Tasuta

Ora e per sempre

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Märgi loetuks
Ora e per sempre
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Tasuta audioraamat
Loeb Manuela Farina
Lisateave
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“Allora,” disse Emily, sempre più irritata, “Ho detto che la pagherò per il suo aiuto. Si tratta solo di spostare un po’ di mobili, magari ridipingere qualcosa. Glielo chiedo solo perché è più di quanto possa fare io da sola. Ci sta o no?”

Daniel sorrise.

“Ci sto,” rispose. “Ma i suoi soldi non li voglio. Lo faccio per il bene della casa.”

“Perché crede che la farò a pezzi?” replicò Emily alzando un sopracciglio.

Daniel scosse la testa. “No. Perché amo quella casa.”

Almeno avevano quello in comune, pensò Emily sarcastica.

“Ma se lo faccio, sappia che il nostro sarà un rapporto strettamente professionale,” disse. “Strettamente professionale. Non sono in cerca di nuovi amici.”

Lei rimase scioccata e infastidita dalla sua risposta.

“Neanch’io,” disse di scatto. “Né lo stavo proponendo.”

Il sorriso di Daniel si allargò.

“Bene,” disse.

Daniel allungò la mano perché gliela stringesse.

Emily corrugò la fronte, chiedendosi in cosa si stesse cacciando. Poi gli strinse la mano.

“Strettamente professionale,” concordò.

CAPITOLO SETTE

“La prima cosa che dovremmo fare,” disse Daniel mentre la seguiva lungo il vialetto, “è levare il compensato dalle finestre.” Aveva con sé la sua scatola di metallo degli attrezzi, e la faceva oscillare mentre camminava.

“A dire il vero voglio solo portare fuori i vecchi mobili,” replicò Emily, frustrata dal fatto che Daniel stesse già assumendo il ruolo del capo.

“Vuole trascorrere ogni giorno alla luce artificiale quando il sole sarà finalmente uscito?” chiese Daniel. La sua non era tanto una domanda quanto un’affermazione, però, e il senso sottinteso diceva che lei era un’idiota a voler fare altrimenti. Le sue parole ricordarono a Emily un po’ suo padre, il suo modo in cui voleva che si godesse il sole del Maine invece di starsene seduta rinchiusa a guardare la tv tutto il giorno. Per quanto le facesse male ammetterlo, Daniel aveva proprio ragione.

“Ok,” disse, cedendo.

Emily si ricordò che con il suo primo tentativo di rimuovere il compensato aveva finito con il rompere la finestra e quasi anche il suo collo, ed era sollevata, a denti stretti, di avere Daniel a darle una mano.

“Cominciamo dal soggiorno,” disse Emily, cercando di riprendere un po’ il controllo della situazione. “Trascorro lì la maggior parte del tempo.”

“Certo.”

Non c’era altro da dire, la conversazione era stata terminata scrupolosamente da Daniel, e così entrarono silenziosi in casa, percorsero il corridoio, e arrivarono in soggiorno. Daniel non sprecò tempo e posò a terra la scatola degli attrezzi per cercare il martello.

“Regga l’asse in questo modo,” disse, mostrandole come sostenerne il peso. Una volta che Emily fu in posizione, lui si mise a togliere i chiodi con il lato unghiato del martello. “Uao, i chiodi sono del tutto arrugginiti.”

Emily guardò un chiodo cadere sul pavimento e sbattere con un rumore sordo. “Rovinerà le assi?”

“No,” replicò Daniel, completamente concentrato sul lavoro che stava svolgendo. “Ma quando qui ci entrerà un po’ di luce naturale saranno visibili un bel po’ di danni al pavimento che già ci sono.”

Emily gemette. Non aveva incluso nel budget il costo per smerigliare il pavimento. Forse poteva far fare a Daniel anche quello?

Daniel estrasse l’ultimo chiodo ed Emily sentì il peso del compensato addossarsi sul suo corpo.

“Ce l’ha?” le chiese continuando a spingere con una mano l’asse contro il davanzale, togliendole più peso che poteva.

“Ce l’ho,” rispose.

Lasciò andare ed Emily vacillò all’indietro. Che fosse la determinazione a non mettersi in imbarazzo davanti a Daniel o che fosse altro, Emily riuscì a non far cadere il compensato, o a non mandarlo a sbattere contro qualcosa, o in generale a non rendersi ridicola. Lo abbassò con delicatezza sul pavimento e poi si alzò e batté le mani.

La prima scheggia di luce entrò dalla finestra ed Emily sussultò. La stanza era bellissima alla luce del sole. Daniel aveva ragione; sarebbe stato un crimine starsene lì alla luce elettrica invece che a quella naturale. Cominciare dalle finestre era stata una grande idea.

Entusiasti del successo, Emily e Daniel lavorarono su tutto il piano terra della casa, scoprendo finestra dopo finestra, lasciando che la luce riempisse il luogo. Nella maggior parte delle stanze c’erano grandi finestre che andavano dal pavimento al soffitto, create su misura, evidentemente proprio per quella casa. Alcune erano imputridite o rovinate dagli insetti. Emily sapeva che sarebbe costato molto rimpiazzare gli infissi creati su misura e cercò di non pensarci.

“Scopriamo le finestre della sala da ballo prima di andare di sopra,” disse Emily. Le finestre nella zona principale della casa erano piuttosto belle, ma qualcosa le diceva che quelle dell’ala abbandonata sarebbero state ancora meglio.

“C’è una sala da ballo?” chiese Daniel mentre lei lo conduceva nella sala da pranzo.

“Ah-ah,” replicò. “È qui dentro.”

Spostò l’arazzo, svelando la porta che stava lì dietro, gioendo dell’espressione di Daniel. Era sempre così stoico, così difficile da leggere, che non poté fare a meno di sentire un brivido di eccitazione nel vedere di avergli causato quell’espressione di choc. Poi aprì la porta e puntò la pila dentro la stanza, illuminandone la vastità.

“Uao,” rantolò Daniel, abbassando la testa per non andare a sbattere contro la trave ed entrando a bocca aperta. “Non sapevo che esistesse questa parte della casa.”

“Neanch’io,” disse Emily raggiante, contenta di condividere il segreto con qualcuno. “Riesco a malapena a credere che sia rimasta nascosta qui per tutti questi anni.”

“Non è proprio mai stata usata?” chiese Daniel.

Scosse la testa. “No, per quanto mi ricordi. Ma qualcuno una volta la usava.” Diresse il fascio di luce direttamente sul cumulo di mobili al centro della stanza. “Per accumularci cose.”

“Che spreco,” disse Daniel. Per la prima volta da quando Emily l’aveva conosciuto, sembrava esprimere genuina emozione. La vista della stanza segreta era strabiliante per lui come lo era stata per lei.

Entrarono ed Emily osservò Daniel percorrere la stanza come aveva fatto lei quando l’aveva scoperta.

“E lei vuole buttare via tutto?” disse Daniel oltre la spalla mentre ispezionava gli articoli coperti di polvere. “Scommetto che un po’ di questa roba è antica. Costosa.”

Emily non si lasciò sfuggire l’ironia di una stanza piena di antichità nascosta nella casa di un appassionato di antichità. Si chiese ancora se suo padre fosse stato a conoscenza della stanza. Era stato lui a riempirla di mobili? O era già così quando aveva comprato la casa? Non aveva senso.

“Lo credo anch’io,” replicò. “Ma non saprei neanche da dove cominciare. Cioè, capisce cosa intendo quando dico che ci sono grossi mobili che non riuscirei a sollevare da sola. Come potrei fare a venderli? A trovare i fornitori?” Quello era il mondo di suo padre, un mondo che lei non aveva mai capito veramente o di cui non era stata particolarmente entusiasta.

“Be’,” disse Daniel osservando l’orologio a pendolo. “Ha internet adesso, no? Può fare un po’ di ricerca. Sarebbe un peccato buttare via tutto.”

Emily prese in considerazione quello che le diceva, e rimase colpita da un dettaglio. “Come sapeva che ho internet?”

Daniel si strinse nelle spalle. “Ho visto il furgone.”

“Non mi ero accorta che mi prestasse tanta attenzione,” replicò Emily con una finta aria sospettosa.

“Non si aduli,” La risposta secca di Daniel arrivò, ma Emily notò che c’era un sorriso sarcastico sulle sue labbra. “Faremo meglio a levare di mezzo questa roba comunque,” aggiunse, spezzando il sogno di Emily.

“Sì, fantastico,” rispose tornando di colpo alla realtà.

Daniel ed Emily si misero al lavoro per rimuovere il compensato dalle finestre. Ma diversamente dalle finestre della zona principale della casa che avevano scoperto, questa finestra nascosta dall’asse era fatta di bellissimo vetro Tiffany.

“Uao!” urlò Emily, completamente sbalordita a mano a mano che la stanza si riempiva di diversi colori. “È incredibile!”

Era come entrare nel mondo dei sogni. La stanza era improvvisamente inondata di rosa, verde e blu mentre la luce entrava dalla finestra.

“Sono sicura che se mio padre avesse saputo che c’erano finestre così avrebbe tenuto aperta questa zona della casa,” aggiunse Emily. “Questo è il sogno dell’antiquario che diventa realtà.”

“Sono piuttosto favolose,” disse Daniel osservandole con occhio pratico, ammirandone la struttura intricata e il modo in cui i pezzi di vetro si assemblavano.

Emily aveva voglia di ballare. La luce che si diffondeva dalla finestra era così bella, da togliere il fiato, che la faceva sentire leggera, come se fosse fatta di aria. Se era così bella con il sole invernale, non poteva immaginare quanto sarebbe stata fantastica la stanza quando il sole luminoso dell’estate sarebbe entrato da quelle finestre.

“Dovremmo fare una pausa,” disse Emily. Lavoravano da ore e quello sembrava un momento buono come un altro per fermarsi. “Posso preparare qualcosa da mangiare.”

“Come per un appuntamento?” disse Daniel scuotendo la testa per ridere. “Senza offesa, ma lei non è il mio tipo.”

“Oh?” disse Emily, stando al suo gioco. “E qual è il suo tipo?”

Ma Emily non ebbe l’occasione di sentire la risposta di Daniel. Qualcosa volò giù dal davanzale della finestra, dove probabilmente era rimasta per molti anni, e catturò la loro attenzione. Scomparvero tutte le risate e gli scherzi di un attimo prima, sbiadendo attorno a Emily, quando tutta la sua attenzione si fu concentrata sul pezzo di carta quadrato che stava sul pavimento. Una fotografia.

 

Emily la raccolse. Anche se era vecchia, scolorita, con la muffa sul retro, la foto non era così antica. Era a colori, anche se i colori erano sbiaditi con gli anni. Emily sentì un grumo in gola quando capì di avere in mano una foto di Charlotte.

“Emily? Che succede?” diceva Daniel, ma lei lo sentiva appena. Il respiro era scomparso all’improvvisa vista del viso di Charlotte, un viso che non vedeva da più di vent’anni. Incapace di trattenersi, Emily cominciò a piangere.

“È mia sorella,” disse con voce strozzata.

Daniel sbirciò da oltre la sua spalla la foto tra le sue dita tremanti.

“Ecco,” disse, improvvisamente delicato. “Lasci che la prenda io.”

Allungò le braccia e la prese dalla sua stretta, poi condusse Emily fuori dalla stanza, con un braccio attorno alle sua spalle. Emily lasciò che la guidasse in soggiorno, troppo sbalordita per protestare. Lo choc di vedere il viso di Charlotte l’aveva ipnotizzata.

Emily, sempre piangendo, distolse lo sguardo da Daniel.

“Penso… penso che forse se ne dovrebbe andare adesso.”

“Okay,” disse Daniel. “Basta che lei da sola ci stia bene.”

Si alzò dallo sgabello e fece segno a Daniel di andare verso la porta. Lui la guardò con cautela come soppesando se lasciarla in quello stato sarebbe stato sicuro, ma alla fine prese la scatola degli attrezzi e si avviò verso il portone.

“Se ha bisogno di qualcosa,” disse sulla soglia, “basta che mi chiami.”

Incapace di parlare, lei chiuse la porta davanti a Daniel e poi si voltò e vi si appoggiò contro, sentendo il respiro uscirle in grossi sussulti rantolanti. Affondò sulle ginocchia, sentendo l’oscurità affollarsi attorno a lei, presa dal desiderio di raggomitolarsi e morire.

*

Fu solo lo strillo acuto del telefonino che la risvegliò da quell’orribile e soffocante sensazione. Emily si guardò intorno, insicura su quanto fosse rimasta raggomitolata come una palla sul pavimento.

Guardò su dal suo cumulo spiegazzato e vide il cellulare sul tavolino presso la porta che si illuminava e vibrava. Si alzò e vide, sorpresa, il nome di Ben che lampeggiava. Fissò il telefono per un attimo, guardandolo lampeggiare, guardando il suo nome riempire lo schermo così come aveva fatto migliaia di volte in passato. Erano così normali quelle piccole lettere, BEN, ma d’un tratto così straniere, e così, così sbagliate in quella casa, in quel momento, dopo aver visto il viso di Charlotte, dopo aver trascorso con Daniel tutto il giorno.

Emily allungò il braccio e rifiutò la telefonata.

Non appena lo schermo fu tornato nero, si illuminò di nuovo. Questa volta non c’era il nome di Ben, ma quello di Amy.

Emily raccolse il telefono, sollevata per la sua ancora di salvataggio.

“Amy,” rantolò. “Sono così felice che hai chiamato.”

“Non sai neanche cosa sto per dirti,” fece una battuta.

“Non importa. Potresti leggermi l’elenco telefonico, per quel che mi interessa. Sono solo felice di sentire la tua voce.”

“Be’,” disse Amy, “a dire il vero ho qualcosa di elettrizzante da dirti.”

“Davvero?”

“Sì. Lo sai che parlavamo sempre di andare a vivere in quella ex chiesa del Lower East Side, e di quanto sarebbe stato bello?”

“Ah-ah,” disse Emily, non sapendo dove volesse arrivare.

“Be’,” disse Amy con un tono che suonava come se si stesse preparando a una grande rivelazione, “possiamo farlo! L’appartamento con due camere da letto è appena stato messo in vendita e possiamo assolutamente permettercelo.”

Emily fece una pausa, lasciando che l’informazione filtrasse nella sua mente. Quando Amy ed Emily erano studentesse a New York, avevano messo in piedi un’intera fantasia sull’andare a vivere nell’ex chiesa, circondate da tutti i bar più cool del Lower East Side che adoravano frequentare. Ma era stato quando avevano vent’anni. Non era più il sogno di Emily. Era andata avanti.

“Ma io sono felice qui,” disse Emily. “Non voglio tornare a New York.”

Ci fu una lunga pausa dall’altra parte della linea. “Vuoi dire mai?” chiese alla fine Amy.

“Voglio dire per almeno sei mesi. Finché i miei risparmi non finiscono. Poi dovrò sistemarmi altrimenti.”

“Come dormire sul mio divano di nuovo?” Un accenno di ostilità aveva fatto capolino dal tono di Amy.

“Mi dispiace, Amy,” disse Emily sentendosi sgonfia. “È solo che non è più quello che voglio.”

Sentì sospirare la sua amica. “Resti davvero lì?” disse alla fine. “Nel Maine? In un’inquietante vecchia casa? Da sola?”

Emily allora capì quanto fosse davvero sicura di voler restare, quanto le sembrasse assolutamente giusto per lei. E dirlo a voce alta ad Amy l’aveva reso reale.

Fece un respiro profondo, sentendosi sicura di sé e con i piedi per terra per la prima volta da anni. Poi disse semplicemente, “Sì.”

3 MESI DOPO

CAPITOLO OTTO

Il sole primaverile filtrava dalla tenda di Emily, svegliandola delicatamente come un bacio. Le lente e languide mattine erano un qualcosa che Emily si godeva sempre di più man mano che passavano i giorni. Aveva imparato ad apprezzare la quiete tranquilla di Sunset Harbor.

Emily si rigirò nel letto e batté le palpebre per aprire gli occhi. La camera che una volta era dei suoi genitori ora era praticamente sua. Era stata la prima stanza che aveva sistemato e rinnovato. La vecchia coperta mangiata dalle tarme era sparita, rimpiazzata da una bellissima coperta patchwork in seta. Il bel tappeto color panna era morbido e viscoso sotto ai suoi piedi quando uscì dal letto, reggendosi a un palo del letto a baldacchino per mettersi in piedi. I muri profumavano ancora di pittura fresca quando raggiunse il comò ora lucido e laccato per tirarne fuori un vestito floreale primaverile. I cassetti erano ordinatamente riempiti di abiti, la sua vita era di nuovo organizzata.

Emily ammirò il suo riflesso nello specchio a figura intera, che era stato restaurato e pulito professionalmente, e poi aprì del tutto le tende, deliziata dal modo in cui la primavera era arrivata a Sunset Harbor con un turbinio di colori; azalee, magnolie e giunchiglie erano fiorite nel cortile, gli alberi che delimitavano la sua proprietà si erano riempiti di lussureggianti foglie verdi e l’argento dell’oceano che poteva vedere dalla finestra era sfavillante. Aprì la finestra e respirò profondamente, saggiando il sale dell’aria.

Mentre si sporgeva all’esterno, notò un movimento con la coda dell’occhio. Allungò il collo per vedere meglio. Era Daniel, che si occupava di una delle aiuole. Era completamente concentrato sul suo lavoro, un’abitudine che Emily aveva imparato a conoscere nei tre mesi che avevano lavorato insieme alla casa. Quando Daniel cominciava qualcosa, tutta la sua attenzione era lì, e non si sarebbe fermato finché non avesse finito. Era una qualità che Emily rispettava in lui, anche se a volte le sembrava di esserne del tutto esclusa. C’erano stati molti momenti negli ultimi mesi in cui avevano lavorato fianco a fianco tutto il giorno senza dirsi neanche una parola. Emily non riusciva a capire che cosa ci fosse nella testa di Daniel; era impossibile da leggere. L’unico segnale che le diceva che non provava ripugnanza verso di lei era che tornava giorno dopo giorno, spostando i mobili quando lei glielo chiedeva, smerigliando pavimenti, laccando il legno, rifoderando i divani. Ancora si rifiutava di accettare dei soldi, ed Emily si chiedeva come esattamente si mantenesse se trascorreva le sue giornate con lei lavorando gratis.

Emily si ritirò dalla finestra e uscì dalla camera. Il corridoio del piano di sopra adesso era pulito e organizzato. Aveva tolto i quadri polverosi dal muro e li aveva sostituiti con una serie di stampe dell’eccentrico fotografo britannico Eadweard Muybridge, foto che erano tutte incentrate sul catturare il movimento. Aveva scelto una serie di ballerine perché per lei erano incredibilmente belle, il momento della transitorietà, il movimento, era poesia ai suoi occhi. Era stata strappata via anche la carta da parati macchiata di ditate, ed Emily aveva dipinto il corridoio di un bianco vivido.

Emily scese di buon passo di sotto, sentendo sempre più la casa come casa sua. Gli anni trascorsi da imbucata nella vita di Ben sembravano adesso improvvisamente molto lontani alle sue spalle. A Emily pareva che questo fosse il modo in cui avrebbe sempre dovuto vivere.

Il telefono era al suo solito posto sul tavolino presso il portone. Sembrava aver finalmente trovato una routine – svegliarsi con calma, vestirsi, controllare il telefono. Ora che era arrivata la primavera, aveva una nuova parte della routine, che era andare in paese per fare colazione e bere il caffè prima di controllare i mercatini delle pulci locali in cerca di articoli che voleva mettere in casa. Oggi era sabato, ciò significava che ci sarebbero stati più negozi aperti dove andare, ed era intenzionata a trovare altri mobili.

Dopo aver mandato un messaggio a Amy, Emily afferrò le chiavi della macchina e uscì. Mentre attraversava il cortile si guardò intorno in cerca di Daniel, ma non lo vide. Negli ultimi tre mesi la sua presenza era diventata un’altra fonte di stabilità per lei. A volte le pareva che ci fosse sempre stato, a distanza di braccio appena.

Emily salì in macchina – che aveva finalmente fatto riparare – e percorse la breve strada fino al paese, superando una bianca carrozza trainata da cavalli. Cavalcare i pony era una delle attività turistiche di Sunset Harbor – Emily si ricordava di aver fatto giri in carrozza quando era bambina – e la loro presenza indicava che la città stava finalmente uscendo dalla sua lunga ibernazione invernale. Mentre guidava, notò che era apparso un nuovo ristorante lungo la strada principale. Un po’ più giù lungo la strada, il comedy club stava aprendo per molte e molte ore. Non aveva mai visto un posto trasformarsi così completamente sotto agli occhi. Il nuovo fervore e via vai le ricordò le sue vacanze estive dell’infanzia più di qualunque altra cosa finora.

Emily si fermò in un piccolo parcheggio vicino al porto. Ora si stava velocemente riempiendo di barche, con gli alberi che emergevano e si inabissavano con la delicata marea. Emily guardò le barche con un rinnovato senso di pace. Le sembrava davvero che la sua vita stesse appena cominciando. Per la prima volta da molto tempo vide per sé un futuro che voleva: vivere nella casa, renderla bellissima, essere soddisfatta e felice. Ma sapeva che non sarebbe durato in eterno. Aveva appena i soldi per mantenersi per tre mesi. Non volendo che il sogno della sua vita finisse troppo presto, Emily aveva deciso di vendere alcuni oggetti antichi presenti nella casa. Finora si era separata solo da quelli che non rientravano nei suoi piani per la casa e come sarebbe dovuta apparire, ma pure vendere quelli era stata un’agonia per lei, come se stesse dando via un pezzetto di suo padre.

Emily prese un caffè e una ciambella dal nuovo ristorante, poi si avventurò al mercato delle pulci al chiuso di Rico. Era lo stesso posto che suo padre visitava ogni estate. Il posto era ancora di Rico, l’anziano proprietario. Emily era felice che non l’avesse riconosciuta il primo sabato che ci era andata (metà per la vista malandata e metà per la memoria in calo) perché così aveva avuto l’opportunità di presentarsi da zero, di farsene un’opinione sua invece di conoscerlo attraverso l’ombra incombente della presenza di suo padre.

“Buongiorno, Rico,” disse entrando nel buio negozio.

“Chi è?” disse una voce incorporea da qualche parte dell’oscurità.

“Emily.”

“Ah Emily, bentornata.”

Emily sapeva che fingeva solo di ricordarsi di lei tutte le volte che veniva in negozio, che la sua memoria tra le sue visite svaniva, e non poteva fare a meno di notare quanto fosse ironico il fatto che alla persona di Sunset Harbor a cui lei piacesse di più lei piaceva solo perché non riusciva a ricordarsi bene chi fosse.

“Sì, dalla casa grande in West Street, sono qui per prendere un set di sedie per la sala da pranzo,” disse guardandosi intorno, cercando l’uomo.

Alla fine saltò fuori dal bancone. “Ma certo, me lo sono scritto qui.” Posò gli occhiali sul naso sottile e strizzò gli occhi sul libro aperto sulla scrivania, cercando gli sgorbi scritti a mano che gli avrebbero detto chi fosse davvero Emily e che le aveva davvero venduto sei sedie per la sala da pranzo. Emily aveva imparato dopo il suo primo giro in negozio (quando si era prenotata un grande tappeto solo per scoprire che non c’era più quando era andata a ritirarlo) che se Rico non si scriveva qualcosa, quella cosa non era accaduta.

 

“Già già,” aggiunse. “Sei sedie per la sala da pranzo. Emily. Ore nove. Sabato dodici. È oggi, vero?”

“È oggi,” rispose con un sorriso. “Vado a dare un’occhiata dietro e le prendo, posso?”

“Oh sì, oh sì, mi fido di te, Emily, sei una buona cliente.”

Sorrise da sola mentre usciva sul retro. Non conosceva il designer delle sedie, ma l’istante in cui le aveva viste aveva saputo che erano quelle giuste per la sala da pranzo. In qualche modo sembravano sedie tradizionali – in legno, con quattro gambe, uno schienale, una seduta – ma erano state progettate in modo particolare, con gli schienali più alti di quelli delle normali sedie per sale da pranzo. Erano dipinte in nero lucido, che sarebbe calzato a pennello con il nuovo schema monocromatico della stanza. Rivederle adesso la entusiasmò, e volle portarle a casa al più presto in modo da vederle al loro posto.

Le sedie erano pesanti, ma Emily aveva scoperto di essere diventata più forte negli ultimi mesi. Tutto il lavoro fisico necessario alla casa le aveva sviluppato dei muscoli che mai era riuscita a ottenere faticando in palestra.

“Fantastico, grazie, Rico,” disse mettendosi a trascinare le sedie verso l’uscita. “Ci vieni alla vendita di oggetti usati a casa mia più tardi? Vendo i due tavolini da parete Eichholtz Rubinstein, hanno bisogno di un po’ di cure. Ti ricordi di avermi detto che potresti essere interessato a prenderle e farle restaurare da Serena?”

Serena era una spumeggiante e giovane studentessa di arte dall’energia sconfinata che si faceva due ore di macchina dall’Università del Maine ogni poche settimane solo per dare una mano in negozio a sistemare i mobili. Indossava sempre i jeans, i lunghi capelli scuri le ricadevano su una spalla, ed Emily non poteva fare a meno di sentirsi gelosa della forza interiore fiduciosa e calma che possedeva a un’età così giovane. Ma dato che era amichevole con Emily nonostante le occhiate diffidenti che Emily le aveva lanciato all’inizio, Emily adesso era amichevole con lei.

“Sì, sì,” rispose Rico illuminandosi, sebbene Emily fosse certa che avesse dimenticato tutto sulla sua rivendita dell’usato. “Serena farà un salto da te.”

Emily lo guardò mentre se lo annotava sul taccuino. “La vecchia casa in West Street,” gli ricordò, giusto per essere sicura che non dovesse provare l’imbarazzo di chiederle l’indirizzo. “Ci vediamo più tardi!”

Emily caricò le sedie nuove nel baule e poi tornò a casa attraversando il paese, gioendo della vista dei fiori primaverili, dell’oceano scintillante e dei cieli di un azzurro limpido. Quando parcheggiò a casa rimase colpita da quanto fosse cambiata. Non solo per via della primavera, che aveva portato il colore al luogo e aveva reso l’erba verde del prato rigogliosa e fitta, ma per via del fatto che era vissuta, che era di nuovo amata. Il compensato se n’era andato, le finestre erano adesso pulite e ridipinte di fresco.

Daniel aveva già iniziato bene sistemando sul prato tutto quello che lei pensava di vendere oggi. C’erano così tante cose che a lei sembravano spazzatura ma dopo averle cercate su Google era venuto fuori che erano tesori per altri. Aveva catalogato tutti gli articoli della casa che non voleva tenere e poi aveva controllato su internet per scoprire il loro reale valore prima di postare su Craiglist quello che voleva vendere. Era rimasta scioccata nel ricevere un messaggio da una donna di Montreal che stava organizzando un viaggio fin lì unicamente per comprare una catasta di libri di Tintin.

Durante le nottate in cui Emily aveva enumerato il contenuto della casa, aveva cominciato a capire che cosa suo padre ci avesse trovato in quel suo strano hobby. La storia dei pezzi, le storie che si portavano dietro, tutto divenne fascinoso agli occhi di Emily. La gioia nello scoprire un oggetto d’antiquariato tra cose di poco valore dava un’eccitazione che non aveva mai provato prima.

Non che non ci furono delle delusioni, nel frattempo. Un’antica arpa greca che Daniel aveva estratto dalla sala da ballo e che Emily aveva valutato 30.000 dollari era, purtroppo, in uno stato di rovina tale che uno specialista gli aveva detto che non si sarebbe mai più potuta suonare. Ma aveva dato a Emily il numero di un museo locale che accettava donazioni, e lei si era commossa nello scoprire che con l’arpa avevano affisso una targa che diceva che era stato un dono di suo padre. Era un modo per mantenere viva la sua memoria.

Guardare il cortile riempì Emily di un misto di tristezza e speranza; era triste dover dire addio ad alcuni oggetti con cui suo padre aveva ingombrato la casa, ma aveva anche speranza per la nuova casa e per l’aspetto che avrebbe avuto un giorno. Il futuro sembrava improvvisamente luminoso.

“Sono tornata,” urlò trascinando le sedie in casa.

“Sono qui!” disse Daniel, e la sua voce veniva dalla sala da ballo.

Emily mise giù le sedie nell’ingresso e andò a cercarlo. “Sei stato bravissimo a portare quella roba in cortile,” gridò attraversando la sala da pranzo e la porta segreta che portava alla stanza. “Posso aiutarti con qualcosa?”

Appena entrata nella stanza si fermò di colpo, la voce le si spense improvvisamente in gola. Daniel indossava una canotta bianca e aveva in mostra muscoli che lei finora aveva solo immaginato. Era la prima volta che poteva dare una vera occhiata al suo fisico e la vista la lasciò senza parole.

“Sì,” disse, “puoi prendere l’altro lato di questa libreria e aiutarmi a portarla fuori. Emily?” La guardò e si accigliò.

Lei si accorse di guardarlo a bocca aperta e serrò la mandibola, poi tornò in sé. “Sì. Certo.”

Si avvicinò a dove stava lui, incapace di sostenere il contatto visivo, e prese il suo lato della libreria.

Ma non riuscì a impedire allo sguardo di scivolare sulle sue braccia muscolose quando si gonfiarono nello sforzo di reggere il peso della libreria alzandosi in piedi.

Emily sapeva di essere attratta da Daniel, accettava il fatto di esserlo stata dalla primissima volta che si erano conosciuti, ma per lei era più misterioso che mai. In effetti, era più misterioso adesso perché aveva trascorso così tanto tempo in sua compagnia senza rivelare molto su di sé. Tutto quello che lei sapeva era che c’era qualcosa in lui che Daniel teneva celato alla vista, una specie di oscurità o un trauma, una specie di segreto da cui stava scappando che gli impediva di avvicinarsi. La stessa Emily sapeva come ci si sentiva a scappare da una vita passata traumatica, quindi non gli aveva mai fatto domande. E poi lei ne aveva abbastanza di segreti sotterrati nella casa che non avrebbe avuto il tempo di scavare in cerca di quelli di Daniel. Quindi lasciava che la sua attrazione sobbollisse sotto la superficie, sperando che non traboccasse e che non desse il via a una reazione a catena a cui nessuno dei due era preparato.

*

I primi clienti cominciarono ad arrivare appena dopo mezzogiorno, mentre Emily e Daniel se ne stavano sulle sdraio a bere limonata fatta in casa. Emily notò subito che Serena era tra loro.

“Ehi!” fece Serena salutando con la mano, prima di saltellare verso Emily e abbracciarla.

“Sei qui per i tavoli da parete, vero?” disse Emily mentre si separavano, Emily un po’ a disagio dall’intimità fisica a cui Serena era così brava a dare il via. “Sono qui dietro l’angolo, te li prendo.”

Serena seguì Emily attraverso il dedalo di mobili disposti sul prato. “Quello è il tuo ragazzo?” chiese mentre camminavano, guardando dietro di sé in direzione di Daniel. “Perché, scusa se te lo dico, è molto sexy.”