Tasuta

Ora e per sempre

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Märgi loetuks
Ora e per sempre
Ora e per sempre
Tasuta audioraamat
Loeb Manuela Farina
Lisateave
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Emily rise e guardò anche lei oltre la spalla. Daniel stava parlando con Karen del negozio di alimentari, sempre nella sua canotta bianca, col sole primaverile che gli danzava sui bicipiti.

“Non lo è,” disse.

“Non è sexy?” urlò Serena. “Ragazza mia, sei cieca?”

Emily scosse la testa e rise. “Intendevo dire che non è il mio ragazzo,” spiegò.

“Ma è sexy,” implorò Serena. “Sai, puoi dirlo a voce alta.”

Emily fece un sorrisetto. Serena doveva pensare che fosse una moralista totale.

Arrivarono ai due tavoli che Serena era venuta a prendere. La donna più giovane si accucciò per guardarli bene, lasciando ricadere i capelli scuri su una spalla, svelando al di sotto una pelle caramello baciata dal sole. Era bella in un modo unico per una ragazza giovane – con un bagliore e una severità che nessun quantitativo di trucco avrebbe potuto ricreare.

“Pensi di provarci?” chiese Serena rialzando lo sguardo verso Emily.

Emily quasi si soffocò col respiro. “Provarci con Daniel?”

“Perché no?” chiese Serena. “Se non lo fai tu, lo faccio io!”

Emily raggelò, improvvisamente sentiva freddo dappertutto nonostante il sole primaverile. Il pensiero della bella e spensierata Serena con Daniel la riempì di una gelosia così pungente che la prese di sorpresa. Riusciva a immaginare che lui se ne sarebbe innamorato velocemente, perché chi non l’avrebbe fatto? Come avrebbe potuto un uomo di trentacinque anni resistere a una giovane donna come Serena? Era praticamente scritto nel loro DNA.

Serena d’un tratto mosse le sopracciglia e mostrò a Emily un largo sorriso. “Sto scherzando! Uao, sembra che ti abbia detto che è morto qualcuno!”

Emily non poté fare a meno di sentirsi un po’ infastidita per lo scherzo di Serena. Gli scherzi erano solo un’altra cosa a cui i giovani e gli spensierati potevano prendere parte. Ma per gli esausti come lei, era difficile divertirsi.

“Perché scherzi su questa cosa?” chiese Emily cercando di non lasciar trapelare la sua angoscia.

“Volevo vedere la tua faccia mentre lo dicevo,” rispose Serena. “Vedere se ti piace o no. E direi di sì, comunque, e dovresti assolutamente fare qualcosa. Sai, uno con quell’aspetto non resta single a lungo.”

Emily alzò un sopracciglio e scosse la testa. Serena era troppo giovane per capire quanto potessero essere complicate le cose tra due persone, o per conoscere il bagaglio emotivo che più invecchiavi più ti schiacciava.

“Ehi,” disse Serena, guardando lontano. “Hai avuto occasione di dare un’occhiata al granaio? Scommetto che c’è una tonnellata di roba interessante là dentro.”

Emily guardò dietro di lei. Dall’altra parte del prato, il granaio svettava nell’ombra, solo e dimenticato. Non aveva ancora avuto occasione di esplorare le costruzioni esterne. Daniel le aveva parlato delle serre e di come avrebbe voluto sistemarle per farci crescere dei fiori da vendere, ma il costo era troppo alto. Il granaio e le altre costruzioni, comunque, non li aveva menzionati, e lei semplicemente se ne era dimenticata.

“Non ancora,” disse rigirandosi verso Serena. “Ma ti farò sapere se trovo qualcosa che tu o Rico vorreste.”

“Fantastico,” disse Serena rialzandosi, un tavolino per braccio. “Grazie per questi. E non dimenticarti di provarci col signor Supersexy. Sei ancora giovane!”

Emily ruotò gli occhi e rise da sola mentre guardava la ragazza che se andava con andatura da spaccona. Aveva avuto tanta fiducia in se stessa quando aveva vent’anni? Se sì, non se lo ricordava. Amy era sempre stata quella sicura di sé, Emily era la più timida delle due. Forse era per quello che si ritrovava sempre in relazioni così disastrose, e che era rimasta incastrata con Ben così a lungo; per la paura di non essere capace di trovare qualcun altro, per l’angoscia all’idea di attraversare il difficile disagio di conoscere qualcuno di nuovo.

Emily guardò Daniel, osservando il modo in cui parlava con i clienti, la cautela delle sue maniere, e il modo in cui si perdeva così velocemente nel suo personale mondo quando era di nuovo solo. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Emily riconobbe in Daniel qualcosa di se stessa. Ed era qualcosa che le faceva venir voglia di conoscerlo di più.

*

L’interesse di Serena per il granaio aveva dato l’avvio alla curiosità in Emily. Più tardi quella sera, una volta che la rivendita dell’usato fu finita per quel giorno, si avventurò verso le costruzioni esterne. Nella luce tenue, i prati della casa sembravano ancora più belli, e la cura che Daniel gli aveva dato si faceva più manifesta. Aveva mantenuto un cespuglio di rose che vi cresceva da quando Emily riuscisse a ricordare.

Oltrepassando la serra rovinata ebbe un flash, un ricordo, di pomodori rosso brillante che crescevano in vasi, di sua madre in un morbido cappello per il sole che teneva in mano un annaffiatoio grigio. C’erano stati alberi di mele e di pere dietro alle serre. Forse Emily ne avrebbe piantati degli altri un giorno.

Oltrepassò le serre rovinate e raggiunse il granaio. La porta era chiusa con un lucchetto. Emily tenne il lucchetto arrugginito nella mano, cercando di farsi venire in mente dei ricordi sul granaio. Ma non ne arrivò nessuno. Come per la sala da ballo nascosta, il granaio era un segreto che non aveva mai pensato di esplorare da bambina.

Lasciò andare il lucchetto – ricadde con un rumore sordo – poi fece il giro per vedere se c’era un’altra entrata. La finestrella sudicia era rotta ma non abbastanza grande perché potesse passarci attraverso. Poi notò una riparazione; una delle assi era stata chiaramente rotta o imputridita e un pezzo di compensato sottile gli era stato inchiodato sopra – una misura temporanea che non era stata adattata. Emily poteva immaginarsi suo padre là fuori, col martello in mano, a coprire il buco con un pezzo di compensato, pensando che sarebbe tornato per un lavoro fatto bene il giorno dopo. Ma non lo aveva fatto. Appena dopo aver sistemato il danno al granaio, aveva deciso di andarsene per non tornare più.

Emily sospirò profondamente, frustrata dall’intrusione di un ricordo immaginario. Aveva abbastanza angoscia reale con cui fare i conti; non poteva lottare anche contro il dolore finto.

Con poche manovre, Emily riuscì a far leva e spostare il compensato, svelando un buco più grande di quanto si aspettasse. Ci passò attraverso facilmente e si ritrovò nel granaio buio. C’era uno strano odore stantio nell’aria che Emily non riusciva a collocare. Quello che riusciva a vedere, comunque, era ciò che le stava attorno. Il granaio era stato convertito in una camera oscura di fortuna, un luogo dove si sviluppavano fotografie. Cercò di ricordare se era un hobby che suo padre aveva avuto, ma la sua mente era vuota. Si era divertito a fotografare la famiglia, quello lo ricordava, ma non tanto da voler imbastire un’intera camera oscura allo scopo.

Emily si avvicinò al largo e lungo tavolo dove c’erano diversi vassoi uno accanto all’altro. Aveva visto abbastanza film da sapere che lì venivano versati i liquidi di sviluppo. Poi c’era un filo stendibiancheria tirato attraverso il tavolo con delle mollette ancora appese da dove venivano appese le foto ad asciugare. Tutto quanto era molto curioso per Emily.

Vagò per il granaio ancora un po’ per vedere se c’era qualcos’altro di interessante lì dentro. All’inizio vide molto poco a cui far caso. Solo bottiglie di liquido di sviluppo, vecchi barattoli di bobine, lenti lunghe e macchine fotografiche rotte. Poi trovò una porta, anche quella chiusa da un lucchetto. Emily si chiese dove portasse e cosa ci fosse lì dietro. Cercò in giro una chiave ma non riuscì a trovarne neanche una. Durante la ricerca scoprì una scatola piena di album di foto, tutti accatastati a casaccio uno sopra l’altro. Prese il primo, soffiò via la polvere dalla copertina e lo aprì.

La prima immagine era in bianco e nero, un primissimo piano di un quadrante di orologio. La successiva, anche quella in bianco e nero, mostrava una finestra rotta e una ragnatela che la attraversava. Emily voltò ogni pagina, corrugando la fronte a ogni figura. Non le sembravano professionali, più che altro parevano scattate da una mano inesperta, ma trasmettevano una malinconia che sembrava rivelare l’umore del fotografo. In effetti, man mano che studiava le foto, le pareva sempre più di guardare all’interno della testa del fotografo invece di analizzare i soggetti che aveva scelto di catturare. Le foto la facevano sentire quasi claustrofobica, anche se si trovava in un grande granaio, e profondamente infelice.

Improvvisamente ci fu un rumore alle sue spalle. Girò su se stessa, con il cuore che martellava, e lasciò cadere l’album ai suoi piedi. Lì, nel passaggio attraverso il quale anche lei era entrata nel granaio, c’era un piccolo terrier. Era chiaramente un randagio, con il pelo arruffato e non curato, e stava lì a guardarla, confuso dal fatto che qualcuno si trovasse sul suo territorio.

Ecco spiegato l’odore, pensò Emily.

Si chiese se Daniel sapesse del randagio, se l’avesse visto mai aggirarsi nel prato. Decise di chiederglielo il giorno dopo durante la rivendita dell’usato – così come della scoperta della camera oscura – e si ritrovò eccitata all’idea di avere una ragione per parlargli.

“Va tutto bene,” disse a voce alta al cane. “Me ne sto andando.”

Il cane inclinò la testa di lato mentre ascoltava le parole. Lei sollevò l’album per rimetterlo nella scatola, poi vide che una foto era caduta dalle pagine. La raccolse e vide che era la foto di una festa di compleanno. Dei bambini piccoli erano seduti attorno a una tavola e c’era una gigantesca torta rosa fatta in modo che in mezzo sembrasse esserci un castello. Improvvisamente Emily capì che cosa stava guardando – era una foto del compleanno di Charlotte. Del quinto compleanno di Charlotte. Dell’ultimo compleanno di Charlotte.

 

Emily sentì le lacrime bruciarle gli occhi. Teneva la foto stretta nelle mani tremanti. Non aveva dei veri ricordi dell’ultimo compleanno di Charlotte, così come aveva pochi ricordi della stessa Charlotte. Era come se la sua vita fosse stata spaccata in due – la prima parte era la vita di quando Charlotte era viva, la seconda parte era la vita dopo la sua morte, la parte in cui tutti erano crollati, in cui il matrimonio dei suoi genitori alla fine era andato in pezzi dopo che lo stress dovuto ai loro silenzi era diventato troppo, e il gran finale in cui suo padre era sparito dalla faccia della terra. Ma tutto questo era accaduto a Emily Jane, non a Emily, non alla donna che aveva deciso di diventare, la persona che aveva tirato fuori dai rottami. Guardando la foto qui, la prova della vita con Charlotte, Emily si sentì più vicina alla bambina che si era lasciata alle spalle di quanto avesse mai fatto.

Il cane abbaiò, ed Emily rialzò lo sguardo di scatto. “Okay,” disse, “Ho capito. Me ne vado.”

Invece di rimettere l’album nella scatola, Emily arraffò tutto quanto, notando nel mentre che anche la scatola sotto era piena di fotografie, poi arrancò attraverso il granaio prima di passare a fatica di nuovo dentro al buco. La sua mente esplodeva di pensieri. La sala da ballo nascosta, la camera oscura segreta, la porta con il lucchetto nel granaio, la scatola piena di foto… quali altri segreti nascondeva quella vecchia casa?

CAPITOLO NOVE

Tornando di corsa dentro casa, con la braccia cariche di album di foto, Emily era del tutto conscia dei rumori del martello e del trapano che venivano dalla sala da ballo. Ciò significava che nonostante la tarda ora, Daniel era ancora lì ad appendere quadri e specchi per lei. Lavorava sempre più tardi la sera, a volte fino a mezzanotte, ed Emily aveva cominciato a considerare l’idea che lo facesse per starle vicino, per mantenere un senso di prossimità, come se stesse aspettando il momento in cui lei gli avrebbe portato una tazza di tè con tutto l’entusiasmo che prendeva anche lei. Spesso era a quell’ora della sera, dopo che lei aveva finito di organizzare e rovistare per quel giorno, che andava a cercarlo e lo raggiungeva. Lui si sarebbe aspettato che facesse così anche quella notte.

Ma quella notte la sua mente era da qualche altra parte. In effetti vedere Daniel era l’ultima cosa che voleva. Era rimasta così scossa dalla fotografia di Charlotte, dalla scoperta della camera oscura, da essersi focalizzata unicamente su ciò che voleva fare dopo, su ciò che aveva bisogno di fare, adesso. Alla fine.

Perché c’erano altre stanze dentro casa in cui Emily non era ancora stata – stanze in cui aveva proprio deliberatamente evitato d’entrare. Una era lo studio di suo padre, ed era lì che stava andando. Persino dopo mesi vissuti nella casa, la porta dello studio era rimasta chiusa. Non aveva voluto metterla in disordine. O, più probabilmente, non aveva voluto lasciar uscire i segreti che conteneva, di qualunque natura fossero.

Ma adesso sentiva davvero che era rimasta nascosta troppo a lungo. I misteri della sua famiglia la stavano divorando. Aveva lasciato che i silenzi, le cose taciute, si impossessassero della sua mente. Nessuno nella sua famiglia aveva mai parlato di nulla – della morte di Charlotte, della conseguente crisi di sua madre, dell’imminente divorzio dei suoi che si faceva sempre più vicino ogni anno che passava. Erano stati codardi a permettere che le ferite si infettassero invece di passare all’azione. Sua madre, suo padre, erano uguali, lasciavano tanti non detti, lasciavano che le ferite si incancrenissero finché l’unica possibile azione era l’amputazione.

L’amputazione, pensò Emily.

Era esattamente quel che aveva fatto suo padre, no? Aveva amputato tutta la sua famiglia, era fuggito da qualsiasi problema di cui non riusciva a parlare. Se n’era andato da tutti loro per via di un qualche ostacolo, un intralcio, che riteneva insormontabile. Emily non voleva trascorrere tutta la sua vita a farsi domande. Voleva delle risposte. E sapeva che le avrebbe trovate in quello studio.

Lasciò la scatola delle foto sulle scale prima di salire i gradini due alla volta. La sua mente correva frenetica mentre procedeva a grandi falcate lungo il corridoio del piano di sopra finché non raggiunse la porta dello studio di suo padre e non si fermò. La porta era di legno scuro laccato. Emily ricordava di averla fissata, naso all’insù, da piccola. All’epoca sembrava ordinarle di fare un passo indietro, quasi minacciosa, una porta attraverso la quale suo padre spariva come inghiottito, solo per riemergere ore dopo. Non le era mai permesso di disturbarlo e, nonostante la curiosità di bambina, non aveva mai infranto le regole per entrare. Non sapeva perché quella stanza le fosse proibita. Non sapeva perché suo padre vi sparisse dentro. Sua madre non le aveva detto niente, e man mano che gli anni passavano e lei diventava adolescente, aveva adottato un atteggiamento alla non-me-ne-può-fregare-di-meno nei confronti della stanza, avvolgendo le sue domande senza risposta in una coperta di silenzio.

Girò il pomello e rimase sorpresa nello scoprire che funzionava. Aveva dato per scontato che lo studio sarebbe stato chiuso a chiave, che avrebbe fatto una certa resistenza alla sua intrusione. Quindi fu scioccata nel vedere che poteva entrare tranquillamente nella stanza in cui non aveva mai messo piede prima.

Esitò, quasi in attesa che sua madre saltasse fuori e le facesse una ramanzina. Ma ovviamente non venne, così Emily fece un respiro profondo e spinse la porta. Si aprì con un cigolio.

Emily fece capolino in una stanza di ombre. Dentro c’era una grande scrivania, degli archivi e delle librerie. Diversamente dal resto della casa, lo studio di suo padre era ordinato. Non lo aveva riempito di oggetti, opere d’arte o fotografie; non c’erano tappeti abbinati male a ricoprire il pavimento perché non era stato capace di decidere quale comprare. In effetti, di ogni stanza in cui era stata, questa era quella che somigliava meno a suo padre. L’incongruità della cosa era sconcertante.

Emily entrò. C’era il familiare odore di polvere e di muffa nell’aria, lo stesso odore che aveva permeato tutta la casa quando era arrivata. Ragnatele scendevano dal soffitto, tra la lampadina e la sua ombra. Le superò, non volendo disturbare latenti bestie inquietanti.

Quando fu proprio dentro, Emily non sapeva da dove cominciare. In effetti, non sapeva neanche che cosa stesse cercando esattamente. Aveva solo la sensazione che l’avrebbe saputo non appena l’avrebbe visto, che i misteri della sua famiglia fossero nascosti da qualche parte in questa stanza.

Si avviò verso l’archivio e si mise a rovistare dentro al primo cassetto, ritenendolo un posto come un altro da dove iniziare. Tra le carte di suo padre trovò atti legali della casa, il certificato di matrimonio dei suoi e i procedimenti di divorzio di sua madre. Trovò una prescrizione medica per lo Zoloft, un antidepressivo. Non la sorprese sapere che suo padre prendeva medicine – la morte di un figlio poteva gettare chiunque in una spirale depressiva. Nulla di tutto ciò serviva a spiegare la sparizione del padre.

Una volta cercato all’interno dell’archivio ed esaminati i documenti in esso contenuti, Emily passò alla scrivania per dare un’occhiata nei cassetti. Il primo che provò ad aprire era chiuso a chiave, ed Emily biascicò un piccolo a-ah sottovoce. Stava per chiamare Daniel per vedere se sarebbe riuscito a forzare la serratura e aprirglielo, quando la sua attenzione cadde su una piccola cassaforte nell’angolo della stanza. Subito Emily fu colpita dalla distinta sensazione che qualunque cosa ci fosse dentro alla cassaforte avrebbe risposto a ogni questione che le bruciava nella testa.

Abbandonò il cassetto e corse alla cassaforte, inginocchiandosi davanti alla scatola di acciaio rinforzato verde scuro. Vide che era assicurata con un lucchetto che richiedeva una combinazione invece di una chiave. Con dita tremanti, Emily ruotò i piccoli quadranti argentati, provando prima con la data di nascita di suo padre. Ma la combinazione non era giusta e il lucchetto non si mosse. Poi una vocina nella mente le disse che il compleanno di Charlotte era di sicuro la combinazione necessaria ad aprire il lucchetto. Charlotte era stata la figlia preferita di suo padre, dopo tutto. Ma quando inserì i numeri, scoprì che non funzionavano neanche quelli. Come ultimo tentativo, Emily dispose i numeri in modo che apparisse il suo compleanno, lì a fissarla. Quando premette sul lucchetto, rimase sopresa nello scoprire che si apriva.

Emily si mise seduta, sbalordita. Si era sempre incolpata per la fuga del padre (come ogni figlio fa inevitabilmente quando un genitore esce dalla sua vita), perché pensava di non essere abbastanza simile a Charlotte, che Charlotte fosse stata la preferita di suo padre e che perderla fosse stato il suo primo dolore, e che il secondo fosse stato che Emily non era una sostituta all’altezza. E quelle foto di Charlotte che aveva trovato nella casa, il modo in cui erano letteralmente cadute fuori dal legno come se fossero state cucite nel loro tessuto, avevano solo confermato quella convinzione di vecchia data. Ma Emily adesso si confrontava improvvisamente con una nuova realtà. Il suo compleanno era la combinazione di accesso alla cassaforte. Suo padre l’aveva scelta specificatamente. Perché qualsiasi cosa si trovasse lì dentro era solo per i suoi occhi? O perché suo padre l’aveva amata con la stessa intensità con cui aveva amato Charlotte?

La mano di Emily tremò allungandosi e rimuovendo il lucchetto dalla cassaforte. Poi spinse la porticina. Stridette fino ad aprirsi.

Emily inserì la mano dentro all’ignoto, tastando in giro. Sentì un qualche tessuto, velours o velluto, e lo tirò fuori. Guardò giù e vide che teneva in mano un borsellino rosso scuro con un nastro di un rosso ancora più scuro. Era pesante ed Emily aggrottò le sopracciglia. Slegò il nastro e capovolse il borsellino. Un fiume di perle le cadde in mano, legate con un sottile spago bianco. Emily riconobbe subito la collana. Molti anni prima, quando lei e Charlotte stavano recitando la loro commedia sui pirati per i loro genitori, lei aveva interpretato la parte di una principessa rapita. Aveva indossato la collana e suo padre, dopo averla vista, si era molto arrabbiato e aveva chiesto che se la togliesse. Emily aveva pianto, sua madre aveva gridato contro suo padre per la reazione esagerata, e la collana era scomparsa per non riapparire mai più.

Fu molti giorni dopo che si calmò abbastanza da spiegarle che la collana era appartenuta a sua madre. Fu molti anni dopo che lei capì perché aveva un valore sentimentale così importante per lui; era l’unica cosa che sua madre non era stata costretta a dare in pegno per pagargli gli studi. Non avevano più parlato della collana ed Emily non l’aveva più vista, sebbene ci avesse pensato spesso.

Adesso Emily fissava la collana sulla sua mano, provando un senso di delusione. Una collana di perle non rispondeva esattamente alle domande sui segreti della sua famiglia né spiegava il mistero della scomparsa di suo padre. E la impressionava pensare che suo padre aveva creduto che l’unico modo di tenere il suo avere più prezioso lontano dalla curiosa figlia di cinque anni con le dita tutte appiccicose fosse chiuderla in una cassaforte. A meno che la collana non valesse qualcosa e l’avesse nascosta lì per tenerla al sicuro e per assicurarsi che sua madre non potesse impegnarla dopo che se n’era andato? Perché sarebbe tornato a prenderla un giorno? O perché voleva assicurarsi che diventasse parte degli averi di Emily, come se chiedesse scusa alla versione di cinque anni di se stessa? E se usare il suo compleanno come combinazione fosse un indizio? Non c’era modo di saperlo per certo, senza che suo padre glielo spiegasse.

Emily giocò con le perle tra le dita. Si sentiva una mocciosa per essersi sentita delusa da loro; se suo padre le aveva nascoste apposta per lei si sarebbe dovuta sentire grata. Ma era stata sicura che la cassaforte avrebbe contenuto le informazioni di cui aveva così disperatamente bisogno. Che l’ultimo pezzo del puzzle sarebbe stato lì dentro.

Sospirò e stava per chiudere la cassaforte quando notò qualcos’altro, nascosto dalle ombre, in fondo in fondo. Infilò la mano e lo afferrò. Ritraendo la mano, guardò giù nel palmo e scoprì di tenere un portachiavi pieno.

 

Emily fissò il portachiavi nella sua mano, con il cuore che martellava per la scoperta. Cosa poteva aver costretto suo padre a nascondere le sue chiavi in una cassaforte? Che segreti custodiva che erano tanto brutti da dover custodirne le chiavi sotto chiave?

C’erano almeno venti chiavi, ed Emily le guardò una per una, chiedendosi quali porte avrebbero aperto. Poi si ricordò del cassetto della scrivania, quello che aveva trovato chiuso quando aveva provato a guardarci dentro. Corse al cassetto e provò ogni chiave nella serratura finché una scivolò dentro. Poi, improvvisamente, sentì un click.

Ecco. Ce l’aveva fatta. Avrebbe finalmente scoperto qualunque cosa suo padre aveva nascosto con tanta cura e per tanto tempo alla famiglia.

Scrutò nel cassetto. Conteneva una sola cosa: una busta bianca. Nella calligrafia ordinata che Emily riconobbe istantaneamente essere quella di suo padre, c’era una parola scritta in un inchiostro blu sbiadito.

Emily.

Una sensazione come di ghiaccio attraversò il corpo di Emily quando realizzò che suo padre le aveva scritto una lettera che però non le aveva mai dato. Che l’aveva nascosta e chiusa a chiave in un cassetto, per poi chiudere la chiave in una cassaforte. Emily ebbe la forte impressione che qualunque cosa ci fosse dentro la lettera, avrebbe cambiato tutto.

Ma prima che Emily avesse la possibilità di aprirla, suonò il campanello. Fece un balzo e urlò. Era quasi mezzanotte. Chi mai al mondo sarebbe potuto venire a quest’ora?

*

Emily si mise la lettera in tasca e poi balzò su e si affrettò lungo il corridoio. In cima alle scale vide che Daniel l’aveva preceduta. La porta era aperta, e lì sul gradino c’era un uomo basso e corpulento in una tenuta tale che sembrava aver appena lasciato il campo da golf.

“Ehi oh,” disse a Daniel, con una voce che fluttuava fin su sulle scale verso di lei. “Scusi per la tarda ora. Sono Trevor Mann, il vicino. Vivo nei cento acri dietro di lei e trascorro qui la stagione.”

Allungò una mano verso Daniel. Daniel si limitò a osservarla. “Questa non è casa mia,” disse. “Non è mia la mano che deve stringere.”

Emily sentì un sorrisetto che le tirava le labbra quando Daniel si voltò e indicò lei, lì in cima alle scale. Scattò giù e afferrò la mano del signor Mann, stringendola con decisione per assicurarsi che sapesse chi era il capo.

“Sono Emily Mitchell. Lieta di conoscerla.”

“Ah,” disse Trevor, più amichevole che mai. “Scusi per l’errore. Comunque, non la tratterrò a lungo, lo so che è tardi. Volevo solo che sapesse che ho buttato un occhio alla sua terra e che conto di subentrarle entro la fine dell’estate.”

Emily batté le palpebre, confusa da quelle parole. “Mi scusi, cosa?”

“Il suo terreno. L’ho tenuto d’occhio per gli ultimi vent’anni. Voglio dire, so che ho già un centinaio di acri mentre lei ne ha solo cinque, ma lei ha la vista sull’oceano, quindi ha uno degli ultimi lotti di eccellenza sull’acqua. Questo acquisto completerebbe proprio il mio lotto. È il suo momento per approfittarne.”

“Non capisco,” disse Emily.

“No? Parlo forse arabo?” Scoppiò in una fragorosa risata come se avesse fatto la battuta più divertente del mondo. “Voglio comprare la sua terra, signorina Mitchell. Vede, c’è ogni genere di scappatoia con il proprietario in diserzione. Ma ho notato che c’erano delle luci accese e ho chiesto in giro in paese. È stata Karen del negozio di alimentari a dirmi che qualcuno ci vive ancora.”

Emily e Daniel si scambiarono una breve occhiata confusa.

“Ma non è in vendita,” disse Emily, e la voce suonava sbalordita. “È la casa di mio padre. L’ho ereditata.”

“Davvero?” chiese Trevor, con il tono ancora amichevole in un modo che non sembrava accordarsi alle parole che diceva. “Roy Mitchell non è morto, vero?”

“Be’, no, non lo so, è…” Emily balbettò. “È complicato.”

“È una persona scomparsa, a quanto ho capito,” disse Trevor. “Ciò significa che la casa è in una specie di limbo legale. Per anni non sono state pagate delle tasse. La burocrazia è un tantino severa su queste cose.” Rise sommessamente. “Dal suo sguardo vuoto deduco che non ne fosse a conoscenza.”

Emily scosse la testa, confusa e frustrata dall’intrusione di Trevor nella sua vita, proprio quella notte, mentre la lettera di suo padre ardeva nella tasca posteriore. “Senta, la terra non è in vendita. Questa era la casa di mio padre e io ho tutti i diritti di stare qui.”

“A dire il vero,” disse Trevor, “non li ha. Ho dimenticato di dirle che faccio parte del consiglio urbanistico. Io e Karen e una manciata di altre persone a cui lei non è piaciuta moltissimo quando è venuta a stare qui. Mi sono preso la responsabilità, come dovere di buon vicino, di informarla che a causa delle tasse non pagate, tecnicamente la casa appartiene al paese. Inoltre, è stata dichiarata inagibile anni fa, quindi se vuole vivere qui ha bisogno di un nuovo certificato di residenza. È illegale viverci adesso, lo capisce?”

Si accigliò. Ogni volta che aveva mosso un passo nella sua vita, aveva scoperto Emily, c’erano state persone che avevano cercato di metterla sotto, di dirle quello che non poteva fare – che fossero capi, o fidanzati, o vicini maleducati, erano tutti uguali. Tutti cercavano di essere un’autorità dentro la sua testa, di fermare i suoi sogni, di rimetterla al suo posto.

Ma ne aveva abbastanza con le autorità nella sua vita.

“Sarà anche così,” replicò alla fine, “ma comunque questo non rende vostra la casa di mio padre, giusto?” Parlò anche lei un largo sorriso di ghiaccio, aperto, la sua espressione, come quella dell’uomo, non si accordava al duro astio nella sua voce.

Il viso di lui alla fine si sgretolò – così come il suo sorriso.

“Il nostro paese può rivendicare la sua casa e metterla all’asta,” insistette. “Poi io potrò comprarla.”

“Allora perché non lo fate?” lo sfidò Emily.

Il suo cipiglio si fece più intenso.

“Legalmente,” disse, schiarendosi la gola, “sarebbe molto più giusto comprarla da lei. Questo tipo di situazione legale potrebbe ingorgarsi per anni. E, come ho detto, è una zona grigia. Niente di simile è mai accaduto nel nostro paese prima.”

“Peccato per lei, allora,” replicò.

Indietreggiò, ammutolito, ed Emily si sentì orgogliosa per aver fatto fronte alla sua autorità.

Trevor sorrise di un sorriso insipido. “Le darò un po’ di tempo per pensarci. Ma davvero, non so che cosa ci sia da pensare. Voglio dire, cosa se ne farà di questa casa? Quando la novità sarà svanita se ne andrà. Tornerà per l’estate. Due mesi l’anno. Mi vuol dire che vivrà qui per un anno intero? E farà cosa? Sia realistica. Se ne andrà in autunno come tutti quanti. Oppure finirà i soldi.” Si strinse nelle spalle e rise ancora, come se non avesse appena minacciato lei e i suoi mezzi di sostentamento. “La cosa migliore per lei è vendere la terra a me mentre l’offerta è ancora sul tavolo. Perché non semplifica la vita a tutti e due e mi vende la sua proprietà?” le mise pressione. “Prima che chiami la polizia perché le diano lo sfratto?” Guardò Daniel. “A lei e al suo fidanzato,” aggiunse.

Gli occhi di Daniel bruciavano.

Lei tenne botta.

“Perché diavolo non se ne va dalla mia terra,” disse, “e non se ne torna ai suoi cento acri senza vista – prima che io chiami la polizia per farla condannare per violazione di domicilio?”

Trevor sembrava un cervo alla luce dei fanali, ed Emily non era mai stata così orgogliosa di se stessa come in quel momento.