Il Rancher Si Prende La Sua Sposa Di Convenienza

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Capitolo Tre

Keaton guardava scorrere il paesaggio americano. Montagne brune e maestose con sprazzi di vari colori. Pascoli verdi che sembravano estendersi all’infinito. Lo sorprendeva quanto quella terra bellissima rispecchiasse i paesaggi dell’Afghanistan, dell’Iraq e della Siria. L’unica differenza era la speranza e l’opportunità che si respiravano in quella fresca aria di montagna. Le zone di guerra erano piene di conflitti, disordine e disperazione.

Durante il suo servizio in quei paesi, Keaton aveva visto uomini morire giovani. Donne e bambini soffrire quotidianamente. La terra devastata e dilaniata dalla politica e dai proiettili.

Guidando sulla Main Street di quella piccola città del Montana invece, era impossibile non notare l’esatto opposto. Guardando fuori dal finestrino della Jeep rossa che aveva noleggiato, Keaton vide dei bambini giocare spensierati in strada. Delle mamme seguire i propri figli in pantaloni da yoga e stivali da cowboy. Un gruppo di vecchi seduti sui portici vicini a fumare pipe e masticare tabacco. Invece del retrogusto metallico delle polveri esplosive, l’aria era impregnata dall’odore terroso del pane cotto.

Keaton capiva perché i soldati del Purple Heart Ranch venivano lì e sceglievano di rimanere dopo la riabilitazione. Il paesaggio assomigliava a quello visto in guerra, ma la gente mostrava loro il futuro per cui stavano combattendo, una comunità a cui appartenere.

Negli ultimi sei anni, Keaton era tornato nella sua città natale dopo ogni incarico. Il trambusto dei luoghi affollati lo rendeva ansioso. Gli alti edifici grigi e il freddo cemento lo turbavano. Gli sguardi assenti della gente per le strade, le loro labbra serrate, perfino il roteare degli occhi degli sconosciuti che si evitavano a vicenda sui marciapiedi, facevano tremare Keaton dalla preoccupazione.

I soldati si guardavano negli occhi. Parlavano chiaro.

Quindi, no, Keaton non si trovava a suo agio con la vita civile. Nemmeno gli altri uomini, quando erano tornati a casa e alla loro vita in città. Nessuno di loro voleva più combattere attivamente. Ma volevano comunque un po’ d’azione. In quel posto, che sembrava una zona di guerra inghiottita dalla pace, Keaton sapeva che avrebbero potuto rifarsi una vita.

Trenta minuti dopo, si fermò davanti ai cancelli del Bellflower Ranch. Capì di essere nel posto giusto quando vide l’insegna del fiore viola sulle sbarre di ferro. Quel fiore simile al giglio era il simbolo dei guerrieri feriti. In alcune macchie d’erba a lato del sentiero asfaltato, Keaton vide altre campanule viola. Era una pianta nativa di quella zona. Sembrava crescessero spontaneamente su quella terra. Non c’era da stupirsi se i veterani feriti che abitavano in quel posto si sentissero a casa.

Guidando attraverso i cancelli e su per il sentiero di ghiaia, Keaton vide il ranch pieno di soldati in vari stati di guarigione. Uomini con protesi alle gambe montavano i cavalli con vigore. Lungo la curva c’era un giardino dove altri con dita e braccia mancanti lavoravano la terra. Da una stalla uscivano uomini con ustioni sul viso, sulle braccia e sulle gambe. I soldati si occupavano di un serraglio di animali da fattoria. Pecore e capre si strofinavano contro i loro arti sfregiati come se non notassero alcuna ferita.

Keaton e la sua squadra erano stati fortunati a tornare con tutti gli arti e le facoltà intatte. Se qualcuno di loro avesse riportato ferite gravi, sapeva che quello sarebbe stato il posto migliore per guarire. D’altra parte, sperava che tutti i nuovi soldati desiderosi di migliorare le proprie abilità arrivassero nella parte più lontana del ranch, dove aveva progettato di costruire il suo campo di addestramento d’élite.

Keaton parcheggiò la Jeep alla fine della strada, davanti ad una grande casa. Non c’erano numeri su nessuno degli edifici. Gli avevano dato indicazioni di seguire la strada fino alla fine. Scendendo dalla Jeep, Keaton vide l’uomo che era venuto a incontrare.

Dylan Banks emerse dalla doppia porta e si fece avanti. Era vestito con una camicia di jeans e pantaloni color cachi. Una delle sue gambe era abbronzata. L’altra era d’acciaio.

“Keaton, ce l’hai fatta.”

“È bello rivederti, Banks.”

I due uomini si strinsero la mano. Incontrarono uno il palmo sfregiato dell’altro, afferrandosi le dita ruvide. I vecchi amici si abbracciarono calorosamente, scambiandosi molte pacche sulle spalle. Keaton aveva prestato servizio con il sergente Dylan Banks in più di una missione. L’uomo era acuto e tirava fuori il meglio dalle situazioni difficili.

“Avete un’organizzazione incredibile qui,” disse Keaton. “Ho sentito solo cose positive su questo ranch.”

“Li prendiamo tutti,” rispose Banks. “Gli stanchi, i poveri, le masse infreddolite.”

“Non è il sonetto inciso sul piedistallo della Statua della Libertà?” Keaton ridacchiò.

“Bene, ora accogliamo i miserabili rifiuti come i Ranger dell’esercito.”

Banks allungò un braccio, puntando un pugno contro Keaton. Lui vide la mossa arrivare ma rimase fermo. Era solo per divertirsi.

“Ah, Banksy-wanksy è ancora arrabbiato per non aver superato il Test di Idoneità Fisica dei Ranger?”

“Zitto,” disse Banks, ma non lo fece in modo rabbioso. “L’ho fallito solo per un paio di punti. È stata la sezione di sopravvivenza in acqua che mi ha affossato.”

“Tu vieni da un’isola.”

“Io vengo da New York City.”

Keaton scrollò le spalle. Le qualifiche per diventare uno dei Ranger d’élite dell’esercito non erano uno scherzo o un’esercitazione. Ogni mese più di quattrocento anime impazienti arrivavano a Fort Benning, in Georgia, con la speranza di avere la stoffa giusta per portare a termine la sfida. Il cinquantun percento tornava a casa con i sogni infranti. L’unica ragione per cui Keaton era sopravvissuto all’addestramento era che si era allenato come un pazzo.

Questo era ciò che aveva intenzione di fare con il campo di addestramento: allenare gli altri come aveva fatto lui per superare il test. Il Boots On the Ground Elite Training era un sogno che Keaton non sapeva di avere fino a quando non aveva affrontato l’incubo della scuola Ranger dell’esercito degli Stati Uniti. Sapeva che non avrebbe mai potuto preparare completamente un soldato a quell’esperienza. Ma chiunque fosse passato attraverso il suo regime di addestramento avrebbe avuto più possibilità di essere nella metà migliore di quella percentuale.

“Entro l’anno prossimo sarete operativi,” disse Banks.

“L’anno prossimo?” rispose Keaton con uno sbuffo derisorio . “Il piano è di aprire le porte tra novanta giorni.”

Banks si grattò la barbetta sulla mascella guardando Keaton. L’espressione di incredulità nei suoi occhi diceva tutto.

“È ambizioso,” disse Keaton. “Lo so. Ma ho un piano ben congegnato che funzionerà se eseguito correttamente.”

“Ovviamente,” ridacchiò Banks, dando di nuovo una pacca sulla spalla di Keaton. “Credo che tu possa farcela. In novanta giorni succedono cose incredibili, specialmente in questo ranch.”

In quel momento fu Keaton a grattarsi la ricrescita sul mento. Sapeva a cosa si riferiva quel commento. Molti degli uomini che andavano lì per guarire finivano per sposarsi in quel lasso di tempo. Si diceva che non fossero solo le leggi di zona che regolavano l’occupazione del ranch. Molti credevano che dipendesse proprio da quella terra.

Keaton non era un uomo superstizioso. Ma comunque, non aveva intenzione di vivere lì. Aveva solo bisogno di lavorarci. Quindi, le regole e i miti non avrebbero avuto alcuna influenza su di lui e sui suoi affari.

“Andiamo a dare un’occhiata al lotto che avete affittato,” disse Banks.

Salirono su un golf cart e partirono. Se Keaton pensava che vista da lontano quella terra fosse bella, da vicino era mozzafiato. I colori continuavano a passare dal verde dei pascoli, al marrone della terra fertile, a un tripudio di fiori arcobaleno. Intervallati da cavalli dal manto baio, bianco e nero. Pecore con soffici ciuffi di pelo... e una serie dei cuccioli più malconci che avesse mai visto.

Cinque cani iniziarono ad abbaiare quando li superarono. Alcuni di loro avevano una protesi. Uno aveva persino una sedia a rotelle attaccata alle zampe posteriori.

“Quelli sono miei,” disse Dylan. “Beh, sono di mia moglie. Ma erano compresi nel matrimonio, quindi...”

Keaton non si preoccupò di fare ulteriori domande sulla stranezza di quel posto. Mantenne lo sguardo fisso sul terreno, prendendo nota mentalmente su come i suoi clienti avrebbero avuto accesso alle strutture di allenamento. Ai confini del ranch, Keaton vide il suo progetto prendere vita. Lì, nella terra incontaminata, era dove avrebbe ricavato una zona asciutta da una pozza di fango, dove i suoi studenti avrebbero imparato la gioia del camminare a granchio, delle flessioni e degli addominali.

Invece di comprare del legname, potevano abbattere un paio di quegli alberi sulla destra e fare una parete da arrampicata. La cosa principale da costruire era la struttura al chiuso per l’allenamento e le cuccette. Quello e l’area di addestramento speciale, che avrebbe sfruttato il mix di terreni, dalla terra secca, al pascolo verde, alle colline rocciose e al torrente. Lì avrebbero messo delle installazioni per addestrare le forze speciali per le missioni segrete.

“Puoi avvicinarti di più al torrente?” chiese Keaton.

Invece di farlo, Banks rallentò. “Il torrente non è all’interno dei nostri confini.”

Keaton impiegò un momento prima di riuscire a dare senso a quelle parole. Quando capì, il suo cuore si fermò. Aveva bisogno di quel torrente per l’area delle forze speciali. Diamine, gli serviva per l’addestramento al Test di Idoneità Fisica dei Ranger. Banks sicuramente lo sapeva.

 

“È di proprietà del ranch vicino,” gli disse il suo amico.

“Pensi che sarebbe disposto a venderlo o affittarlo per i nostri scopi?” Gli chiese Keaton.

Dylan imbronciò le labbra. “Non ne sono sicuro. Ma puoi andare da lei e chiederglielo. È ragionevole. La maggior parte dei giorni.”

Capitolo Quattro

Brenda non aveva una sveglia in camera da letto. Era l’odore del caffè a farle aprire gli occhi. Si era comprata una di quelle fantasiose caffettiere con un timer che magicamente le versava una tazza ogni mattina prima che il sole sorgesse. Il miglior acquisto della sua vita.

Lasciò che l’aroma la conducesse giù per le scale come se due dita la tirassero per il naso. Era sorpresa di non sollevarsi da terra dirigendosi verso la caffettiera automatica in cucina. Prendendo due tazze dal mobile, Brenda versò il caffè in entrambe. Ogni giorno, beveva la prima, lasciando che l’acqua calda le bruciasse la lingua e risvegliasse tutte le sue cellule cerebrali; il tempo di finirla, e la seconda sarebbe stata a temperatura ambiente e pronta da assaporare.

Raggiunse il frigo per prendere il latte, ma rimise a posto il bricco. Invece che quello scremato, avrebbe preso quello che veniva direttamente dalla mucca.

Infine, con la sua doppia dose di caffeina nelle vene, Brenda si passò una spazzola tra i capelli. Aveva perso la battaglia con i nodi, così si raccolse le ciocche in una coda di cavallo. Si infilò una camicia pulita e dei jeans. Indossati gli stivali, uscì dalla porta in anticipo sui primi raggi di sole del nuovo giorno che presto sarebbero spuntati all’orizzonte.

Tirò fuori il taccuino dalla sua tasca posteriore. Lo aprì e passò in rassegna la sua lista. Ogni giorno le sue faccende erano le stesse. C’erano sempre balle da impilare e spostare, mangime da macinare, letame da trasportare, bollette da pagare e un recinto da riparare.

L’unico di cui preoccuparsi quel giorno era quello del suo nuovo toro. Sapeva che quella bestia era impaziente che il lavoro venisse portato a termine. Ma quello avrebbe dovuto aspettare. Doveva svezzare i vitelli e sistemare nel loro pascolo le bestie diventate indipendenti.

Il gallo allungò le sue piume quando Brenda passò davanti al pollaio. Era un fannullone come il resto dei suoi dipendenti del ranch. Nessuno dei quali era ancora arrivato.

Invece di brontolare, Brenda si mise al lavoro. Aveva già spuntato metà delle faccende dalla sua lista ancora prima che il sole facesse balenare un raggio all’orizzonte.

Brenda salì sul trattore. Era un vecchio modello, più vecchio di lei. Ma funzionava bene. Inserì la chiave speciale, meglio conosciuta come cacciavite. La chiave vera e propria era stata persa mesi prima, da qualche parte nella sua vasta proprietà. Il motore si accese immediatamente, e lei si mise al lavoro.

Finito di arare il terreno e riposto il trattore, i dipendenti del ranch erano finalmente arrivati. In ritardo. Di nuovo.

Pensavano di potersi approfittare di lei solo perché era una donna,. E anche perché la stagione era inoltrata e la maggior parte dei braccianti era già stata assunta. A lei erano rimasti gli scarti. Manuel era un reduce dei tempi di suo nonno. Suo nipote era un buon lavoratore quando si guardava dall’ascoltare i consigli di suo zio. Gli altri due erano praticamente inutili al di fuori della capacità di sollevare cose pesanti. Aveva fatto più lei quella mattina che loro quattro messi insieme in tutta la settimana.

Brenda parcheggiò il trattore. Si ricordò della chiave speciale e la usò per la terza volta quella mattina: si attorcigliò la coda di cavallo in uno chignon e si infilò il cacciavite tra i capelli. Per evitare che le finissero sul viso. E sulle spalle. E, sì, poteva anche tornare utile come arma per quello che doveva fare.

“Sei in ritardo,” disse lei. “Di nuovo.”

Manuel sorrise. “Scusami, tesoro. Ma il bestiame non conosce la differenza.”

Brenda strinse i pugni. Ma non prese il cacciavite. Non ancora. Anche se stava immaginando che fosse la testa di Manuel ad aver bisogno di aiuto per partire al posto dell’accensione del trattore. In realtà, quell’immagine non era così lontana dalla realtà. Quell’uomo era bloccato nei secoli bui della gestione di un ranch. Aveva bisogno di uno stimolo. Ma Brenda era sicura che fosse troppo tardi per lui.

“Non sono il tuo tesoro,” gli disse con calma. “Sono il tuo capo. Ma non credo ancora per molto.”

“Non mi dire.” Le sopracciglia folte di Manuel si sollevarono. Un sorriso storto gli ridisegnò il volto rugoso in qualcosa di sgradevole. “Hai deciso finalmente di trovarti un marito?”

I tre uomini più giovani sussultarono. Non c’era da sorprendersi. Loro erano figli di quella generazione, in cui avevano visto le donne esercitare il potere e il rispetto. Manuel stava per avere uno shock temporale e culturale.

“Fammi spiegare meglio,” disse Brenda. “I tuoi servizi non sono più necessari qui al ranch.”

La faccia di Manuel si contorse in qualcosa di brutto. Ricordò a Brenda il muso del toro mentre veniva marchiato a fuoco. Il sibilo di dolore. Lo shock del tradimento. Il brivido di rassegnazione.

Brenda si aspettava che Manuel si scagliasse contro di lei. Ma rimase fermo. Furono i tre uomini dietro di lui ad agitarsi come nervosi puledri appena nati.

“Mi stai licenziando, dolcezza?”

“Bene.” Brenda allungò le labbra in un ghigno crudele per eguagliare quello di lui. “Vedo che hai capito subito.”

Lui raddrizzò le spalle di scatto. Strinse i pugni. Contrasse i baffi. Abbassò lo sguardo in modo che il cappello gli coprisse il volto e adombrasse il viso.

Brenda gli tenne testa. Quello era il suo ranch. Era in gioco il suo sostentamento. Potevano tutti andare a cercarsi un altro lavoro, agli ordini di un uomo che avrebbero potuto rispettare.

Oppure no. Non le importava. Le interessava solo la gestione e il rispetto del suo ranch.

“Senta un po’, signorina Vance.”

Sì! Finalmente si era rivolto a lei nel modo appropriato. Se Brenda avesse avuto una stella d’oro, non gli avrebbe comunque data in premio. Troppo tardi. Aveva fallito. E stava per essere cacciato.

“Senza di noi, non ha alcuna speranza di tenere in piedi questo ranch. È la stagione dei parti. Non è un lavoro che un uomo possa fare da solo. Figuriamoci una donna.”

La moltitudine di segni di spunta sulla lista nella sua tasca posteriore non sarebbe stata d’accordo. Ma lui aveva ragione. Brenda non poteva fare tutto da sola. Avrebbe avuto bisogno di una mano. Ma non la sua.

Avrebbe potuto addestrare i tre più giovani. Ma con Manuel che gli aveva fatto il lavaggio del cervello, erano inutili come un toro castrato.

“Non è più un tuo problema,” gli disse.

Manuel arricciò il labbro. I suoi baffi si contrassero, facendolo sembrare il cattivo di qualche cartone animato. Una parte di Brenda voleva ridere. Invece, guardò dietro di lui per vedere se poteva salvare qualcosa.

“Se qualcuno di voi è interessato a rimanere, sono disposta a prendere in considerazione una nuova formazione.”

Scattò una scintilla nei loro occhi. Beh, negli occhi dei due ragazzi di città. Angel distolse lo sguardo, nascondendo i suoi sentimenti sulla questione a Brenda come con suo zio. Ma lei la considerò una risposta sufficiente.

“Non resteranno alle sue condizioni,” disse Manuel. “Non resisterà una settimana senza di noi. Andiamo, ragazzi. Abbiamo una settimana di pausa prima di vederla tornare strisciando.”

I due ragazzi di città si guardarono. Poi si diressero al furgone di Manuel. Con la coda dell’occhio, Brenda vide Angel tentennare. Ma il ragazzo si ricompose e si diresse al veicolo anche lui.

“Non ci sono braccianti disponibili a questo punto della stagione,” le disse Manuel. “Non vedo l’ora di vederla in ginocchio quando verrà a implorare aiuto.”

“Prova a trattenere il fiato aspettando che accada,” disse lei.

Con una grazia giovanile che smentiva le sue rughe, Manuel saltò sul sedile del conducente e partì. Brenda stava per tirare un sospiro di sollievo. Ma lasciò anche spazio alla preoccupazione e all’ansia per quello che avrebbe fatto da quel momento. Aveva ragione lui. Sarebbe stato difficile trovare aiuto a quel punto della stagione.

Poi il furgone si fermò. Brenda usò la mano per schermarsi gli occhi il scrutare il retro del veicolo. Era a metà strada verso il cancello della sua proprietà.

Erano rinsaviti? Volevano tornare e lavorare secondo le sue regole? Lei glielo avrebbe permesso?

Prima che lei riuscisse a darsi delle risposte, Manuel saltò fuori. Sollevò lo scarpone e diede un calcio a un punto debole della recinzione. Era il recinto. Il recinto che ospitava il suo nuovo e costoso toro.

Manuel si tolse il cappello, saltò di nuovo dentro e uscì dal suo ranch.

Il toro era al centro del recinto ed era di schiena. Brenda sapeva che non sarebbe arrivata in tempo per impedirgli di scappare. Ma doveva provarci. Sarebbe stata lei responsabile di qualsiasi danno che quella bestia avrebbe potuto causare, e non poteva permetterselo.

Si mosse rapidamente. Afferrando un sacco di grano con una mano e un sacchetto di zucchero con l’altra, saltò di nuovo sul trattore. Si tolse il cacciavite dai capelli e lo infilò nell’accensione.

Il trattore non si accese. Provò di nuovo. Il toro intanto si era girato e stava camminando con cautela verso il recinto rotto.

Finalmente il motore si accese. Brenda partì. Ma a trenta chilometri all’ora, era troppo lenta. La sua unica speranza era di riuscire a catturare il toro prima che potesse fare del male a se stesso o a qualcun altro.

In lontananza, vide una Jeep entrare dai suoi cancelli. Una Jeep rossa. Una Jeep rossa diretta verso il suo toro.

Chi guidava una Jeep rossa in un allevamento di bestiame? Naturalmente, Brenda sapeva che i tori erano daltonici. Ma era comunque una superstizione.

Brenda accelerò, superando i quaranta chilometri orari. Era troppo tardi. Il toro individuò la Jeep rossa e gli andò addosso.

Capitolo Cinque

Keaton le aveva prese molte volte in vita sua. Aveva studiato Ju Jitsu brasiliano, in cui era stato sollevato e lanciato da una parte all’altra del ring. Era stato preso a calci nel petto durante un allenamento di combattimento corpo a corpo. Gli avevano anche sparato colpendolo sul giubbotto antiproiettile.

Ogni colpo aveva lasciato un segno. Ogni contatto gli aveva annebbiato la vista. Gli aveva fatto allontanare i pensieri, ma mai abbastanza. Ogni volta, recuperava rapidamente il suo equilibrio e tornava al combattimento in pochi secondi: un momento, al massimo.

La grande bestia che si dirigeva verso di lui era più grande dei lottatori professionisti e dei combattenti di arti marziali che aveva affrontato sul ring. I suoi zoccoli laceravano il terreno ogni volta che scalciava per prendere velocità verso Keaton. La Jeep e il toro andavano alla stessa velocità, anche se il toro poteva correre più veloce.

In ogni caso, Keaton non aveva intenzione di sfuggire a quel destino. Fece l’unica cosa possibile. Si preparò all’impatto.

Il che era un errore. I muscoli e le ossa tesi erano più inclini a farsi male di quelli rilassati. Ma non poteva rilassarsi. C’era un toro di ottocento chili diretto verso la sua porta lato guida.

La portiera di metallo non era come la piastra corazzata di un giubbotto antiproiettile. I produttori di automobili non avevano ancora creato, ehm, nulla a prova di toro. Il metallo scricchiolò mentre la portiera si piegava alla volontà del toro.

Keaton sentì l’impatto sulla spalla e sul fianco destro. Ma fu lo schianto fragoroso a scuoterlo. Il suono squarciò il suo senso di equilibrio. Sentì che il tappeto che gli era stato tolto da sotto i piedi era quello che copriva il mondo intero.

Anche il toro ne sentì visibilmente gli effetti. Rimase fuori dalla porta della Jeep. Stordito. Non batteva ciglio. Il respiro lento e affannoso. Per le condizioni in cui era la Jeep, Keaton era sicuro che il toro avesse un’emorragia interna.

Una scia di polvere in lontananza attirò la sua attenzione. Un trattore stava venendo verso di lui. Al volante sedeva quella che gli sembrò essere una guerriera amazzone.

 

I lunghi capelli castani le volavano dietro le spalle. Le braccia toniche avevano il tipo di muscoli che una donna sviluppa da una dura giornata di lavoro e non da saltelli e volteggi coreografati in palestra. Il suo sguardo era concentrato. Le sue labbra serrate. Keaton sentì il bisogno di sapere di che colore fossero quegli occhi determinati.

Istintivamente, la sua mano raggiunse la portiera per uscire dalla Jeep. Spinse, ma questa si spostò solo di un paio di centimetri. Non abbastanza per permettere al suo corpo di uscire.

“Non muoverti,” gridò la guerriera.

C’era così tanta autorità nella sua voce che Keaton fece come gli fu detto. L’angelo vendicatore parcheggiò il trattore. Saltò giù prima che le ruote si fermassero del tutto. I suoi movimenti si fecero più lenti, e fu come guardare uno di quei film d’azione con le scene al rallentatore.

No. Non poteva essere il suo movimento ad essere lento. Era sicuramente il suo cervello.

Sapeva che lei si stava muovendo velocemente, in modo efficiente. Ma i suoi occhi sembravano volersi soffermare sui movimenti di quella donna. Ad ogni sua mossa, il cervello di Keaton preparava il replay, come in una partita di calcio quando si deve rivedere un’azione.

Le mani di lei si alzarono lentamente. La sua voce era rilassante, calmante. Le sue parole erano belle ma incomprensibili. Ma il significato era chiaro.

Rilassati.

È tutto okay.

Vieni con me.

Ti farò stare meglio.

Keaton si rilassò completamente. Tutto il dolore dell’impatto si dissipò. Stava andando con quella donna che prometteva di farlo stare meglio. Si sentiva un uomo migliore solo stando in sua presenza.

Cercò nuovamente di aprire la portiera della macchina. Di nuovo, essa si mosse a malapena. Tutto tornò alla velocità normale e lui colse un lampo di luce. Era il suo angelo guerriero. E lo guardava con occhi spalancati.

Erano verdi, comunque. Verdi come un filo d’erba. Un filo d’erba tagliente che poteva lasciare una ferita profonda. Allora, perché aveva il desiderio di rotolarsi nei verdi pascoli del suo sguardo?

“Va tutto bene, ragazzone,” disse lei.

La sua voce era un canto melodioso. Ma morbida come se avesse le piume d’acciaio. I sensi di ragno di Keaton formicolarono a quel suono. Non sulla pelle come una premonizione di pericolo. Quella sensazione gli entrò in circolo come un’iniezione di adrenalina. Di nuovo, cercò di uscire dalla Jeep e di andare da lei.

“Ci penso io, soldato,” disse lei.

“Lascia che ti aiuti,” le rispose.

“Tu non fai parte del piano.”

Keaton si accigliò. Un piano di cui lui non faceva parte? Qualcosa non gli tornava. Aggiunse una nuova voce alla sua lista delle cose da fare: entrare a far parte del piano di quell’angelo guerriero. Qualunque esso fosse.

A quanto pareva il piano di lei era quello di riportare il toro stordito attraverso il buco nella recinzione. Con un sacchetto di grano e granelli bianchi che sembravano sale, o forse zucchero.

Il toro scosse la testa come se si stesse svegliando da un sogno. Sbatté le palpebre un paio di volte e poi si concentrò su di lei. Sbuffò dalle narici.

Stava per atterrarla? Aveva già investito lui. In quel momento Keaton sapeva che sarebbe morto per evitare che qualcosa facesse del male a quella donna. Qualunque fosse il suo piano originale, Keaton stava elaborando il piano B.

Si buttò fuori dal veicolo. Con la schiena sbatté proprio sulla portiera della Jeep, facendo il contrario di quello che lei gli aveva detto. Ignorò la cosa. I suoi stivali toccarono il suolo.

Seguiti dalle ginocchia.

Dalle spalle.

E, infine, dalla testa.

L’ultima cosa di cui Keaton si rese conto prima di svenire fu che i granelli bianchi che lei aveva lanciato al toro non erano sale. Erano zucchero. Si chiese se baciando le sue labbra imbronciate e disapprovanti lei avrebbe avuto un sapore altrettanto dolce.

Olete lõpetanud tasuta lõigu lugemise. Kas soovite edasi lugeda?