”

“Stai facendo l’analisi di ogni singola parola,” gli rispose Caleb. “Io sto dicendo che la guerra ha avuto inizio e che lei ci condurrà alla spada. Il tempo è scaduto. Abbiamo bisogno che lei ci porti alla spada. È l’unica speranza che abbiamo.”

“Favolette,” rispose un altro membro del Concilio. “La spada di cui parli non esiste. E se anche esistesse non sarebbe certo un mezzosangue a portarci da lei.”

“Se non lo faremo noi, lo farà qualcun altro. La cattureranno, troveranno la spada e la useranno contro di noi.”

“Tu hai messo in atto una grave violazione portando qui questa ragazza,” disse un altro di loro, seduto ad un’estremità del gruppo.

“Ma io…” iniziò Caleb.

“BASTA COSÌ’!” gridò il capo del Concilio.

La stanza si ammutolì.

“Caleb. Hai consapevolmente violato diverse leggi del nostro covo. Hai abbandonato la tua postazione. Hai disonorato la tua missione. Hai scatenato una guerra. E hai messo a repentaglio la vita di tutti noi per un’umana. Neanche un’umana, ma una mezzosangue. Quel che è peggio, l’hai portata qui, proprio in mezzo a noi, mettendoci tutti in pericolo.

“Ti condanniamo a cinquant’anni di reclusione. Non lascerai più questo territorio. E spedirai questa mezzosangue fuori da queste mura all’istante.”

“E ora, andatevene.”