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Historische Translationskulturen

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4.2.3 Esigenze economiche di mercato

Per evitare la marginalizzazione dovuta a un’esigua presenza sul mercato librario (cfr. Grutman 2012: 45) tutti gli attori coinvolti in tale processo1 concordano sul ruolo della Binnenübersetzung e dell’autotraduzione ritenendo necessaria la traduzione in italiano per facilitare la comprensione della poesia neodialettale. Le case editrici che, a partire dagli anni Sessanta, hanno pubblicato opere dialettali contemporanee corredate da una Binnenübersetzung in italiano sono principalmente di nicchia, tra queste la Casa Editrice Menna con sede ad Avellino, le Edizioni Cofine con sede a Roma, nonché diverse piattaforme online come il Centro di ricerca tradizioni popolari La Grande Madre oppure i Poeti del Parco, nato da un gruppo di poeti e poetesse2 che consentono agli autori di avere visibilità tramite liste di nomi, biografie, esempi di produzione letteraria con relativa traduzione in italiano standard e in parte con recensioni; queste piattaforme organizzano inoltre anche letture di brani, manifestazioni culturali e premiazioni. Colpisce il gran numero di premiazioni a livello regionale e nazionale: si citi per esempio l’annuale Premio Ischitella-Pietro Giannone per la poesia dialettale con sede a Ischitella (Foggia). Al momento dell’iscrizione al concorso è obbligatorio allegare una traduzione della poesia consegnata in italiano standard.

5 Conclusioni

“Molti di noi non lo parleranno mai l’italiano e moriranno in napoletano” (De Luca 2001: 20)

Questa citazione si riferisce alla realtà del piccolo mondo familiare della propria variante linguistica che si contrappone alla realtà di un mondo estraneo, potente, ma unificante, quello della lingua nazionale standardizzata. Ancora oggi, tra le nazioni europee, l’Italia è il Paese che può vantare la più grande frammentazione all’interno dei suoi dialetti (cfr. Marcato 2015). La pratica della Binnenübersetzung riveste un ruolo di spicco all’interno della cultura traduttiva italiana, un ponte tra la lingua standard e le varietà linguistiche nonché tra le singole varietá. Tra i fattori che sottendono alla pratica della Binnenübersetzung si annoverano l’impegno a garantire una comprensione sovraregionale del testo, una maggiore diffusione territoriale delle opere letterarie nonché la conferma di alto prestigio della propria varietà linguistica. Di norma la Binnenübersetzung si identifica in una trasposizione verticale e asimmetrica, l’orizzontalità rappresenta un’eccezione. Una caratteristica fondamentale della Binnenübersetzung è l’alta frequenza di autotraduzioni, in parte corredate da glossari, commenti e riflessioni sulla propria opera per consentire una migliore leggibilità del testo originale. Essa è caratterizzata anche dalla tendenza a rompere con le norme, servendosi delle parodie di opere letterarie apprezzate con l’intento di rivolgersi a un più vasto pubblico di lettori, valorizzando in tal modo la propria varietà linguistica. La ricerca d’identità, le rivendicazioni del potere politico e le esigenze economiche del mercato contribuiscono alla pratica della Binnenübersetzung, un segmento della cultura traduttiva italiana strettamente legato alla questione della lingua e, come constatato nel passato, sottoposto a strumentalizzazione da parte del potere politico, aspetto che continua a non poter essere escluso.

Übersetzung

Margherita Caliumi

Kateryna Drahomeretska

Angelica Resca

Federica Romeo

Stefanie Schauer

unter der Leitung von

Serena Comoglio

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Kommunikationskanäle der sowjetischen Translationspolitik in der zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts

Philipp Hofeneder

1 Einleitung

Translatorische Prozesse, Produkte und Diskurse spielten für die Entstehung, Etablierung und weitere Existenz der Sowjetunion eine zentrale Rolle. Dies ist nur teilweise auf den multilingualen und pluriethnischen Charakter der sowjetischen Gesellschaft zurückzuführen (vgl. dazu allgemein Smith 1998 bzw. Martin 2001). Erst umfangreiche sprachpolitische Zugeständnisse wie der Ausbau nationaler Bildungssysteme und die Etablierung mehrsprachiger Strukturen in Verwaltung, Kultur (darunter dem Buchwesen) und Politik führten zu einem hohen translatorischen Aufkommen. Translation wurde auf diese Weise als ein wesentliches Element in der Etablierung kommunistischer Strukturen und Ideen in und auch außerhalb der Sowjetunion eingesetzt und war ein bedeutender Bestandteil der sowjetischen Kulturpolitik.

Spätestens nach 1945 forcierte man den Aufbau sogenannter kommunistischer Nationen in der Sowjetunion selbst, aber auch im sozialistischen Lager. Diese unter dem Motto „sozialistisch im Inhalt, national in der Form“ propagierte Vorgehensweise stellte sich als eine Adaption der kommunistischen Ideologie an regionale und nationale Traditionen dar. Dabei wurde versucht, die in ihren theoretischen Grundlagen prinzipiell auf eine klassenlose Gesellschaft abzielende Ideologie an die realpolitischen, ethnischen bzw. nationalen Gegebenheiten anzupassen (vgl. etwa für Polen Zaremba 2011; Babiracki 2015). Diese Adaption wurde vielfach durch Translation in einem breiteren Verständnis bewerkstelligt, das den Transfer von Texten, aber auch Ideen sowie Diskursen umfasste (D’hulst 2012). Translatorische Prozesse, Produkte und Diskurse, die von staatlicher Seite initiiert und umgesetzt wurden, sind somit keineswegs auf die Sowjetunion zu beschränken (vgl. dazu auch den konzisen Überblick Popa 2013), sondern auch innerhalb des sozialistischen Lagers sowie darüber hinaus in einem nicht kommunistisch beherrschten Umfeld zu verorten. Translate wurden dabei spezifisch an die jeweiligen Adressatinnen und Adressaten bzw. Einsatzgebiete angepasst, wodurch sich auch voneinander abweichende translatorische Konzeptionen ergaben.

Die Bestimmung einer sowjetischen Translationspolitik ist nicht zuletzt durch die vielseitigen Konzeptualisierungen von Translation und Politik unter verschiedenen Aspekten möglich (González Núñez 2016: 88–94). An dieser Stelle soll der Fokus auf eine staatlich organisierte, finanzierte und kontrollierte Translationspolitik gelegt werden. Im Vordergrund stehen translatorisch relevante Vorgänge, die durch staatliche Strukturen geplant und umgesetzt wurden und somit von diesen forciert, zugelassen oder auch nur toleriert werden. Entscheidend dabei ist, dass es sich nicht nur um (rechtliche) Vorgaben handelt, sondern auch um etablierte translatorische Praktiken, initiierte Diskurse über Translation und den politisch vorgegeben Umgang mit Translation (González Núñez/Meylaerts 2017: 3–10). Es geht folglich um ein komplexes Netzwerk an Praktiken, Diskursen und (rechtlichen) Vorgaben, die sowohl explizit wie implizit erfolgen können. Translationspolitik setzt sich in diesem Verständnis nicht nur aus schriftlich fixierten Gesetzen und politischen Vorgaben zusammen, sondern eben auch aus einer Reihe an Konventionen und etablierten Praktiken, die nicht auf konkret formulierte Maßnahmen zurückzuführen sind (González Núñez 2016: 91–93). Aus diesem Verständnis heraus ergibt sich, dass eine sowjetische Translationspolitik keineswegs nur im Einklang mit der kommunistischen Ideologie stehen muss, sondern vielmehr auch Ausdruck einer politischen Machtposition ist, durch die konkrete gesellschafts- und kulturpolitische Zwecke und Konstellationen erreicht werden. Auf diese Weise ist Translationspolitik als ein wesentlicher Bestandteil einer Translationskultur zu verstehen (Prunč 2008: 25).1

Im Hinblick auf die Sowjetunion ist jedoch das Verständnis von Translationspolitik deutlich einzuschränken, waren doch private bzw. nicht staatliche Aktivitäten per definitionem auf ein Mindestmaß reduziert. Sinnvoll erscheint aber im vorliegenden Zusammenhang, Translationspolitik auf jene Bereiche zu beschränken, die von staatlichen Stellen und Personen vorgegeben und umgesetzt wurden. Damit sind zunächst Rahmenbedingungen von Translation gemeint, also die Auswahl der zu übersetzenden Werke, geltende Vorgaben bei der Übersetzung selbst sowie der weitere, von offizieller Seite geregelte Umgang mit und die Verbreitung von Translaten. Auf diese Weise ist gesichert, dass der Begriff Translationspolitik nicht zu weit verstanden wird und nur jene translatorisch relevanten Vorgänge und Praktiken umfasst, die darauf abzielen, zu regulieren und zu kontrollieren (siehe dazu Meylaerts 2011: 744).

Somit sollen im Rahmen des vorliegenden Artikels Gesetzmäßigkeiten (Prunč 1997: 107; González Núñez 2016: 103) herausgearbeitet und freigelegt werden. Es handelt sich dabei um die für die sowjetische Translationspolitik charakteristischen und gleichzeitig etablierten Merkmale, die nicht nur für einen räumlich wie zeitlich stark eingeschränkten Fall Gültigkeit besitzen (wie dies bei einer einzelnen oder einigen wenigen Übersetzungen der Fall ist), sondern für den gesamten Untersuchungszeitraum, die Zeit vom Zweiten Weltkrieg bis zum Ende der Sowjetunion, bestimmend sind.

Wird unter Translationspolitik, wie zuvor erläutert, der regulierende Umgang mit Translation von staatlicher Seite verstanden, so bietet es sich an, einen konkreten Aspekt zu beleuchten: Dabei handelt es sich um die Frage, wie die Verbreitung von Translaten in der sowjetischen Gesellschaft geregelt wurde. Wo werden Translate erstellt, wo werden sie produziert und auf welche Weise zirkulieren diese Texte in einer Gesellschaft (Simon 2012: 7)? An welchen Orten sind diese zugänglich und welche potenziellen LeserInnen sollen erreicht bzw. davon ausgeschlossen werden? Dadurch rücken Fragen der Vermittlung von Translation in den Vordergrund. Es geht also nicht um die Frage, wie Texte an politische und ideologische Vorgaben angepasst werden oder welche AkteurInnen daran beteiligt waren, sondern wie Translate – im Zuge und nach erfolgter Übersetzung und Veröffentlichung – behandelt werden. Auch soll die Bewegung von Translation im Raum nachverfolgt werden (D’hulst/Gerween 2018: 2; D’hulst 2018, 199–202). Folgerichtig verschiebt sich der Fokus auf die materielle Seite von Translation und fragt nun nach Kommunikationswegen und Vermittlungsmöglichkeiten, wodurch Rückschlüsse auf den Status eines Translats möglich sind (Littau 2016, besonders 88–93). Welche Maßnahmen werden im Hinblick auf Verbreitung, Zugänglichkeit und Öffentlichkeitsstatus von Translation ergriffen?2 Findet die sowjetische Translationspolitik auch einen Niederschlag in der Regelung der Verbreitung und Zugänglichkeit von Translaten?

Aufbauend auf diesen Überlegungen sollen im Rahmen des vorliegenden Artikels einige charakteristische Merkmale der sowjetischen Translationspolitik erarbeitet werden. Diese betreffen Fragen der Öffentlichkeit, Zugänglichkeit, aber auch nach dem Einsatzgebiet von Translation, die in diesen groben Zügen von 1945 bis 1991 nachzuweisen sind. Es wird danach gefragt, wo Translate vorhanden sind, wer Zugang zu diesen hat bzw. wie die Distribution von Texten gesteuert wird. Ferner wird danach gefragt, zwischen welchen Sprachen und in welchem Ausmaß übersetzt wird.

 

Ziel ist es, tiefere Einblicke in die Funktions- und Wirkungsweise dieser Politik zu gewinnen. Lassen sich direkte oder indirekte Auswirkungen bei der Distribution und der Zugänglichkeit von Translaten nachweisen und handelt es sich dabei um bewusste und kontrollierte Vorgänge bzw. Auswirkungen? Vor dem Hintergrund dieser Fragen wird die sowjetische Translationspolitik nicht ausschließlich als ein ideologisch und politisch adäquater Umgang mit vermeintlich problematischen Texten verstanden, die mit den Mitteln des Verbots, der Einschränkung oder der (textuellen) Adaption erreicht wurden. Vielmehr geht es darum, dass es sich tatsächlich um ein flexibles, veränderndes und demnach in hohem Maße situationsbedingtes Instrumentarium des Machterhalts handelte.