Geschichte und Region/Storia e regione 29/2 (2020)

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Altre aree del regno invece, pur dominate da importanti enti monastici come S. Silvestro di Nonantola, non restituiscono un quadro così significativo come quello emerso dalla documentazione di S. Maria di Farfa o di S. Ambrogio.55 Così per il caso nonantolano è possibile osservare l’uso del beneficio unicamente grazie a una fonte esterna all’abbazia: una lettera di papa Giovanni VIII in cui si annunciava la scomunica del vescovo di Verona.56 Si tratta di una fonte particolarmente interessante dal momento che ci pone di fronte non all’assegnazione in beneficio di alcuni beni monastici ma del monastero stesso e del relativo patrimonio. La lettera venne redatta in un contesto particolare assieme a due altre missive indirizzate nella primavera dell’877 a vari destinatari per rendere nota l’avvenuta scomunica del vescovo Adalardo di Verona.57 Dal documento in questione, indirizzato all’imperatore Carlo il Calvo, apprendiamo che il monastero di Nonantola era stato concesso in beneficium al presule veronese58, un fatto senza precedenti e per il quale il pontefice riteneva offesa non solo la sua autorità ma la stessa dignità imperiale.59 Adalardo, tuttavia, si era insediato sulla cattedra veronese probabilmente tra la fine dell’875 e l’inizio dell’anno successivo e aveva sostenuto l’incoronazione imperiale di Carlo il Calvo assieme al conte Walfredo di Verona nel febbraio 876, quando compare tra i vescovi presenti alla sinodo pavese durante la quale il sovrano venne elevato al soglio imperiale.60 È altamente probabile, quindi, che l’assegnazione in beneficio di uno dei principali monasteri del regno fosse avvenuta per volontà del sovrano in segno di gratitudine per il supporto che Adalardo aveva mostrato. Non pare un caso, infatti, che il riferimento alla concessione beneficiaria sia contenuto unicamente nella lettera indirizzata all’imperatore, l’unico che aveva l’autorità per agire in quel modo. Tale concessione aveva tuttavia suscitato uno scandalo che aveva portato alla scomunica del presule affinché potesse ravvedersi e correggere la propria condotta, ed è in tale frangente che venne inviata, tra le altre, la lettera in questione.61 Dell’abate Teodorico di Nonantola non è dato sapere alcunché in questa fase ma è probabile che rimase nel monastero sebbene delegittimato nelle sue attività politiche e patrimoniali. Era Adalardo che svolgeva ora le funzioni di abate di Nonantola ma tale situazione aveva alimentato il malcontento dei monaci che avevano visto violato il loro diritto alla libera elezione dell’abate e probabilmente furono loro a rivolgersi al pontefice affinché ponesse fine a tutto ciò. Le lettere di scomunica, indirizzate oltre che all’imperatore anche ai vescovi delle tre sedi metropolitiche di Aquileia, Milano e Ravenna e al clero veronese, avevano quindi carattere pubblico ed erano rivolte al contesto sociale di cui Adalardo era parte. Le missive, infatti, sortirono gli effetti previsti e il presule rinunciò dunque al monastero riappacificandosi con il papa che ritirò la scomunica, mentre l’abate Teodorico venne reintegrato alla guida della comunità nonantolana.

Un ultimo caso ci porta a Pavia agli inizi del secolo X e riguarda un conflitto sorto attorno ad alcuni beni monastici tenuti in beneficio. Nell’aprile 915 si svolse un placito presieduto dal messo imperiale Odelrico nel viridarium del palazzo regio, accanto alla laubia dove re Berengario I teneva il placito generale.62 Si trattava dell’ultimo atto di una controversia che si protraeva da anni tra Teodelassio, abate di S. Colombano di Bobbio, e il marchese Radaldo63, scaturita dall’intrusione che quest’ultimo aveva effettuato con i suoi uomini nella curtis monastica denominata Barbada.64 L’abate, infatti, sosteneva che le case e le famiglie della corte erano tenute contra legem da Radaldo poiché spettavano al monastero. Spiegò dunque ai giudici come Radaldo e il suo avvocato Gotefredo avessero risposto alle lamentele sostenendo che quanto affermato corrispondeva a verità ma i beni contestati non erano detenuti in violazione della legge, dal momento che per lungo tempo la curtis era stata assegnata in beneficio.65 Radaldo si era dunque accordato con l’abate per presentarsi in sede di placito e porre fine alla contesa, attraverso un atto ufficiale, esponendo la documentazione relativa. Il marchese e il suo avvocato tuttavia, nonostante una lunga ricerca, non riuscirono a trovare alcuna prova documentaria o testimone che potesse dimostrare il diritto a mantenere quei possessi, gestiti fino a quel momento a titolo beneficiario ex regia potestate66, e furono dunque costretti a restituirli al monastero di S. Colombano. È evidente che la diatriba era stata risolta prima di presentarsi al placito e in quell’occasione il raggiungimento di un accordo venne semplicemente confermato con un atto scritto che tutelasse il monastero. Tale caso, quindi, consente di osservare come il marchese non fosse in possesso di alcun documento che comprovasse l’assegnazione del beneficio regio, che doveva essere avvenuta oralmente al tempo degli imperatori Guido e Lamberto di Spoleto nell’ultimo decennio del secolo IX. Solo nella primavera del 915, tuttavia, il cenobio riuscì a entrare nuovamente in possesso di quei beni rivolgendosi al tribunale regio di Berengario I. Il particolare secondo cui la curtis era solita essere assegnata come beneficio regio sembra inoltre suggerire un’origine fiscale di quei beni, concessi a Radaldo dai rivali storici di Berengario con i quali il marchese aveva rapporti parentali. È probabile, d’altro canto, che le lamentele da parte dei monaci fossero cominciate subito ma solo dopo molti anni, in una fase in cui Berengario I era ormai rimasto l’unico sovrano a dominare la scena politica del regno e si stava preparando all’incoronazione imperiale, riuscirono a riottenerla con un atto ufficiale a fronte dell’impossibilità evidente da parte di Radaldo di difendere in giudizio le sue ragioni in merito al beneficio conteso.

Conclusioni

I dibattiti che hanno animato in ambito storiografico gli ultimi decenni del secolo scorso hanno aperto la strada a un ripensamento di molti assunti che erano dati per acquisiti. Se la periodizzazione può essere vista per certi aspetti come una trappola fatale, essa al tempo stesso può tuttavia costituire un aiuto a pensare il passato che più che essere ciò che gli uomini hanno fatto o che è accaduto in un tempo precedente si configura come l’immagine creata da coloro che sono venuti più tardi rispetto a un determinato momento storico.67 Appare dunque evidente l’importanza di riflettere sul tema della periodizzazione affinché essa non si riduca all’innalzamento di confini granitici e invalicabili tra le fasi della storia ma che al contrario tenga conto degli elementi di continuità e differenziazione, che segua dunque il fluire delle trasformazioni nel corso del tempo. Tutto ciò tenendo comunque ben presente i limiti intrinseci a tale operazione e riconoscendone tuttavia al tempo stesso l’utilità per il lavoro storico, che forse risiede proprio nel poter mettere in discussione le scansioni temporali rigide e mostrare la porosità dei supposti netti confini. Una data simbolica, d’altro canto, potrebbe essere immaginata proprio come un indicatore che aiuta a far chiarezza, a fissare un punto attorno al quale si percepisce che qualcosa è mutato per tornare più volte a esplorare a fondo e da varie angolazioni i tratti di analogia e differenziazione tra due fasi della storia che per alcuni elementi vengono percepite come distinte. L’indagine può portare a scoprire che per molti aspetti gli eventi legati a una data, rilevante ad esempio per un fatto politico come la conquista franca del regnum Langobardorum o la morte dell’ultimo discendente di Carlo Magno per linea maschile, non comportino stravolgimenti in alcuni ambiti, mentre per altri la realtà che emerge dalle testimonianze scritte e materiali risulta chiaramente mutata. Si tratta dunque di tenere conto il più possibile di tutte le facce del poliedro che emerge dall’indagine per giungere a una comprensione dei fenomeni storici che in ogni caso è difficile immaginare come qualcosa di certo e immutabile poiché nuove sfumature potrebbero contribuire alla ridefinizione del quadro.

Si è potuto dunque osservare come l’indagine di un particolare strumento di relazione come il beneficium, derivato da elementi già presenti nella tradizione giuridica romana della tarda antichità, necessiti di una scansione cronologica parzialmente diversa da quella tradizionalmente proposta. Il beneficio si presenta, infatti, come uno strumento già presente in età longobarda in alcune aree del regno, come la Tuscia, conoscendo comunque una diffusione significativa dopo la conquista franca del 774, con attestazioni che emergono in particolare a partire dai primi decenni del secolo IX. Allo stesso modo il termine fissato per l’indagine all’anno 924 ha consentito di ampliare il campo di osservazione coinvolgendo anche una fase della storia d’Italia che tradizionalmente viene intesa come altra rispetto all’età carolingia. I decenni a cavallo del secolo X paiono, tuttavia, ancora strettamente connessi con quel mondo e sono dominati dalla figura di Berengario I, che a tutti gli effetti si presenta come appartenente alla dinastia carolingia per il tramite della madre. I casi presentati, dunque, hanno consentito l’osservazione di uno strumento creatore di relazioni che si muove spesso nella dimensione dell’oralità, ma non sono assenti nemmeno documenti in cui la concessione viene esplicitamente indicata come beneficium, presentando in alcuni casi un rapporto di sinonimia con la precaria e confermando quindi anche per alcune aree del regno italico le riflessioni di Brigitte Kasten relative alle regioni transalpine. Agli inizi del secolo IX si concentrano infatti in Sabina attestazioni di concessioni beneficiarie di beni monastici che in precedenza erano stati in parte o integralmente donati al cenobio farfense per essere poi richiesti dagli stessi donatori in beneficio, mutati dunque nel loro status e aumentati nel loro valore iniziale dal momento che la donazione al luogo sacro comportava per il donatore l’ingresso nella famiglia spirituale del monastero. Emergono tuttavia anche casi, come ha mostrato il diploma di Carlo Magno, in cui le assegnazioni beneficiarie vengono solo evocate con l’intento di marcare la differenza rispetto al nuovo modo di intendere determinati beni per i quali il sovrano disponeva un nuovo impiego, non più concessi per un tempo limitato ma alienati in via definitiva attraverso una donazione.

 

A tale riguardo, i contributi offerti dall’antropologia hanno fornito utili suggestioni per poter osservare dinamiche che sembrano adattarsi molto bene al paradosso di keeping-while-giving indagato da Annette Weiner. Il beneficio, infatti, si presenta come uno strumento molto duttile, particolarmente adatto all’assegnazione di beni che si vogliono mantenere inalienabili e che vengono dunque concessi per un tempo limitato per tornare poi nelle mani del detentore originario, che su di essi non ha alcuna intenzione di perdere il controllo. In ciò si distingue dalle donazioni vere e proprie che comportano il trasferimento dei diritti sui beni concessi e la loro alienazione definitiva. Tradizionalmente inteso come una forma di concessione strettamente legata al vassallaggio, esso tuttavia risulta un agile mezzo per creare reti di relazioni e rapporti di fedeltà con individui che spesso non hanno nulla a che vedere con la sfera militare; tra i beneficiari emergono infatti preti, semplici gestori di porzioni del patrimonio abbaziale come lo scario Crescenzio o ancora donne come l’ancilla Dei Helina. Uno strumento che tuttavia porta con sé degli elementi ambigui proprio per la sua natura duttile e adattabile a varie situazioni, nonché per la predilezione all’oralità, e tali aspetti emergono bene dai casi conflittuali legati all’assegnazione di porzioni del patrimonio monastico o dell’intero monastero in beneficio, come si è potuto osservare per il caso nonantolano, senza il consenso dell’abate e della comunità monastica. Il caso del marchese Radaldo ha mostrato in particolare come l’assenza di un atto scritto che comprovi l’assegnazione beneficiaria, unita all’impossibilità di presentare in sede giudiziaria testimoni che potessero sostenere le ragioni del beneficiario, comporti per quest’ultimo la perdita tanto della causa quanto del beneficio. Nell’analisi di uno strumento di relazione come il beneficium pare dunque necessario riflettere sulla base di periodizzazioni dettate dagli stessi contesti regionali in cui tale forma di concessione è osservabile, operando poi un confronto con altre aree e altre scansioni cronologiche. A tali aspetti si aggiunge, infine, la necessità di liberarsi al tempo stesso delle sovrastrutture legate alla questione del feudalesimo e dalle prospettive retroattive, per procedere senza i famosi occhiali da sole feudali nel tentativo di restituire un quadro un po’ meno fosco di quanto si è presentato finora agli studi.

Manuel Fauliri, Das beneficium zwischen verhängnisvollen Tücken und regionalen Partikularismen. Ein methodischer Vorschlag für eine neue Periodisierung eines Beziehungsinstruments im regnum Italiae (8.–10. Jh.)

Das Problem der Periodisierung und regionalen Differenzierung zählt zu den Konstanten in der Beschäftigung mit Geschichte. In den letzten Jahren waren zahlreiche klassische Bereiche der Mediävistik zum Objekt heftiger Debatten geworden, die vor allem um das Thema der Transformationsprozesse der römischen Welt kreisten. Parallel dazu standen auch traditionsreiche Grundannahmen in der Mittelalterforschung, wie das Lehnswesen, im Kreuzfeuer der Kritik, die zu weniger rigiden Periodisierungsversuchen und stärkeren Nuancierungen führte. Im Kontext der intensiven Auseinandersetzungen mit Susan Reynolds Fiefs and Vassals soll in diesem Beitrag das in den letzten Jahren etwas vernachlässigte Thema des beneficium (ein auf Zeit gewährtes „Gut“) angegangen werden. Es handelt sich dabei um eine Form der Leihe, die gewöhnlich in den Bereich der Mündlichkeit angesiedelt und traditionell als Kompensation für militärische Erbringungen interpretiert wurde. Reynolds vermutete seinen Ursprung hingegen im kirchlichen Bereich als Anlehnung an die Vertragsform römischer Herkunft der precaria. Reynolds Interpretationsmodelle zum beneficium und seinem Verhältnis zur precaria sind letztens vor allem von Brigitte Kasten vertieft worden, während Paul Fouracre das beneficium vor dem Hintergrund anthropologischer Modelle zum Gabentausch untersucht hat, indem er auf das Modell der „paradoxen Dynamik“ von Annette Weiner zurückgriff, das mit dem Ausdruck keeping-while-giving auf den Punkt gebracht werden kann.

Vor dem Hintergrund dieser neuen Interpretationsansätze will dieser Beitrag das beneficium als ein Instrument der Beziehung in einem spezifischen geografischen Raum mit langobardischer Tradition, nämlich dem regnum Italiae, untersuchen, und zwar entlang einer Zeitspanne von zwei Jahrhunderten, die der klassischen historischen Epocheneinteilung entspricht. Dabei fällt auf, dass das beneficium im Langobardenreich nicht als Neuheit von den Franken nach der Eroberung von 774 eingeführt worden ist, sondern bereits der römischen juristischen Tradition bekannt war und auch in langobardischer Zeit ausgemacht werden kann, wenngleich sporadisch. Ab dem 9. Jahrhundert begegnen derartige Leihen in den Quellen häufiger, dabei weisen die sehr unterschiedlichen Kontexte ihrer Verwendung keineswegs auf einen einheitlichen Gebrauch dieses Instruments im regnum hin. Anhand einiger stichprobenweise aus umfangreichen und kontinuierlichen corpora entnommener Beispiele kann der Beitrag aufzeigen, wie verschieden das beneficium je nach regionalem Kontext verwendet worden ist: Die Beispiele beziehen sich auf die Klöster Farfa, im heutigen Lazium, und S. Ambrogio in Mailand sowie auf die Abtei Nonantola, wobei hier, zwischen Modena und Mantua, die Leihe von beneficia nur selten dokumentiert ist. Die untersuchten Beispiele liefern auch ein vielfältiges Bild der Beliehenen: Es finden sich fideles des Herrschers wie auch einfache Verwalter von Teilen des Klosterbesitzes. Die traditionelle Verbindung zwischen beneficium und Vasallität scheint demnach irreführend, da die Vasallen gewiss Güter in beneficium erhalten konnten, sie aber nicht die einzige Empfängergruppe darstellten.

Durch den anthropologischen Zugang kann der Beitrag auch in diesem Untersuchungsraum die Dynamiken eines keeping-while-giving-Prozesses beobachten. Das beneficium erwies sich nämlich als ein besonders flexibles und an verschiedene Situationen anpassungsfähiges Instrument, um Beziehungen mittels unveräußerlicher Güter zu stiften – ein Instrument, das (seiner Natur gemäß verschieden von einer tatsächlichen Gabe) eben dem ursprünglichen Inhaber weiterhin die Kontrolle über die abgegebenen Güter garantieren konnte, da sie am Ende in seine Hände zurückfallen mussten. Der Beitrag verweist auf die Notwendigkeit, klassische Periodisierungsschemata mit strikten Zeitrastern aufzubrechen, um den Ähnlichkeiten wie auch Differenzen in den verschiedenen regionalen Kontexten des regnum Italiae gerecht werden zu können.

1 Il primo volume della collana The Transformation of the Roman World fu pubblicato nel 1997: cfr. Walter POHL (a cura di), Kingdoms of the Empire. The Integration of Barbarians in Late Antiquity (The Transformation of the Roman World 1), Leiden 1997.

2 Per la proposta radicale di abolizione del concetto di feudalesimo cfr. Susan REYNOLDS, Fiefs and Vassals. The Medieval Evidence Reinterpreted, Oxford 1994.

3 Per una riflessione sul significato del passaggio dal dominio longobardo a quello franco cfr. Stefano GASPARRI (a cura di), 774: ipotesi su una transizione. Atti del Seminario di Poggibonsi, 16–18 febbraio 2006, Turhout 2008.

4 Walter POHL, Il V secolo e la trasformazione del mondo romano. In: Paolo DELOGU/Stefano GASPARRI (a cura di), Le trasformazioni del V secolo. L’Italia, i barbari e l’Occidente romano, Turnhout 2010, pp. 741–760, qui p. 741.

5 Julia M.H. SMITH, L’Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale (500–1000), Bologna 2008, p. 12. [orig.: Europe after Rome: a New Cultural History, 500–1000, Oxford 2005].

6 Andrea GIARDINA, Esplosione di tardoantico. In: Studi Storici 40 (1999), 1, pp. 157–180, qui p. 164.

7 Charles S. MAIER, I paradossi del “prima” e del “poi”. Periodizzazioni e rotture nella storia. In: Contemporanea 2 (1999), 4, pp. 715–722, qui p. 719.

8 Ibidem, pp. 721–722.

9 Glen W. BOWERSOCK/Elio LO CASCIO, Riflessioni sulla periodizzazione dopo “Esplosione di tardoantico” di Andrea Giardina. In: Studi Storici 45 (2004), 1, pp. 7–13, qui p. 7.

10 Cfr. REYNOLDS, Fiefs and Vassals; per alcune reazioni alla pubblicazione del libro di Reynolds cfr. Giovanni TABACCO, Recensione a: Susan Reynolds, Fiefs and Vassals. The Medieval Evidence Reinterpreted, Oxford 1994. In: Rivista storica italiana 108 (1996), 1, pp. 363–365; Chris WICKHAM, Le forme del feudalesimo. In: Il Feudalesimo nell’Alto Medioevo (Atti delle settimane di studio del Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo XLVII), Spoleto 2000, pp. 15–46; Natalie FRYEDE/Pierre MONNET/Otto Gerhard OEXLE (a cura di), Die Gegenwart des Feudalismus/ Présence du feudalisme et présent de la féodalité/The Presence of Feudalism, Göttingen 2002.

11 Per un’efficace ricostruzione del dibattito cfr. Giuseppe ALBERTONI, Vassalli, feudi, feudalesimo, Roma 2015.

12 Cfr. REYNOLDS, Fiefs and Vassals, p. 11.

13 Cfr. ibidem, p. 34.

14 Si vedano ad esempio gli importanti lavori di Cinzio Violante e di Giovanni Tabacco: cfr. Cinzio VIOLANTE, La società milanese nell’età precomunale, Bari 1953; Giovanni TABACCO, Fief et seigneurie dans l’Italie communale. L’évolution d’un thème historiographique. In: Le Moyen Âge LXXV (1969), pp. 5–37 e pp. 203–218; IDEM, L’allodialità del potere nel Medioevo. In: Studi medievali 11 (1970), II, Ser. 3, pp. 565–615; IDEM, Il feudalesimo. In: Luigi Firpo (a cura di), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, vol. 2, Torino 1983, pp. 55–115.

15 Cfr. Piero BRANCOLI BUSDRAGHI, La formazione storica del feudo lombardo come diritto reale, Spoleto 21999, pp. 16–18.

16 Cfr. Giuseppe SERGI, I confini del potere: Marche e signorie fra due regni medievali, Torino 1995, pp. 272–295; Andrea CASTAGNETTI, Minoranze etniche dominanti e rapporti vassallaticobeneficiari, Verona 1990.

 

17 Per tali aspetti cfr. WICKHAM, Le forme del feudalesimo, pp. 18–22.

18 Per una panoramica sui vari usi del termine cfr. Gennaro FERRARI, Beneficia. In: Antonio AZARA/Ernesto EULA (a cura di), Novissimo Digesto Italiano II, Torino 1957, pp. 312–314.

19 Cfr. Brigitte KASTEN, Beneficium zwischen Landleihe und Lehen – eine alte Frage, neu gestellt. In: Dieter R. BAUER et al. (a cura di), Mönchtum – Kirche – Herrschaft, 750–1000. Josef Semmler zum 65. Geburtstag, Sigmaringen 1998, pp. 243–260; Brigitte KASTEN, Feudalesimo: dato di fatto o costruzione? In: Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento/Jahrbuch des italienischdeutschen historischen Instituts in Trient 38 (2012), 1, pp. 39–83.

20 Cfr. Wallace M. LINDSAY (a cura di), Isidori Hispalensis episcopi Etymologiarum sive originum libri XX, Oxford 1911, liber V, XXV, 17: “Precarium est dum prece creditor rogatus permittit debitorem in possessione fundi sibi obligati demorari, et ex eo fructus capere. Et dictum precarium quia prece aditur, quasi precadium, R pro D littera commutate”.

21 Cfr. SALVIANUS MARSILLENSIS, Ad ecclesiam 1, 26. In: George LAGARRUGUE (a cura di), Salvien de Marseille, Oeuvres, vol. 1: les lettres, les livres de Timothée à l’église, Paris 1971, p. 156: “Et nos itaque usum tantum earum rerum accepimus, quas tenemus; commoditatis enim a Deo facultatibus utimur et quasi precarii, possessores sumus”.

22 Cfr. KASTEN, Feudalesimo, p. 52.

23 Cfr. Wilhelm SCHMITZ (a cura di), S. Chrodegangi Metensis episcopi (742–766) regula canonicorum, Hannover 1889, p. 20: “Et si aliquis ex ipso clero de ecclesia tale beneficium accepto ab episcopo habet, ut exinde possit procurare necessaria sua, id est cappa et calciamenta”; ibidem, p. 21: “ita tamen ut ipsi clerici, dum advivent, si ita placuerit, res suas usufructuario ordine per beneficium ecclesie habeant, ut omnia sit communia et post obitum eorum ad ecclesiam vel ad canonicum ordinem, cui ante date fuerant, revertantur”.

24 Cfr. Marcel MAUSS, Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques. In: L’Année sociologique (1923–1924), 1, pp. 30–186; Paul J. FOURACRE, The Use of the Term beneficium in Frankish Sources. A Society Based on Favours?. In: Wendy Davies/Paul J. FOURACRE (a cura di), The Languages of Gifts in the Early Middle Ages, Cambridge 2010, pp. 62–88.

25 Cfr. Annette B. WEINER, Inalienable Possessions. The Paradox of Keeping-While-Giving, Berkley/ Los Angeles 1992.

26 Per tali aspetti e per una panoramica generale relativa all’antropologia del dono con relativa bibliografia cfr. Manuel FAULIRI, Il beneficium tra dono e inalienabilità: indagine su uno strumento di relazione nel regnum Italiae (secc. VIII–X), tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, a. a. 2018–2019, rel. Giuseppe Albertoni, pp. 5–10.

27 Cfr. FOURACRE, The Use of The Term beneficium, pp. 64–65.

28 Capannoli, oggi in provincia di Pisa.

29 Cfr. Luigi SCHIAPARELLI (a cura di), Codice diplomatico longobardo, vol. 1, Roma 1929, doc. 34, pp. 123–124 (Lucca, 724 ottobre).

30 Cfr. ibidem, p. 123: “Unde consideravimus Dei misericordia et redemptione anime nostrae, et offerimus vobis beati sancti Petri et sancti Martini, sancti Quirici quicquid ad mano mea habere videor. Omnia ad ipsas sanctas vertutes offerre disposui, sic ita, ut, dum advivere meruero, ego vel Ratperga, ad ipso sancto loco Domino deservire debeamus”.

31 Cfr. ibidem, p. 123: “et si forsitans ego antea de Ratperga de saeculo recessero, ut ipsa in ipso sancto loco una cum conquisito meo quieta et sine omni taxatione Domino deservire debeat; et post obito nostro, quem in vita nostra elexeremus, una cum voluntate domini episcopi in ipso sancto loco Domino deserviat, et possedeat casa cum extrinsico suo, sicut superius decrivimus, qui ospitale vocatur”.

32 Cfr. ibidem, doc. 35, pp. 125–126 (Lucca, 724 ottobre?).

33 Cfr. SCHIAPARELLI (a cura di), Codice diplomatico longobardo, vol. 1, doc. 35, p. 126: “volo atque decerno, ut ab hunc dies ipsa ecclesia in officio monastiriale semper maneat, et per festivitates sepe dicti sancti Petri et sancti Martini vel sancti Quirici ad ecclesiam Sancti Martini in episcopio luminaria vel, quod Dominus condonaverit, salutem adducere debeas, tam tu quam vel quis post te ordinatus fueret”.

34 Il termine beneficium compare anche in un capitolo delle leggi di Rotari per indicare una forma di concessione alternativa all’affitto e ciò potrebbe suggerire un uso di tale strumento giuridico derivato dalla tradizione romana. Cfr. Frederich BLUHME (a cura di), Leges langobardorum (Monumenta Germaniae Historica, Leges 4), Hannover 1868, c. 327, p. 75: “Si quis praestitum aut conductum caballum aut bovem aut canem aut quolibet animalem habuerit, et dum in ipso beneficio aut conductura est, damnum fecerit, non requiratur proprio domino, sed ille qui praestitum post se habuit, ipse homicidium aut damnum conponat”. Un’analisi completa della documentazione d’età longobarda, d’altro canto, potrebbe fornire un panorama più nitido sull’effettiva incidenza o meno delle concessioni in beneficio nell’Italia longobarda.

35 Cfr. Engelbert MÜHLBACHER (a cura di), Pippini, Carlomanni, Caroli Magni diplomata (Monumenta Germaniae Historica, Diplomatum Karolinorum 1), Hannover 1906, doc. 214, pp. 285–287 (Aquisgrana, 811 dicembre 21). Sulla rivolta di Rotgaudo cfr. Stefano GASPARRI, Italia longobarda: il regno, i Franchi, il papato, Roma 2012, pp. 125 e 136; Giuseppe ALBERTONI, L’Italia carolingia, Roma 1997, pp. 22–24; Harald KRAHWINKLER, Friaul im Frühmittelalter. Geschichte einer Region vom Ende des fünften bis zum Ende des zehnten Jahrhunderts, Wien 1992, pp. 119–143.

36 MÜHLBACHER (a cura di), Pippini, Carlomanni, Caroli Magni diplomata, p. 287: “Tertius quidem frater illorum nomine Lodolfus, qui in infidelitate eorum non perseveravit, suam adhuc tenet portionem. Per reliqua vero loca, ubi et ubi aliquid de supradictorum infidelium hereditate ad nos pervenit, nostrae imperiali reservavimus ordinationi”.

37 Cfr. ibidem, p. 286: “petiit celsitudini nostrae, ut in elemosina nostra ad eandem sanctam sedem aliquam portionem hereditatis, quam Rotgaudus Langobardus et germanus illius Felix intra civitatem vel foras prope moenia civitatis ipsius habuerunt et propter eorum infidelitatem, quia cum Rotgaudo quondam infideli duce fuerunt interfecti, in publicum nostrum secundum legem Francorum vel Langobardorum devenerat, et post illorum duorum fratrum de hac luce obitum quidam fidelis noster nomine Landola per nostrum tenuit beneficium et post eius discessum Benno filius eius, deinde Bono hactenus tenere visus fuit, traderemus vel confirmaremus, quatenus opportunius atque decentius atria vel reliquas constructiones, quae ad honorem illius loci pertinerent, secundum quod ipse mente provida tractaverat, adimplere valeret”.

38 Per tali aspetti, e in generale per il caso farfense, cfr. a FAULIRI, Il beneficium, pp. 83–132.

39 Cfr. Ignazio Giorgi/Ugo BALZANI (a cura di), Il Regesto di Farfa, vol. II, Roma 1879, doc. 189, pp. 154–155 (Rieti, 808 luglio 18): “Et nunc quidem habeo petitionem meam ad te domnum Benedictum abbatem et ad tuos monachos, ut ipsam substantiam suprascriptam per concessionem beneficii vestri, diebus vitae meae et Lamperti et Anserami filiorum meorum haberem, usu fruendi, laborandi, colendi, cultandi, et meliorandi”.

40 Cfr. ibidem, doc. 202, pp. 165–166 (Rieti, 813 luglio 18); per l’atto di donazione cfr. ibidem, doc. 201, pp. 164–165 (Rieti, 813 luglio 10).

41 Cfr. ibidem, p. 165: “habeo petitionem meam ad te, domne Benedicte abbas, et ad tuos monachos, ut ipsas res quas vobis vel monasterio vestro per cartulam a die praesenti concessi et tradidi, michi sub beneficiali ordine concedere deberetis diebus vitae meae, quod ita concessistis michi”.

42 Cfr. ibidem, p. 166: “In ea videlicet ratione, ut omni anno in missa sanctae Dei genitricis Mariae, quae evenit xviii Kalendas septembris, persolvamus vobis vel successoribus vestris pensionis nomine solidos tres in argento vel pannis”.

43 Cfr. GIORGI/BALZANI (a cura di), Il regesto di Farfa, vol 2, pp. 165–166: “Quod et ita concessistis michi, qualiter a vobis possessum est usufruendi, laborandi, cultandi et meliorandi, nam nec vendendi, nec donandi, nec in alterius potestatem per quodlibet ingenium subtrahendi de suprascriptis rebus, quas ego Helina ancilla Dei a praesenti die per cartulam emisi in ipso sancto monasterio seu et de ipsis colonis superius scriptis”.

44 Cfr. Herbert ZIELINSKI (a cura di), Codice diplomatico longobardo, vol. V, Roma 1986, doc. 56, pp. 198–202 (Rieti, 770 maggio); ibidem, doc. 57, pp. 202–205 (Rieti, 771 maggio). Sul gruppo parentale di Helina cfr. Marios COSTAMBEYS, Power and Patronage in Early Medieval Italy. Local Society, Italian Politics and the Abbey of Farfa, c. 700–900, Cambridge 2007, pp. 237–240.

45 Per il caso santambrosiano cfr. FAULIRI, Il beneficium, pp. 35–82. Per un recente e approfondito studio sul monastero di S. Ambrogio nell’alto medioevo cfr. Ross BALZARETTI, The Lands of Saint Ambrose. Monks and Society in Early Medieval Milan, Turnhout 2019.