La Corona Bronzea

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Lì per lì nessuno fece caso alle punture degli insetti, ci si era abituati, ma dopo qualche giorno Berardo e alcuni altri uomini e donne della borgata caddero malati, in preda alla febbre alta, e con bubboni in varie parti del corpo, chi sulla schiena, chi dietro al collo, chi sulla pancia. Il morbo aveva fatto presto a diffondersi da una casa all’altra, tutte attaccate come erano, e poi si era propagato verso la campagna. Ma ben presto era arrivato a colpire anche famiglie residenti in città, all’interno della cinta muraria.

Lucia aveva appreso a suo tempo dalla nonna come cercare di curare i malati di peste. Aveva sentito dire che ad Ancona, dove il morbo si era diffuso in maniera esponenziale, chi se lo poteva permettere si faceva ricoverare e curare nel “Lazzaretto”. Ma secondo lei non era un’idea molto saggia concentrare le persone ammalate in un unico luogo. Era meglio tenere isolato il malato nella sua casa, per evitare che contagiasse a sua volta persone sane, prendendo le opportune precauzioni ci si doveva avvicinare a lui. Quando doveva entrare nella stanza di un ammalato, Lucia si copriva ben bene con vestiti pesanti, ma solo dopo essersi cosparsa tutto il corpo con un unguento a base di citronella, basilico, menta, mentrasto e timo. L’odore che emanava era quasi nauseabondo, ma era un ottimo rimedio per non farsi pungere da pulci e pidocchi che, chissà perché, infestavano sempre le dimore degli appestati. Con un fazzoletto di seta, copriva anche bocca e naso prima di avvicinarsi al malato, al fine di evitare di respirare gli umori cattivi da questi emessi. La prima cosa da fare era far spogliare il paziente per osservare quante pustole avesse addosso e quale fosse il loro aspetto. Se erano dure e scure, esse andavano spalmate con un unguento a base di olio canforato e ittiolo, al fine di farle ammorbidire e maturare. Le pustole dovevano infatti esplodere e far fuoriuscire il loro cattivo contenuto, chiamato dai medici con il termine di “pus”. La febbre andava invece combattuta con infusi a base di corteccia di salice e con l’applicazione di pezze bagnate sulla fronte del malato. Tutta la casa doveva essere purificata con fumigazioni ottenute dalla combustione di olio di canfora, in cui erano stati messi a macerare per alcuni giorni rametti di cipresso, buccia di melograno e cannella. Lucia sapeva bene che se l’ammalato presentava difficoltà a respirare era condannato a morte sicura. Tanto valeva chiamare un sacerdote per fargli impartire l’estrema unzione. Ma nessun religioso, primo fra tutti Padre Ignazio Amici, si prestava a portare i conforti di rito agli appestati. Avevano tutti troppo paura di rimanere contagiati a loro volta. Se invece le pustole, nel giro di alcuni giorni, di solito una settimana, si ammorbidivano e lasciavano fuoriuscire i cattivi umori, dando origine poi a cicatrici, il paziente poteva considerarsi fuori pericolo e si sarebbe avviato alla guarigione. Quando un malato di peste moriva, tutte le suppellettili, mobili, letto, coperte e tutto ciò che era venuto a contatto, direttamente o indirettamente, con la persona infetta, dovevano essere ammassati davanti alla sua dimora e dati alle fiamme. I cadaveri non potevano trovare sepoltura all’interno delle chiese, ma venivano portati in aperta campagna e seppelliti in profondità, sotto un ampio strato di terra, meglio se argillosa.

Lucia aveva così portato aiuto a centinaia di ammalati, sia in città, che nei borghi e nelle campagne e, grazie alle precauzioni da lei prese non si era mai contagiata. Si sentiva soddisfatta, ma stanca. Percorrendo a ritroso la Via di Terravecchia, dopo essere stata a visitare un ammalato dalle parti della chiesa di San Nicolò, era dovuta passare al largo da diverse abitazioni, davanti alle quali ardevano i falò purificatori. L’aria della giornata estiva, già di per sé carica di umidità, era resa ancor più pesante dal fumo che aleggiava sulla città e in parte oscurava i raggi del sole. Giunta in Piazza della Morte, non poté evitare di pensare che, a giorni, un patibolo sarebbe stato di certo riservato alla sua ancella Mira, accusata di aver ucciso il Cardinale Artemio Baldeschi. Scacciò quel truce pensiero e si infilò dentro Porta della Rocca, guadagnando Via delle Botteghe, zona molto più gradevole e sana rispetto alle strade percorse fino a poc’anzi. Sembrava quasi che le antiche mura romane, rafforzate e ricostruite qualche decennio prima grazie all’ingegno dell’architetto Baccio Pontelli, avessero fatto da baluardo naturale all’epidemia di peste, che aveva colpito solo pochi abitanti del nucleo storico della città. Non appena guadagnato quell’ambiente confortevole, Lucia abbassò il fazzoletto attraverso cui aveva fin lì filtrato l’aria da respirare. Sciolse i capelli, lasciandoli liberi di scendere sulle sue spalle e lungo la schiene, poi con le mani diede una rassettata alla veste stropicciata. Certo, non aveva l’aspetto elegante che avrebbe imposto il suo rango, ma si sentiva più presentabile. In pochi passi raggiunse la Domus Verroni, si infilò sotto l’arco e cercò con lo sguardo Bernardino. Lo vide indaffarato a restaurare la sua bottega ma, quasi percependo il suo arrivo, fu lui il primo a chiamarla.

«Mia Signora! Che gioia vedervi qui. Come potete rendervi conto, lavoro ce n’è tanto da fare, ma ce la sto mettendo tutta. Credo che fra non più di un mese la stamperia potrà ricominciare a lavorare a pieno regime. E tutto grazie a voi. Devo esservi davvero riconoscente per tutto quello che avete fatto per me, e la prima opera che andrò a pubblicare sarà di certo il vostro trattato sui “ Principi di medicina naturale e guarigione con le erbe”. »

Lucia sorrise compiaciuta, ma Bernardino avvertì la forzatura di quel sorriso, che cercava di sovrastare la stanchezza che la attanagliava.

«Ma voi, Madonna, siete davvero stanca. Non vorrei rimproverarvi niente, ma penso che sia ora che ve la facciate finita di visitare tutti questi appestati. Prima o poi vi ammalerete anche voi. Non pensate alla vostra figlia Laura? E ad Anna, che per voi è un’altra figlia? Come potrebbero fare senza di voi? Siete l’ultima Baldeschi rimasta in vita, assumetevi le vostre responsabilità, una volta per tutte! E non solo nei confronti delle bambine, ma della città intera.»

«Oh, Bernardino, non ricominciate con le storie che devo riappropriarmi del governo della città. Ve l’ho detto: sono una donna, non me la sento di occupare un posto che è stato sempre spettante di diritto a un uomo.»

«Non c’è un uomo di questa città che valga la metà di quanto valete voi. Ne è dimostrazione ciò che avete fatto e state facendo per gli ammalati. Ma non basta. Non potete lasciare la città in mano a dei nobili incompetenti, che lasciano che il vicario del Cardinal Cesarini faccia i suoi porci comodi, terrorizzando città e contado, e pretendendo tasse e balzelli da uomini martoriati dalla miseria e dalla pestilenza. È ora di cacciare Cardinale e vicario, e solo voi siete in grado di farlo, prendendo in mano lo scettro che vi spetta di diritto. E poi c’è Mira! Vi siete dimenticata di lei? Avevate promesso di proteggerla, e invece il processo è andato avanti. E ora, per di più, c’è l’accusa di stregoneria per lei!»

«Cosa? Che state dicendo? Il processo nei confronti di Mira è portato avanti dal giudice civile, dal nobile Uberti, e…»

«Padre Ignazio Amici ha raccolto le testimonianze. Sembra che, mentre il Cardinale precipitava dal balcone, qualcuno l’abbia sentito gridare “volo, sto volando”, addirittura col sorriso sulle labbra. E quindi non c’è altra spiegazione se non quella che Mira abbia stregato il Cardinale. Credo proprio che, in queste ore, la giovane sia sotto le grinfie dei torturatori della Santa Inquisizione. Magari tra qualche giorno vedremo sorgere una catasta di legna in Piazza della Morte. Beh, per noi che conosciamo la verità, non sarebbe bello assistere alla morte di un’innocente, per di più in una maniera così atroce.»

Senza neanche ribattere, Lucia si rigirò indignata e si diresse a passo veloce verso il Torrione di Mezzogiorno. «Sia mai!», la sentì gridare Bernardino mentre si allontanava, più rivolta a se stessa che a lui. «Ho promesso che in questa città mai più nessuna donna finirà su una catasta ardente. E manterrò la mia promessa.»

CAPITOLO 3

Preparate orsù le pinze e tenaglie roventi, dopo accenderemo il rogo.

( Tomás de Torquemada)

Le guardie, riconoscendo Lucia e consce della sua autorità, non ebbero il coraggio di sbarrarle il passo. La contessina, paonazza in viso, entrò come una furia nel Torrione di Mezzogiorno. Si ritrovò in un androne deserto. Ogni tanto delle grida femminili, soffocate e attutite dalle spesse mura, giungevano alle sue orecchie. Di certo già stavano torturando Mira. Non sapendo dove fosse la sala delle torture, e non riuscendo a capire da dove provenissero le urla della ragazza, spalancò la prima porta che trovò. Il giudice Uberti era seduto dietro una scrivania, assorto a esaminare scartoffie. Sopra il tavolo spiccava un libro dall’elegante copertina e dal titolo scritto in caratteri cubitali “Malleus Maleficarum”.

«Nobile Dagoberto Uberti! Cosa significa tutto ciò? Avevate promesso di giudicare voi la mia ancella, e di essere clemente con lei. Perché, or dunque, consegnarla agli inquisitori? Avete ascoltato a suo tempo la mia testimonianza. Mira si è difesa, mio zio la stava aggredendo, e forse l’avrebbe uccisa. Lei lo ha solo ferito, e in maniera non grave. Il fatto che sia precipitato dal balcone è stato un caso, una fatalità, indipendente dalla volontà della ragazza. Ve lo ho detto e ripetuto: Mira merita una punizione, ma non la morte!»

 

Il Giudice Uberti, rispetto a qualche anno addietro, ai tempi del processo contro Andrea Franciolini, era visibilmente invecchiato. Profonde rughe solcavano il suo viso, la schiena si era incurvata e, per camminare, doveva aiutarsi con un bastone di legno di noce. Una grave forma di artrosi, testimoniata dalla deformità delle articolazioni delle mani, lo affliggeva. Anche la vista gli era calata notevolmente e per la lettura si aiutava con una lente di vetro montata su un supporto metallico. A quel tempo erano pochi, infatti, coloro che possedevano degli occhiali, che dovevano giungere da Venezia ed erano assai costosi. Sollevò la testa dalle carte e rispose a Lucia con voce pacata, quasi rassegnata.

«Vedete, mia Signora, ho studiato bene il caso, e mi sembra che ci siano molte, troppe incongruenze. Voi siete l’unica testimone, quindi dovrei fidarmi di quello che mi dite. Purtroppo, gli stessi fatti, raccontati da voi e raccontati da Mira, sono in netto contrasto. Voi asserite che vostro zio abbia sorpreso la vostra ancella a rubare nel suo studio. Ma, a parte i libri, lì c’era ben poco da rubare. E notoriamente, Mira non sa neanche leggere. Oltre tutto so bene che vostro zio teneva denari e preziosi in ben altre stanze. Credo invece che Mira sia entrata di proposito nello studio del Cardinale, sperando che, offrendogli il proprio corpo, sarebbe stata ben ricompensata.»

«Cosa volete insinuare, Giudice?»

«Non voglio insinuare niente. Cerco solo di ricostruire come sono andate le cose, e credo di essermi fatto bene il quadro della situazione. Vedete, abbiamo fatto esaminare da esperti il corpo di vostro zio, prima di ricomporlo per la sepoltura. A parte il fatto che non indossava le calze braghe, il Cardinale aveva il membro completamente ricoperto di una sostanza oleosa, un unguento. A detta degli esperti, trattasi di una sostanza a base di essenze vegetali, che solo le streghe sanno preparare. Ma veniamo al sangue di vostro zio. Voi dite che Mira lo aveva ferito in maniera leggera con un coltello, anzi, con un tagliacarte. Ma di sangue ce n’era in abbondanza, sparso per tutto lo studio, e poi intorno al cadavere, tanto che sembra che il Cardinale, più che per la caduta, sia morto dissanguato. Una sola ferita, ma che ha raggiunto in maniera precisa un importante vaso sanguigno. E quello che è strano è che Mira sarebbe dovuta essere molto più sporca di sangue di quanto non l’abbiamo trovata. Aveva sì i vestiti sporchi, ma se aveva colpito con tale precisione, doveva avere mani e braccia lorde di sangue. E invece così non era! E i vestiti? Non erano propriamente i vestiti di un’ancella, erano vestiti di più importante fattezza.»

«E da tutto questo cosa ne avete dedotto?», chiese Lucia, con la voce che iniziava quasi a tremare, per il timore che l’Uberti stesse per snocciolare la storia che la incolpava della morte del suo zio.

«Vedete», e il Giudice mise una mano sopra il Malleus Maleficarum. «Questo libro, fornitomi da Padre Ignazio Amici, mi ha illuminato. Scritto da due inquisitori tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Insitor Kramer, qualche decennio fa, esso indica come riconoscere le streghe, a prescindere dai loro poteri. Tutte possono essere riconosciute da un segno indelebile che portano sulla pelle, un neo, una macchia, una voglia o una cicatrice, spesso nascosto dai peli delle ascelle, del pube, o magari dai capelli. Ecco perché gli Inquisitori, come prima cosa, fanno denudare la strega e le fanno rasare tutti i peli, per poter evidenziare questo segno. Ma per Mira questo non è stato neanche necessario. Lei ha un evidente neo in corrispondenza del labbro superiore, proprio sotto il naso, sopra il quale addirittura crescono dei peli. Padre Ignazio afferma che quello è un segno inequivocabile, e io, dopo aver letto questo testo, convengo con lui.»

«E tutto questo cosa avrebbe a che fare con la morte di mio zio?»

«Ne ha a che fare, più di quanto voi, anche come testimone, possiate immaginare. Il fatto che Mira sia una strega è confermato non solo dal neo, ma anche dalle vesti che indossava quel giorno. I soliti esperti che abbiamo interpellato ci hanno confermato che quelli sono abiti che indossano le streghe più potenti, abiti tramandati da generazione in generazione, da madre a figlia. E veniamo dunque alla ricostruzione dei fatti, come ormai è chiaro siano realmente avvenuti. Mira, forte dei suoi poteri, entra nello studio del Cardinale, con la chiara intenzione di sedurlo e di ammaliarlo. Lo scopo è quello di ottenere denari, molti denari, in cambio della prestazione amorosa. Il Cardinale ci cade, si lascia sedurre, si toglie le calze braghe e si prepara a giacere con la vostra ancella. Ma lei vuol aumentare ancor di più l’appagamento dei sensi della sua vittima, e usa l’unguento, per indurlo a un maggior piacere, e di conseguenza a una maggiore elargizione in denaro. Solo che quell’unguento, in dosi giuste aumenta il piacere della carne, ma in dosi eccessive provoca allucinazioni e visioni. No, Mira non vuole uccidere il Cardinale, è l’ultima delle sue intenzioni: non si uccide la gallina che produce le uova d’oro. Ma la situazione ormai le è sfuggita di mano. Chi ha impugnato il coltello per primo? Forse il Cardinale in preda all’obnubilazione, magari per fingere di minacciare la ragazza in un crescendo di gioco erotico. E lo usa anche per tagliarle le vesti al fine di denudarla. Ed ecco che allora la strega, sentendosi troppo a rischio, fa appello ai suoi poteri. Non tocca il coltello, ma lo guida con la forza magica dei suoi oscuri poteri. Solo con la forza del suo pensiero lo lancia contro la spalla del Baldeschi, in un punto ben preciso. Una sola ferita, ma mortale.»

«E poi?»

«E poi, il tocco finale. Apre la finestra e fa precipitare il Cardinale giù dal balcone, addirittura inducendolo a credere che fosse in grado di volare. E quindi, come giudicare questa donna? Quale punizione merita? Non è stata, come dite voi, semplice difesa. Sia pure che all’inizio non era sua volontà, ha ucciso, e lo ha fatto a ragion veduta. Per di più, grazie all’uso di poteri non comuni a tutti, ma specifici di donne che noi chiamiamo streghe. STREGHE! La morte è la meritata fine per un’assassina come lei. La decapitazione. Ma se è una strega, sappiamo bene che la fine che merita è un’altra.»

«No!», esclamò Lucia, che sentiva il cuore batterle forte nel petto al solo pensiero di vedere Mira agonizzante al di là di un muro di fiamme.

Proprio in quel momento, un grido più forte, proveniente dalla sala delle torture, giunse alle sue orecchie.

«Basta così, giudice! Conducetemi immediatamente nella stanza dove stanno torturando quella poveraccia. Quest’orrore deve avere termine subito!»

«Non ve lo consiglio, non è un bello spettacolo a cui assistere. Padre Ignazio e i suoi torturatori non si faranno certo intimidire dalle parole di una donzella, per quanto nobile sia…»

«È un ordine. Conducetemi nella sala delle torture!»

Il Giudice, intuendo che la giovane sapeva il fatto suo e che poteva avvalersi dei poteri che gli spettavano di diritto, per essere la discendente del Cardinal Baldeschi, nonché la promessa sposa di colui che ufficialmente sarebbe dovuto essere designato Capitano del Popolo, abbassò la testa e obbedì a Lucia. Guidò la giovane per scale e corridoi semibui, fino a raggiungere una possente porta, davanti alla quale due energumeni armati di lance sbarravano il passo a chiunque. Le grida di Mira erano ora vicinissime. A un cenno del giudice, i due sgherri si misero di lato e aprirono la porta. A Lucia sembrò di essere giunta all’inferno. La sua ancella Mira era stata legata sopra un tavolaccio, completamente nuda, con le braccia e le gambe divaricate a formare il disegno di una croce di Sant’Andrea. I peli del pube e delle ascelle le erano stati rasati e ora, mentre uno dei torturatori tirava le catene legate ai polsi e alle caviglie della ragazza mettendo in tensione le articolazioni di gambe e braccia fin quasi a slogarle, un altro, con delle grosse forbici, le stava tagliando i capelli, gettandoli in un braciere acceso. Nello stesso braciere, che emanava un fumo pestilenziale, erano stati messi diversi arnesi di tortura perché si arroventassero. Lucia, nonostante lacrimasse sia a causa del fumo che dello spettacolo cui si era trovata improvvisamente ad assistere, scorse Padre Ignazio Amici prelevare dal braciere una grossa tenaglia e avvicinare le branche incandescenti di quest’ultima a uno dei seni di Mira. Se non l’avesse fermato in tempo, le avrebbe afferrato il capezzolo con la pinza, arrivando fino a staccarglielo.

«Pervertito di un prete che non siete altro. Fermatevi. Che state facendo?», e gli afferrò il braccio che reggeva la pesante tenaglia.

Il Domenicano si girò e, con un sorriso sadico stampato in viso, riconobbe la giovane Lucia Baldeschi.

«Ah, mia Signora. Siete venuta ad assistere alla confessione della vostra ancella? Benvenuta! Ci siamo quasi, ancora poco e ammetterà tutte le sue colpe. In fin dei conti, siete voi che l’avete accusata ed è giusto che siate presente nel momento in cui si condannerà da sola.»

Visto che il Domenicano si era fermato, il torturatore che aveva tagliato i capelli all’inquisita, aveva preso in mano un affilatissimo rasoio, con l’intenzione di rasare la testa della malcapitata.

«Fermatevi, fermate tutto. Slegatela, vestitela e riportatela in cella. Non posso tollerare che una donna sia trattata in questa maniera.»

Il tono di Lucia era autoritario e tutti si fermarono. Anche Mira cessò di gridare. Ma Padre Ignazio la guardò con aria di sfida.

«Qui dentro sono io che comando. Lasciatemi finire il mio lavoro. Dobbiamo scoprire tutti i segni che Mira ha sul suo corpo e che dimostrano che è una strega. E poi dobbiamo ascoltare dalle sue labbra la sua piena confessione. Con quale autorità voi, contessina, volete intromettervi nelle questioni che riguardano la Chiesa e la Santa Inquisizione?»

«Con l’autorità che mi spetta di diritto e che in questo preciso momento reclamo!», gridò Lucia, con una forza d’animo che neanche sospettava di possedere. «Da questo istante sono il vostro Capitano del Popolo, e come tale ho il diritto di decidere anche sulla sorte di questa donna. Voi, carcerieri, eseguite subito quanto vi ho poc’anzi ordinato: slegate Mira, datele dei vestiti e riportatela in cella. Voi, invece, Padre Ignazio Amici, seguitemi nello studio del Giudice Uberti. Debbo parlarvi in privato.»

Lucia, scendendo le scale che riportavano verso la stanza in cui fino a poc’anzi era stata a colloquio con il Giudice Uberti, per cercare di calmarsi ripeteva a se stessa, nella sua mente, gli insegnamenti ricevuti dalla nonna e, in tempi più recenti, da Bernardino.

Conosci te stessa per prima cosa, comprendi l’Arte sin qui misteriosa. Sii disponibile ad imparare, con molta saggezza usa il sapere. Il tuo comportamento sia equilibrato, e il tuo parlare sia ben ordinato. E pure in buon ordine tieni il pensiero…

E sì, doveva ben ponderare le parole e tenere in ordine i suoi pensieri, per non aggredire il Domenicano a male parole e passare dalla parte della ragione a quella del torto. Prima di entrare nella stanza fece due respiri profondi, poi chiese al Giudice di lasciarla sola con Padre Ignazio. Uberti obbedì, anche se titubante, e uscì, chiudendo la porta dietro di sé.

Lucia infisse i suoi occhi nocciola in quelli celesti, quasi acquosi, del sacerdote, a volergli dimostrare che non aveva affatto timore di lui.

«Ministro di Dio, avete la presunzione di chiamarvi? È così che siete testimone del messaggio di Nostro Signore? Gesù è sceso in terra per salvare i peccatori. O mi sbaglio? E voi, invece di predicare l’amore, cosa fate? Godete nel gettare fango sulla povera gente o, peggio, nel vederla morire tra atroci sofferenze. Passino le vostre omelie domenicali in cui accusate presunte streghe di diffondere, con le loro pratiche, il morbo che sta decimando la nostra popolazione. Passi la vostra arroganza nel negare i conforti religiosi agli appestati in punto di morte. Passi anche il fatto che abbiate negato una degna sepoltura a dei cristiani, con la scusa di evitare la diffusione della peste. Ma torturare così una giovane indifesa è troppo. Vergognatevi, e fate ammenda!»

«È Santa Madre Chiesa che vuol questo. Dobbiamo combattere le eresie e il demonio, in qualsiasi forma essi si manifestino», le rispose Padre Ignazio, senza distogliere lo sguardo, a far capire a Lucia che stava accettando la sfida. «Io agisco per perseguire un preciso intento, far rispettare la Regola e le Leggi! Dal momento che attualmente, in questa città, nessun altro si prende la briga di farlo…»

 

«L’unico intento che perseguite, Padre Ignazio, sapete qual è? Quello di soddisfare i vostri porci comodi. Non crediate che abbia dimenticato quello che stavate per fare a me. Anche se mi avevate ridotto uno straccio, somministrandomi le vostre maledette droghe, ero perfettamente cosciente. Se quel giorno, nella mia stanza da letto, non fosse entrato mio zio, non avreste esitato ad abusare del mio corpo!»

Il Domenicano, colto nel vivo, arrossì in volto e abbassò lo sguardo. Poi cercò di difendersi.

«Non è così, mia Signora. I vostri ricordi sono offuscati. Io stavo solo cercando di fare un esorcismo, che alla fine riuscì. Ed è proprio grazie al mio intervento se siete qui e non siete salita su un rogo anche voi, perché ho esorcizzato il demonio che albergavate!»

«Balle! Tutte balle! Voi siete un falso, un bugiardo, e per di più un opportunista. Mi fate schifo. Sapete cosa penso di voi? Che siete un pervertito. E che siete un impotente! Già, un impotente, che si eccita solo vedendo la sofferenza. Ecco perché godete nell’assistere alle torture, perché solo assistendo a certe scene il vostro membro si erge!»

«Cosa dite, Madonna? State usando un linguaggio che non si addice di certo a una nobile damigella come voi! Vi assicuro che non è così. Il mio unico scopo è quello di far rispettare le leggi, quelle divine e quelle degli uomini. E non sono un impotente, seguo solo la regola del mio ordine, che mi impone la castità.»

Lucia aveva capito, dal tremore della voce del suo interlocutore che stava avendo la meglio, e così decise di lanciare l’affondo finale. Si slacciò il fiocco che stringeva al collo la sua camicetta e, con un gesto repentino e improvviso, l’aprì sul davanti, mettendo a nudo i suoi seni.

«E così, non siete impotente. Orsù, dunque, volevate il mio corpo! Prendetelo ora, che ve lo offro di mia volontà. E dimostrate di essere un uomo che sa amare dolcemente una donzella.»

Padre Ignazio, conscio della trappola in cui lo stava attirando la contessina, arretrò. Lì dentro erano loro due da soli. Sapeva bene che la giovane non si sarebbe fatta scrupolo di accusarlo di aver cercato di abusare di lei, anche con la violenza. E sarebbe stata la parola sua contro quella di lei.

«Copritevi, per favore! Non è corretto da parte vostra cercare di indurmi così in tentazione. Ditemi cosa volete che io faccia, e lo farò», disse con un filo di voce e la testa bassa.

«Lo sapevo che eravate un impotente», continuò Lucia, prendendo dal candelabro sopra la scrivania una candela accesa e porgendogliela. «Perché non provate a versare sui miei seni della cera bollente? Forse così inizierete a eccitarvi, e poi avrete finalmente voglia di possedermi. Ma no, vedo che ancora indietreggiate, vi allontanate da me. Oltre che un impotente, siete anche un vigliacco!»

«Basta, vi prego! Ve lo ripeto: ditemi quello che volete io faccia e lo farò!»

Il sacerdote vide con sollievo Lucia riporre la candela e riallacciarsi la veste, per poi proseguire il suo discorso. Sentiva il sudore imperlargli la fronte e scendere copioso lungo la schiena.

«Volete sapere la verità? Tanto siete un vigliacco e non avrete il coraggio di riferirla a nessuno. Non è Mira la responsabile della morte di mio zio, ma io. Sono stata io a ferirlo e provocarne la caduta dal balcone. E adesso che avete saputo, vi dico quello che voglio che facciate. Proscioglierete Mira dalle accuse di stregoneria. Direte che erano accuse infondate e riconsegnerete la mia ancella al Giudice Uberti. Fatto questo, iniziate a preparare i bagagli. Vi voglio lontano da Jesi, il più lontano possibile. Domani stesso manderò un messaggero al Santo Padre, ad Adriano Sesto, consigliando il vostro trasferimento in Alta Savoia. Lassù le eresie imperversano e un inquisitore come voi saprà bene il da farsi per combatterle. C’è bisogno di voi, in quelle terre di confine, per ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite!»

«Il nuovo Santo Padre?», replicò Padre Ignazio, ora impallidendo visibilmente, sentendo tutte le sue certezze venir meno.

«Siete stato così indaffarato a servire la vostra Santa Madre Chiesa, da non essere neanche venuto a conoscenza del fatto che il soglio pontificio è stato occupato dal Vescovo Adriano Florensz da Utrecht, più di quattro mesi or sono? Dopo la morte di Leone Decimo, il conclave ci ha messo parecchio a eleggere il nuovo pontefice. Ma alla fine, ha scelto, e non il Vescovo di Firenze, Giulio De’ Medici, come forse voi vi aspettavate.»

«E quindi, la Chiesa è governata ora da un uomo vicino ai Riformatori? E il nostro legato pontificio? Quando giungerà in sede?» Padre Ignazio era del tutto scosso dalla notizia.

«Come siete mal informato, mio caro! Il Cardinal Cesarini è giunto da Roma già alla metà dello scorso mese di marzo, ma sembra che Jesi non sia una sede che abbia incontrato le sue grazie. Ha lasciato un suo vicario, ritornandosene ben presto in quel di Orvieto. Considerando la sua perenne assenza, le autorità civili ne hanno richiesto la sostituzione. Ma aspetteremo notizie da Roma, che di certo non tarderanno ad arrivare. Datemi ascolto, preparate i bagagli, prima che tutto il male che avete fatto si ritorca contro di voi. Ancora siete sotto la protezione di quell’abito che portate, ma credo proprio che quei panni, ben presto, vi saranno stretti.»

Padre Ignazio, non avendo più nulla da replicare, si diresse a testa bassa verso la porta, uscì passando accanto al Giudice Uberti senza neanche degnarlo di uno sguardo, e si dileguò per i meandri del torrione. Certo, in quei mesi era stato tanto concentrato nel dimostrare che Mira fosse una strega, che aveva perso del tutto il contatto con la realtà!

Ancora frastornata dal colloquio appena conclusosi e immersa nei suoi pensieri, Lucia neanche si era accorta che il Giudice era rientrato nella stanza, aspettando con pazienza che gli rivolgesse la parola. Sentì la frase uscire dalle proprie labbra come se fosse qualcun altro a parlare.

«Le accuse di stregoneria nei confronti di Mira sono cadute. Tocca a voi giudicarla. Siate clemente con lei!»

«La sua colpevolezza nell’essere stata responsabile della morte del Cardinale è ormai ampiamente dimostrata. E, per un assassino, la condanna è la morte. C’è poco da discutere. L’unica clemenza che posso riservarle è quella di un’esecuzione veloce e senza pubblico che assista. Mira verrà decapitata domattina all’alba. Non renderò pubblica la notizia. Sarà una questione tra lei e il boia.»

«L’unica cosa che chiedo è che non soffra», replicò Lucia, stringendosi nelle spalle.

«Un colpo netto, ben assestato, e la testa della giovane rotolerà sul selciato della Piazza della Morte. Mira non farà neanche in tempo a rendersi conto di non avere più la testa attaccata al collo.»

Lucia sentì le lacrime che stavano per prorompere dai suoi occhi, ma le ricacciò, avvertendo il loro sapore salato in gola. I suoi truci pensieri furono interrotti da un insolito clamore, che giungeva alle finestre dall’esterno, dalla Piazza del Palio e dalle vie limitrofe. Una folla di persone, provenienti dal contado, armate di forconi, coltelli e altri rudimentali attrezzi, stava entrando in città da Porta Valle e si dirigeva minacciosa verso la parte alta della città.

«A Palazzo. Raggiungiamo la Curia vescovile!»