Tasuta

Un’Impresa da Eroi

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Märgi loetuks
Un’Impresa da Eroi
Un’Impresa da Eroi
Tasuta audioraamat
Loeb Edoardo Camponeschi
Lisateave
Šrift:Väiksem АаSuurem Aa

Si sentì il suono di un corno e le guardie entrarono da entrambe le parti, riuscendo a dividere la folla. Un altro corno suonò e calò il silenzio, mentre MacGil si alzava dal trono.

“Non ci saranno tafferugli oggi!” tuonò con la sua voce regale. “Non in questo giorno di festeggiamenti! E non nella mia corte!”

Pian piano la folla si acquietò.

“Se quello che volete è una gara tra i nostri due grandi clan, lasciamone determinare il risultato ad un guerriero, un campione per entrambe le parti.”

MacGil guardò re McCloud, che sedeva all’estremità opposta, con il suo seguito.

“D’accordo?” gridò MacGil.

McCloud si alzò solennemente in piedi.

“D’accordo!” fu la risposta.

La folla esultò da entrambe le parti.

“Scegliete il vostro uomo migliore!” gridò MacGil.

“L’ho già fatto,” disse McCloud.

E dalla parte dei MacCloud fece la sua comparsa un cavaliere formidabile, l’uomo più grande che Thor avesse mai visto, in groppa al suo cavallo. Sembrava un macigno, di dimensioni enormi, con una lunga barba e un’espressione arcigna che pareva stampata in volto.

Thor avvertì del movimento alle sue spalle e proprio affianco a lui uscì Erec, a cavallo di Warfkin, ed avanzò. Thor deglutì. Stentava a credere che tutto ciò stesse accadendo attorno a lui. Si gonfiò di orgoglio per Erec.

Poi venne sopraffatto dall’ansia, rendendosi conto di essere in servizio. Del resto era scudiero, e il suo cavaliere stava per combattere.

“Cosa facciamo?” chiese frettolosamente Thor a Feithgold.

“Stai indietro e fai quello che ti dico io,” gli rispose.

Erec avanzò a grandi passi nella corsia della giostra, e i due cavalieri rimasero lì, uno di fronte all’altro, il loro cavalli frementi nella tensione dell’attesa. Il cuore di Thor gli martellava nel petto mentre aspettava e guardava.

Un corno suonò e i due si lanciarono alla carica.

Thor non poteva credere alla bellezza ed eleganza di Warfkin: era come guardare un pesce che saltava a pelo d’acqua sul mare. L’altro cavaliere era enorme, ma Erec era un combattente aggraziato ed agile. Fendeva l’aria, a testa bassa, con l’armatura d’argento che ondeggiava, più lucida di ogni altra armatura sulla quale Thor avesse mai posato lo sguardo.

Quando i due uomini si incontrarono, Erec sostenne la lancia con perfetta mira, e piegò di lato. Riuscì a colpire il cavaliere al centro del suo scudo, scansando allo stesso tempo il colpo dell’avversario.

Quella montagna d’uomo cadde all’indietro, a terra. Fu come un masso che atterrava.

I sostenitori dei MacGil esultarono, mentre Erec passava oltre, si girava e tornava indietro. Alzò la visiera e puntò la lancia alla gola dell’uomo.

“Arrenditi” gridò Erec.

Il cavaliere sputò.

“Mai!”

Il cavaliere allungò poi la mano ad un sacchetto nascosto appeso alla sua vita, tirò fuori una manciata di terra e, prima che Erec potesse reagire, gliela lanciò in faccia.

Erec, preso alla sprovvista, si portò le mani agli occhi, abbandonando la lancia e cadendo da cavallo.

La folla dei MacGil fischiò, protestò e gridò di rabbia mentre Erec cadeva, strofinandosi gli occhi. Il cavaliere, senza perdere tempo, gli fu addosso e gli diede una ginocchiata nelle costole.

Erec rotolò a terra, il cavaliere afferrò una grossa pietra, la sollevò in alto e si preparò a scaraventarla sul cranio di Erec.

“NO!” gridò Thor, avanzando, incapace di controllarsi.

Thor guardò con orrore mentre il cavaliere abbassava la pietra. All’ultimo momento Erec in qualche modo rotolò via evitando il colpo. La pietra si conficcò profondamente nel terreno, proprio dove prima si trovava la sua testa.

Thor era stupito dalla destrezza di Erec. Era già in piedi, di fronte a quello sporco avversario.

“Spade corte!” gridarono i Re.

Feithgold si voltò improvvisamente e fissò Thor con gli occhi sgranati.

“Passamela!” gridò.

Il cuore di Thor batteva all’impazzata. Girò su se stesso e perlustrò la rastrelliera delle armi di Erec, disperatamente alla ricerca della spada. Davanti a lui c’era un caotico ammasso di armi. Allungò la mano, afferrò la spada e al pass a Feithgold.

“Stupido ragazzino! Questa è una spada media!” gridò Feithgold.

La gola di Thor si seccò, si sentiva come se l’intero regno lo stesse fissando. La sua vista era sfocata per l’ansia mentre il panico aumentava vertiginosamente, non sapendo quale spada scegliere. Riusciva a malapena a concentrarsi.

Feithgold venne avanti, spinse Thor da parte e afferrò lui stesso la spada corta. Poi corse nella corsia della giostra.

Thor lo guardò andare, e si sentì inutile, orribile. Pensò anche che poteva esserci lui là fuori a correre, di fronte a tutta quella gente, e le ginocchia gli tremarono.

Lo scudiero dell’altro cavaliere arrivò per primo, ed Erec dovette schivare, mentre l’avversario cercava di colpirlo, mancandolo appena. Finalmente Feithgold raggiunse Erec e gli mise in mano la spada corta. In quel momento il cavaliere attaccò. Ma Erec era troppo scaltro: attese fino all’ultimo istante, poi saltò per evitare il colpo.

Il cavaliere continuò la sua corsa, con impeto, e giunse proprio addosso a Feithgold che stava, per sua sventura, dove Erec si trovava un attimo prima. Il cavaliere, pieno di rabbia per aver mancato Erec, continuò la sua azione ed afferrò Feithgold per i capelli con entrambe le mani, dandogli una forte testata in faccia.

Si sentì uno schianto di ossa, il sangue sprizzò dal naso di Feithgold e lui si afflosciò stramazzando a terra.

Thor rimase a bocca aperta, scioccato. Non poteva crederci, come neanche la folla, che fischiava e protestava.

Erec si muoveva attorno con la sua spada, mancando i colpi del’avversario, fino a che i due si ritrovarono uno di fronte all’altro.

Thor si rese improvvisamente conto che ora era lui l’unico scudiero di Erec. Sussultò. Cosa avrebbe dovuto fare? Non era pronto per questo. E tutto il regno stava guardando.

I due cavalieri si attaccavano brutalmente, un colpo dopo l’altro. Era evidente che il cavaliere dei McCloud era molto più forte di Erec, tuttavia Erec era un combattente migliore, più veloce e più agile. Oscillavano, colpivano e paravano, ma nessuno dei due era in grado di guadagnare vantaggio sull’altro.

Alla fine Re MacGil si alzò.

“Lance lunghe!” gridò.

Il cuore di Thor martellava. Ora toccava a lui:era in servizio.

Si voltò e guardò la rastrelliera, prendendo l’arma che gli sembrava più appropriata. Mentre afferrava l’asta di pelle, pregò di aver scelto giusto.

Saltò nella corsia e sentì migliaia di occhi su di lui. Corse più veloce che poteva, intenzionato a raggiungere Erec, fino a che giunse a mettere l’arma nella sua mano. Fu orgoglioso di notare che era arrivato per primo.

Erec prese la lancia e si voltò, pronto ad affrontare l’avversario. Essendo un cavaliere d’onore, Erec attese che anche l’altro fosse armato, prima di attaccare. Thor corse a mettersi di lato, fuori dalla traiettoria dei cavalieri, non volendo ripetere l’errore di Feithgold. E così facendo, trascinò anche il corpo molle di Feithgold fuori dal campo di battaglia.

Mentre guardava, Thor avvertì che qualcosa non andava. L’avversario di Erec prese la sua lancia, la alzò in aria e poi iniziò a riportarla verso il basso con uno strano movimento. In quel momento Thor improvvisamente ebbe la sensazione di mettere a fuoco il mondo attorno a lui in un modo che non gli era mai successo. Intuì che c’era qualcosa di sbagliato. I suoi occhi si fissarono sulla punta della lancia del cavaliere, e guardando meglio notò che era allentata. Il cavaliere stava per usare la punta della sua lancia come un pugnale da lancio.

Quando il cavaliere portò in basso la lancia, la punta si staccò e schizzò nell’aria, volando dritta verso il cuore di Erec. In un attimo Erec sarebbe morto, non c’era modo di reagire in tempo. Dall’aspetto della sua lama seghettata sembrava fatta apposta per tagliare un armatura.

In quel momento Thor sentì che tutto il suo corpo si stava scaldando. Avvertì una sensazione di formicolio, la medesima che aveva provato in Boscoscuro, mentre combatteva con il Sybold. Tutto il mondo rallentò attorno a lui. Riusciva a vedere la punta della lancia che avanzava a rallentatore, avvertiva un’energia, un calore che cresceva dentro di lui e che non sapeva di possedere.

Fece un passo avanti e si sentì più forte della punta della lancia. Nella sua mente voleva bloccarla. Le ordinò di fermarsi. Non voleva vedere Erec ferito. Soprattutto non in quel modo.

“NO!” gridò Thor.

Fece un altro passo e sollevò il palmo della mano contro la punta della lancia.

Quella fermò e rimase sospesa lì, a mezzaria, proprio un attimo prima di raggiungere il cuore di Erec.

Poi cadde innocua a terra.

Entrambi i cavalieri si voltarono a guardare Thor, e così fecero i due Re, e anche le migliaia di persone. Thor sentì che l’intero mondo lo stava fissando, e si rese conto che erano stati tutti testimoni di ciò che era appena successo. Tutti sapevano che non era normale, che lui aveva un qualche tipo di potere, che aveva influenzato l’esito del gioco, salvando Erec e cambiando il destino del regno.

Thor rimase lì, radicato a terra, chiedendosi cosa fosse appena successo. Si sentiva diverso.

Ma chi era?

CAPITOLO NOVE

Thor si ritrovò ad essere trascinato, condotto attraverso la folla da Reece, il figlio più giovane del Re e suo nuovo compagno d’allenamento. Quello che era successo subito dopo il torneo era annebbiato nella mente di Thor. Qualsiasi cosa avesse fatto laggiù, che genere di potere avesse usato per fermare la punta della lancia prima che colpisse Erec, questo aveva richiamato l’attenzione dell’intero regno. L’incontro era stato sospeso dopo ciò che era accaduto, revocato da entrambi i re, ed era stata proclamata una tregua. Ogni cavaliere si era ritirato dalla sua parte, le masse si erano disperse in una caotica agitazione e Thor era stato preso per il braccio e trascinato fuori da Reece.

 

Era stato scortato dal seguito del Re, percorrendo la via al contrario attraverso la gente, con Reece attaccato al suo braccio per tutto il tempo. Thor stava ancora tremando per gli eventi della giornata. Stentava a capire cosa avesse appena fatto laggiù, come avesse potuto influenzare le cose. Aveva semplicemente desiderato di essere anonimo, solo un altro componente della Legione del Re. Non era stata sua intenzione essere al centro dell’interesse.

E quel che era peggio, non sapeva dove lo stessero portando, se sarebbe stato in qualche modo punito per aver interferito. Ovviamente aveva salvato al vita di Erec, ma aveva anche interferito in un incontro tra Cavalieri, il che era vietato per uno scudiero. Non era certo di ciò che lo aspettava: una ricompensa o un rimprovero?

“Come hai fatto?” chiese Reece, mentre lo tirava avanti. Thor lo seguiva ciecamente, cercando di esaminare il tutto lui stesso. Mentre camminavano, la gente lo fissava con sguardo attonito, guardandolo come se fosse un qualcosa di strano.

“Non lo so,” rispose Thor con sincerità. “Volevo solo aiutarlo ed è successo.”

Reece scosse la testa.

Thor si sentiva bene mentre faceva rigirare le parole di Reece nella sua testa, sentì un’ondata di sollievo. Reece gli era piaciuto dal primo momento che l’aveva incontrato; aveva un potere calmante su di lui, e sapeva sempre cosa dire. Mentre considerava questo, si rese conto che forse, dopotutto, non sarebbe stato punito. Forse, in qualche modo, volevano considerarlo una sorta di eroe.

“Non ho cercato di fare niente,” disse Thor. “Volevo semplicemente che lui vivesse: è stato naturale. Non è stata una gran cosa.”

“Non è stata una gran cosa?” gli fece eco Reece. “Io non avrei potuto farlo. Nessuno di noi avrebbe potuto.”

Svoltarono a un angolo, e Thor vide davanti a loro il castello del Re, enorme, che si stagliava alto verso il cielo. Era monumentale. Le guardie del Re erano sullattenti, tutti allineati lungo la strada selciata che conduceva al ponte levatoio, tenendo a bada la gente. Si fecero da parte per permettere a Reece e Thor di passare.

I due camminarono lungo la strada, con i soldati da entrambe le parti, fino all’enorme portone ad arco, ricoperto di catenacci di ferro. Quattro soldati lo aprirono e si fecero da parte, sull’attenti. Thor non riusciva a credere al trattamento che stava ricevendo: si sentiva quasi un membro della famiglia reale.

Entrarono nel castello, le porte si chiusero alle loro spalle e Thor rimase a bocca aperta alla vista di ciò che gli stava davanti: gli interni erano immensi, con altissimi muri di pietra spessi un piede e stanza ampie e aperte. Di fronte a lui andavano avanti e indietro centinaia di membri della corte reale, tutti animati da una febbrile eccitazione. Poteva percepire il fermento e l’eccitazione nell’aria, e tutti gli occhi si voltarono a guardarlo quando entrò. Fu sopraffatto dall’attenzione.

Si raccolsero tutti fra di loro, sembravano fissare attoniti mentre Thor procedeva con Reece lungo i corridoi del castello. Non aveva mia visto così tanta gente vestita tanto bene. Vide decine di ragazze di ogni età abbigliate con elaborati vestiti, che si tenevano sottobraccio e sussurravano l’una all’orecchio dell’altra, ridacchiando mentre lui passava. Era imbarazzato. Non capiva se piaceva loro o se lo stavano prendendo in giro. Non era abituato ad essere al centro dell’attenzione, tantomeno in una corte reale, e sapeva a malapena come comportarsi.

“Perché stanno ridendo di me?” chiese a Reece.

Reece si voltò e rise sommessamente. “Non stanno ridendo di te, disse. Gli sei simpatico. Sei famoso.”

“Famoso?” chiese sorpreso. “Cosa intendi dire? Sono appena arrivato.”

Reece rise e gli diede una pacca sulla spalla. Era chiaramente divertito da Thor.

“Le voci si fanno strada velocemente nella corte reale, più di quanto tu possa immaginare. Ed un nuovo venuto come te, beh, non succede tutti i giorni.”

“Dove stiamo andando?” chiese, capendo che lo stavano conducendo da qualche parte.

“Mio padre vuole conoscerti,” disse, mentre svoltavano in un altro corridoio.

Thor deglutì.

“Tuo padre? Intendi dire il Re?” Improvvisamente si sentiva nervoso. “Perché mai vorrebbe conoscermi? Ne sei sicuro?”

Reece rise.

“Sono piuttosto sicuro. Piantala di essere così nervoso. È solo mio padre.”

“Solo tuo padre?” disse Thor, incredulo. “È il Re!”

“Non è così male. Ho la sensazione che sarà un bell’incontro. Hai salvato la vita di Erec, del resto.”

Thor deglutì a fatica e le mani gli sudavano mentre un’altra pesante porta veniva aperta e loro entravano in un ampio salone. Guardò con stupore verso il soffitto ad arco e incredibilmente alto, ricoperto da un elaborato disegno. I muri erano decorati da finestre ad arco con vetrate colorate e, probabilmente, c’erano lì stipate ancora più persone. Dovevano essere un migliaio, e la stanza brulicava festosamente. C’erano tavoli preparati a banchetto che si allungavano attraverso la stanza, a perdita d’occhio, con gente che banchettava, seduta su panche lunghissime. Tra queste c’era una stretta corsia con un lungo tappeto rosso che conduceva ad una piattaforma sulla quale era posizionato il trono reale. La folla lasciò libero il passaggio mentre Reece e Thor avanzavano sul tappeto rosso, verso il Re.

“E dove pensi di portarlo?” chiese una voce nasale, dal suono ostile.

Thor sollevò lo sguardo e vide un uomo che lo sovrastava, non molto più vecchio di lui, vestito con un abito di foggia reale, chiaramente un principe, che gli bloccava la strada e lo fissava con sguardo truce.

“Sono gli ordini di nostro padre,” ribatté Reece in modo secco. “Farai meglie a toglierti di mezzo, a meno che tu non voglia sfidarlo.”

Il principe non cedette, accigliato, con un aspetto tale che pareva avesse mangiato qualcosa di marcio, osservando Thor. A Thor non piaceva per nulla: c’era qualcosa in lui che non gli ispirava la minima fiducia, con quel’laspetto magro e poco gentile, ed occhi che non stavano mai fermi.

“Questo non è un salone per plebei,” rispose il principe. “Dovresti lasciarla all’esterno certa marmaglia, a casa sua.”

Thor sentì stringersi il petto. Era ovvio che quest’uomo lo odiava, e non aveva idea del perché.

“Devo ripetere a nostro padre quello che hai detto?” disse Reece sulla difensiva, non intenzionato a cedere.

Con riluttanza il principe si voltò e se ne andò in fretta e furia.

“Chi era?” chiese Thor a Reece, mentre continuavano a camminare.

“Non badarlo,” rispose Reece. “È solo il mio fratello più vecchio, o meglio, uno di essi. Gareth. Il primogenito. Beh, non proprio il primogenito, lui è solo il primogenito legittimo. Kendrick, che hai incontrato al campo delle esercitazioni, lui è il vero primogenito.”

“Perché Gareth mi odia? Non lo conosco neanche.”

“Non preoccuparti, non riserva questo comportamento solo a te. Odia tutti. E chiunque si avvicini alla famiglia, lui lo vede come una minaccia. Non badarlo. È solo uno come tanti.”

Mentre continuavano a camminare, Thor si sentiva sempre più riconoscente nei confronti di Reece, che – se ne rendeva conto sempre più – stava diventando un vero amico.

“Perché ti sei messo dalla mia parte?” chiese Thor, curioso.

Reece alzò le spalle.

“Mi hanno ordinato di portarti da mio padre. E inoltre sei il mio compagno di allenamento. Ed era tanto tempo che qui non arrivava qualcuno della mia età che fosse all’altezza.”

“Ma cosa fa di me qualcuno all’altezza?” chiese Thor.

“È lo spirito del guerriero. Non è una cosa che si possa simulare.”

Mentre continuavano a percorrere la corsia in direzione del Re, Thor si sentì come se l’avesse sempre conosciuto. Era una sensazione strana, ma in qualche modo si sentiva come se Reece fosse suo fratello. Non aveva mai avuto un fratello – un fratello vero – ed era una bella sensazione.

“Gli altri miei fratelli non sono come lui, non ti preoccupare,” disse Reece mentre la gente si accalcava attorno, cercando di dare un’occhiata a Thor. “Mio fratello Kendrick, quello che hai incontrato, è il migliore di tutti. È mio fratellastro, ma lo considero un vero fratello, anche più di Gareth. Kendrick è come un secondo padre per me. Lo sarà anche per te, ne sono certo. Non c’è nulla che non farebbe per me, o per chiunque. Nella famiglia reale è lui quello che la gente ama di più. Il fatto che non potrà mai essere re è sicuramente una grave perdita.”

“Hai detto fratelli. Hai anche un altro fratello?” chiese Thor.

Reece fece un respiro profondo.

“Ne ho un altro, sì. Non siamo così affezionati. Godfrey. Purtroppo passa tutto il tempo in birreria, insieme alla gente comune. Non è un guerriero come noi. Non gli interessa, niente lo interessa, a dire il vero. A parte la birra, e le donne.”

All’improvviso si fermarono di soprassalto, dato che una ragazza bloccava loro il cammino. Thor rimase pietrificato. Forse aveva un paio danni più di lui, e lo guardava con occhi blu, a forma di mandorla, pelle perfetta e lunghi capelli rosso fragola. Indossava un abito di raso bianco con i bordi di pizzo, e i suoi occhi brillavano, gioiosi e furbi. La giovane fissò Thor negli occhi e lui ne rimase incantato. Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto muoversi. Era la ragazza più bella che avesse mai visto.

Lei sorrise, mettendo in mostra denti bianchi e perfetti, e come se non fosse già abbagliato, quel sorriso lo stregò ancora di più, accendendogli il cuore con un solo gesto. Non si era mai sentito così vivo.

Thor non era capace di parlare. Non riusciva a respirare. Era la prima volta, in vita sua, che si sentiva così.

“Non hai intenzione di presentarmi?” chiese la ragazza a Reece. La sua voce andò diretta a colpire Thor: era ancora più dolce del suo aspetto.

Reece sospirò.

“E poi c’è mia sorella,” disse sorridendo. “Gwen, questo è Thor. Thor, Gwen.”

Gwen fece un inchino.

“Piacere,” disse con un sorriso.

Thor rimase impassibile, pietrificato. Alla fine Gwen ridacchiò.

“Non troppe parole tutte assieme, per favore,” disse con una risata.

Thor si sentì arrossire; si schiarì la gola.

“Io… io… mi dispiace,” disse. “Sono Thor.”

Gwen rise.

“Questo lo so già,” disse. Si rivolse poi a suo fratello. “Mio caro Reece, il tuo amico ha certo una bella parlantina.”

“Nostro padre vuole incontrarlo,” disse con impazienza. “Faremo tardi.”

Thor voleva parlarle, dirle quanto bella era, quanto fosse felice di averla incontrata, quanto grato le fosse per averli fermati. Ma la sua lingua era completamente legata. Non era mai stato così nervoso in vita sua. Quindi, tutto quello che gli uscì di bocca fa:

“Grazie.”

Gwen rise di cuore.

“Grazie per cosa?” chiese. I suoi occhi si accesero. Si stava divertendo.

Thor si sentì arrossire di nuovo.

“Ehm… non lo so,” bofonchiò.

Gwen rise ancora, e Thor si sentì umiliato. Reece gli diede una gomitata, incitandolo ad andare avanti, ed entrambi proseguirono. Dopo pochi passi, Thor si voltò per riguardare alle sue spalle. Gwen era ancora lì, e lo osservava.

Thor sentiva che il cuore gli batteva forte. Voleva parlarle, sapere tutto di lei. Era così imbarazzato per aver perso la parola. Ma non era mai stato a contatto con ragazze nel suo piccolo villaggio, e sicuramente mai con una così bella. Nessuno gli aveva mai insegnato esattamente cosa dire o come comportarsi.

“Parla un sacco,” disse Reece, mentre procedevano, avvicinandosi al re. “Non badarla.”

“Come si chiama?” chiese Thor.

Reece lo guardò con sguardo divertito. “Te l’ha appena detto!” disse ridendo.

“Mi spiace… io… eh, l’ho dimenticato,” disse Thor imbarazzato.

“Gwendolyn. Ma tutti la chiamano Gwen.”

Gwendolyn. Thor girò e rigirò quel nome nella sua mente. Gwendolyn. Gwen. Non voleva dimenticarlo. Voleva che rimanesse impresso nella sua coscienza. Si chiese se avrebbe avuto occasione di rivederla. Immaginò che probabilmente non sarebbe successo, essendo lui una persona comune. Il solo pensiero lo ferì.

 

La folla si quietò e Thor sollevò lo sguardo, accorgendosi che erano ora vicini al Re. Re MacGil era seduto sul suo trono: con addosso il suo mantello viola e in testa la corona aveva un aspetto imponente.

Reece si inginocchiò di fronte a lui e la gente si ammutolì. Thor lo imitò. La stanza fu pervasa dal silenzio.

Il re si schiarì la gola, un suono secco e vigoroso. Quando parlò la sua voce esplose nella stanza.

“Thorgrin delle Terre Basse della Provincia del Sud del Regno Occidentale,” iniziò. “Ti rendi conto che oggi hai interferito con il torneo reale del Re?”

Thor si sentì seccare la gola. Non aveva idea di come rispondere, non era certo un buon inizio. Si chiese se sarebbe stato punito.

“Mi spiace, mio signore,” disse alla fine. “Non volevo.”

MacGil si sporse in avanti e sollevò un sopracciglio.

“Non volevi? Mi stai dicendo che non volevi salvare la vita di Erec?”

Thor era confuso. Si rese conto che stava solo peggiorando la situazione.

“No mio signore. Io non volevo…”

“E quindi ammetti che hai interferito intenzionalmente?”

Il cuore di Thor batteva forte. Cosa poteva dire?

“Mi spiace, mi signore. Io credo… volevo solo aiutare.”

“Volevi aiutare?” disse MacGil, poi si piegò in avanti ed esplose in una sonora risata.

“Volevi aiutareErec! Il nostro cavaliere più famoso e valoroso!”

La stanza fu pervasa dalle risa, e Thor si sentì avvampare in volto. Gli stava succedendo troppe volte in un giorno solo. Non c’era niente che potesse fare?

“Alzati e avvicinati, ragazzo,” gli ordinò MacGil.

Thor lo guardò con sorpresa, e vide che gli sorrideva, osservandolo, mentre si alzava e si avvicinava.

“Scorgo nobiltà nel tuo volto. Non sei un ragazzo comune. No, per niente comune.”

MacGil si schiarì la voce.

“Erec è il nostro cavaliere più amato. Ciò che hai fatto oggi è una cosa grande. Una cosa grande per noi tutti. Come ricompensa, da oggi in poi, ti accolgo come parte della mia famiglia, con tutti gli onori ed il rispetto dovuti ad ognuno dei miei figli.”

Il Re si riappoggiò indietro ed esultò: “Che la notizia venga divulgata!”

Si sollevò un grido di giubilo e la stanza rimbombò del rumore di piedi che battevano.

Thor si guardò attorno, confuso, incapace di capire tutto ciò che gli stava accadendo. Parte della famiglia reale. Andava oltre i suoi sogni più reconditi. Tutto quello che voleva era essere accettato, avere un posto nella Legione. Ed ora questo. Era così sopraffatto dal senso di gratitudine, dalla gioia, da non sapere cosa fare.

Prima che potesse rispondere, la stanza eruppe in canti, danze e festeggiamenti, con la gente che faceva festa attorno a lui. C’era una tale confusione. Thor guardò il re, vide i suoi occhi brillare d’amore, adorazione e accettazione. Non aveva mai avvertito l’amore di una figura paterna in vita sua. Ed ora eccolo qui, amato non da un uomo qualsiasi, ma nientemeno che dal Re. In una giornata il suo mondo era completamente cambiato. Pregava solo che tutto ciò fosse reale.

*

Gwendolyn corse tra la folla, facendosi largo, intenzionata a vedere di nuovo quel ragazzo prima che venisse fatto uscire dalla corte reale. Thor. Il cuore le batteva più forte al solo pensiero e non riusciva a fare a meno di pensare al suo nome. Era stata incapace di smettere di pensare a lui dal momento in cui l’aveva incontrato. Era più giovane di lei, ma non più di uno o due anni, e oltretutto aveva un modo di fare che lo faceva sembrare più vecchio, più maturo degli altri, più profondo. Dal momento in cui l’aveva visto, sentiva di conoscerlo. Sorrise tra sé e sé al ricordo dell’incontro e di quanto lui si fosse rivelato confuso. Aveva potuto leggergli negli occhi che anche lui provava lo stesso nei suoi confronti.

Ovviamente non lo conosceva neanche, ma aveva visto cosa aveva fatto durante il torneo, e aveva notato quanto il fratello minore provasse simpatia per lui. Da quel momento l’aveva osservato, con il presentimento che ci fosse in lui qualcosa di speciale, qualcosa di diverso dagli altri. L’incontro non aveva fatto che confermare quella sensazione. Lui era diverso da tutta quella gente di corte, da tutti quelli nati e cresciuti lì. C’era in lui qualcosa di sinceramente genuino. Era un outsider. Una persona comune. Ma, stranamente, con un portamento reale. Era come se fosse troppo riservato per rivelare ciò che realmente era.

Gwen si fece strada fino al bordo del balcone più alto e guardò verso il basso: sotto di lei era sparpagliata la corte reale, e lei diede un’ultima occhiata a Thor, mentre veniva condotto fuori con Reece al suo fianco. Si stavano sicuramente dirigendo alle caserme, per esercitarsi con gli altri ragazzi. Avvertì una fitta di dispiacere, e già si chiedeva come avrebbe potuto rivederlo.

Gwen doveva saperne di più sul conto di quel ragazzo. Doveva scoprire qualcosa. E per questo era necessario parlare con la donna che sapeva tutto di qualsiasi persona e qualsiasi cosa succedesse nel regno: sua madre.

Gwen si voltò, ripercorrendo la strada tra la folla, svoltando attraverso i corridoi del castello che conosceva a memoria. Le girava la testa. Era stata una giornata frastornante. Prima l’incontro mattutino con il padre e la notizia scioccante che lei era destinata a governare il regno. Era stata completamente colta alla sprovvista, non se lo sarebbe mai aspettato per nulla al mondo. Tutt’ora faceva fatica a capacitarsene. Come avrebbe mai potuto governare il regno? Scacciò il pensiero dalla testa, sperando che quel giorno non arrivasse mai. Del resto suo padre era forte e in salute, e, soprattutto, la cosa che lei maggiormente desiderava era che lui vivesse. Che stesse lì con lei. Felice.

Ma non riusciva a cancellare l’incontro dalla sua mente. Da qualche parte, nascosto dentro di lei, quel seme si era piantato, e quando quel giorno fosse arrivato, sarebbe toccato a lei. Lei gli sarebbe succeduta al trono. Nessuno dei suoi fratelli. Proprio lei. La cosa la terrorizzava, le dava anche una sensazione di importanza e di fiducia che mai aveva provato. Lui l’aveva considerata idonea a governare, l’aveva giudicata la più saggia di tutti loro. Si chiedeva perché.

In qualche modo la cosa la preoccupava pure. Supponeva che avrebbe suscitato una buona dose di risentimento ed invidia: essere scelta, lei, una ragazza. Poteva già percepire l’invidia di Gareth. E ne era spaventata. Sapeva che il fratello maggiore era terribilmente manipolatore e decisamente spietato. Non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di ottenere quello che voleva, e l’idea di essere nel suo mirino non le era gradita. Aveva tentato di parlargli dopo l’incontro, ma lui non l’aveva neanche degnata di uno sguardo.

Gwen corse giù dalla scala a chiocciola, i suoi passi rimbombavano sulla pietra. Svoltò in un altro corridoio, passò attraverso la cappella sul retro, attraversò un’altra porta, oltrepassò diverse guardie ed entrò nelle stanze private del castello. Doveva parlare con sua madre, che sapeva essere lì a riposare. Sua madre non sopportava più così tanto quelle lunghe pratiche ufficiali: appena poteva amava svignarsela nelle sue stanze private e riposare.

Gwen passò davanti a un’altra guardia, percorse un altro salone ed infine si fermò di fronte ad una porta che conduceva allo spogliatoio di sua madre. Stava per aprirla, ma si fermò. Da dietro la porta provenivano voci soffocate, il cui tono era in crescendo, e percepì che c’era qualcosa che non andava. Era sua madre, e stava litigando. Ascoltò con attenzione, e sentì la voce di suo padre. Stavano discutendo. Ma perché?

Gwen sapeva che non sarebbe dovuta stare ad ascoltare, ma non poté farne a meno. Allungò una mano e delicatamente aprì la pesante porta di quercia, afferrando il battente di ferro. Aprì giusto quel poco che bastava per sentire.