Tasuta

Ora e per sempre

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Märgi loetuks
Ora e per sempre
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Tasuta audioraamat
Loeb Manuela Farina
Lisateave
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CAPITOLO DODICI

Il giorno dopo Emily si svegliò presto e andò dritta in paese con un piano per far sì di piacere alla gente di Sunset Harbor. L’impeto, certo, era stato il desiderio che votassero per il suo permesso; eppure mentre partiva, realizzò di voler farseli amici a prescindere. Il permesso era importante, ma che lo ottenesse o meno, ciò che era più importante per lei era riaggiustare le cose. Aveva alla fine capito quanto fredda e scostante era stata con tutti lì, e si sentiva orribile. Lei non era così. Che votassero per lei o meno, o che diventassero suoi amici o meno, sentiva di dover fare ammenda. Era ora di lasciarsi la Emily di New York City alle spalle e di diventare la persona amichevole di piccola città che era stata nella sua gioventù..

Doveva cominciare tutto, realizzò, con Karen del negozio. Si precipitò lì e arrivò proprio quando Karen stava aprendo per cominciare la giornata.

“Oh,” disse Karen quando vide che Emily si avvicinava. “Puoi darmi cinque minuti per avviare la cassa?” Il suo tono non era ostile, ma Karen era il tipo di persona iper-amichevole con tutti, quindi il tiepido saluto era un chiaro segnale dell’antipatia verso Emily.

“A dire il vero, non sono qui per comprare,” disse Emily. “Volevo parlarti.”

Karen rimase zitta, con la mano che teneva la chiave ancora nella serratura. “Di cosa?”

Aprì la porta ed Emily la seguì dentro. Karen si mise subito ad aprire le tendine, e sfrecciava su e giù ad accendere luci, insegne e cassa.

“Be’,” disse Emily seguendola, sentendosi come se dovesse faticare per ottenere il perdono, “Volevo scusarmi per te. Credo che abbiamo cominciato con il piede sbagliato.”

“Il piede sbagliato è durato tre mesi,” rispose Karen allacciandosi veloce un grembiule verde del negozio attorno alla cintola.

“Lo so,” rispose Emily. “Sono stata un po’ scostante la prima volta che sono venuta qui perché ero appena uscita da una relazione e avevo lasciato il lavoro ed ero un po’ giù. Ma adesso le cose vanno benissimo e so che tu sei una parte importante di questa comunità quindi possiamo ricominciare da capo?”

Karen girò intorno al bancone e diede un’occhiata a Emily. Poi alla fine disse, “Posso provarci.”

“Fantastico,” disse Emily luminosa. “Allora questo è per te.”

Karen strinse gli occhi mentre guardava la piccola busta che Emily le tendeva. La prese sospettosa. “Cos’è?”

“Un invito. Darò una cena alla casa. Pensavo che la gente del paese potrebbe essere interessata a vedere come l’ho sistemata. Cucinerò, preparerò dei cocktail. Sarà divertente.”

Karen sembrava confusa, ma prese comunque l’invito.

“Non è necessario che mi confermi subito la tua presenza,” disse Emily. “Ciao!”

Corse fuori dal negozio e puntò alla meta successiva. Mentre camminava, capì quanto era finita col piacerle quella città. Era davvero bella, con la sua architettura carina, i cesti di fiori e le strade alberate. Le bandierine era ancora issate dal festival, facendo pensare che fosse in corso una continua celebrazione.

La fermata successiva di Emily era la pompa di benzina. L’aveva evitata finora, raccontandosi che fosse perché non aveva avuto bisogno di guidare tanto da quando era arrivata lì, ma in realtà non aveva voluto incontrare l’uomo che le aveva dato un passaggio quando era arrivata per la prima volta a Sunset Harbor. Era stata più maleducata con lui che con chiunque altro, ma se stava cercando di sistemare le cose con la gente di Sunset Harbor, lui doveva essere nella sua lista degli invitati. Dato che lui era l’unico benzinaio della città, lo conoscevano proprio tutti. Se riusciva a ottenere una buona parola da lui, forse gli altri avrebbero fatto la stessa cosa.

“Salve,” disse con esitazione aprendo la porta e sbirciando dentro. “Lei è Birk, vero?”

“Ah,” disse l’uomo. “Ecco la misteriosa straniera che è apparsa nella tormenta per non essere mai più vista.”

“Sono io,” disse Emily notando che sembrava indossare esattamente lo stesso paio di jeans sporchi di olio della prima volta in cui si erano incontrati. “Sono stata qui tutto il tempo, a dire il vero.”

“Davvero?” disse Birk. “Pensavo che si fosse trasferita mesi fa. Ha trascorso tutto l’inverno in quella vecchia casa piena di spifferi?”

“Sì,” disse Emily. “Solo che non è più piena di spifferi. L’ho sistemata.” C’era un senso di orgoglio nel suo tono.

“Be’, che io sia dannato,” disse l’uomo. “Solo,” aggiunse, “magari avrebbe dovuto aspettare prima di fare grande lavori. Lo sa che c’è una tempesta in arrivo per stasera? La peggiore nel Maine in cent’anni.”

“Oh no,” disse Emily. Non aveva pensato a nulla che potesse rovinarle l’ottimismo, ma il destino sembrava sempre metterle i bastoni tra le ruote per farla tornare alla realtà. “Volevo scusarmi per essere stata maleducata quando ci siamo conosciuti. Non credo di averla neanche ringraziata come si deve per avermi tirata fuori da quella brutta situazione. Ero ancora in modalità New York, anche se non è una scusa. Spero che possa perdonarmi.”

“Non lo dica neanche,” disse Birk. “Non l’ho fatto per essere ringraziato, l’ho fatto perché aveva bisogno di aiuto.”

“Lo so,” rispose Emily. “Ma la prego di accettare i miei ringraziamenti lo stesso.”

Birk annuì. Sembrava un uomo orgoglioso, uno che non accettava la gratitudine facilmente. “Allora sta pianificando di rimanere ancora a lungo?”

“Altri tre mesi se riesco a permetterlo,” disse Emily. “Anche se Trevor Mann del consiglio urbanistico sta facendo di tutto per farmi sfrattare in modo da prendersi la mia terra.”

Al sentire il suo nome, Birk fece ruotare gli occhi. “Ah, non si preoccupi di Trevor Mann. Si candida a sindaco ogni anno da trent’anni e nessuno vota mai per lui. Che resti tra me e lei, credo che abbia il complesso di Napoleone.”

Emily rise. “Grazie, mi fa sentire molto meglio.” Rovistò nella borsa e tirò fuori uno degli inviti alla festa. “Birk, darò una cena alla casa per la gente del paese. Non so, a lei e a sua moglie andrebbe di venire?” Gli allungò la busta.

Birk guardò la busta, un po’ confuso. Emily si chiese quando fosse stata l’ultima volta che era stato invitato a una cena, o se mai gli fosse capitato.

“Be’, molto gentile da parte sua,” disse Birk prendendo la lettera e infilandola nella capiente tasca dei jeans. “Credo che potrei venire. Ci piacciono le feste, qui. Avrà visto le bandierine.”

“Le ho viste,” rispose Emily. “Sono andata al porto a vedere la festa delle barche. È stata fantastica.”

“È venuta?” disse Birk sembrando ancor più confuso di prima.

“Già,” disse Emily con un sorriso. “Ehi, mi chiedo se potrebbe farmi un favore. Devo correre a casa se voglio preparare la casa per la tempesta di stasera, ma ho ancora un sacco di inviti da consegnare. Li consegnerebbe lei ai destinatari quando passano per fare benzina?”

Non la faceva sentire bene chiedere un favore così enorme a Birk, ma la tempesta imminente stava facendo deragliare il suo piano di distribuzione degli inviti. Non c’era proprio tempo di darli a uno a uno a ogni persona che voleva partecipasse alla festa. Ma se non arrivava a casa e preparava la casa per la tempesta, non ci sarebbe stato nessun posto in cui tenere la festa per la gente del paese, comunque!

Birk scoppiò in una grossa risata di pancia. Se non riceveva inviti a cena da anni, certamente non aveva mai preso parte alla loro organizzazione prima! “Be’, posso vedere?” Chi è nella lista?” Emily gli porse le buste e lui le sfogliò. “Dottoressa Patel, sì passerà dopo il turno. Cynthia della libreria, Charles e Barbara Bradshaw, sì, sì, tutte queste persone passeranno prima o poi.” Alzò lo sguardo e sorrise. “Posso occuparmene io.”

“Grazie mille, Birk,” disse Emily. “Le sono debitrice. Ci vediamo in giro?”

Birk la salutò con la mano mentre lei si voltava per andarsene poi rise piano sotto i baffi come faceva sempre, guardando i delicati inviti alla festa che gli aveva affidato. “Oh, Emily. Perché non ne mette uno sulla bacheca cittadina? La maggior parte della gente ci dà un’occhiata ogni giorno. Avrà più ospiti così, dato che qui c’è solo una ristretta selezione. Presumendo che voglia più ospiti.”

“Certo!” esclamò Emily. “Voglio avere l’occasione di conoscere più gente possibile. Sento di non essermi integrata per niente con voi, e voglio davvero conoscervi tutti. Farmi degli amici, qui.”

Birk sembrò commosso, anche se stava facendo del suo meglio per nascondere l’emozione. “Be’, sistemare quella vecchia casa è sicuramente la strada giusta. Tutti qui vorrebbero vederla ristrutturata.”

“Okay. Allora metterò un volantino sulla bacheca se pensa che aiuterà. Grazie, Birk.” Emily era grata che la stesse aiutando. Proprio come quando le aveva dato un passaggio quella notte nella tormenta di neve tutti quei mesi prima, era disposto a disturbarsi per aiutare qualcun altro. Sorrise a se stessa, non vedendo l’ora di conoscerlo meglio.

“Non faccia la newyorkese, mi sente?” aggiunse Birk mentre usciva dalla porta.

“Non lo farò!” rispose Emily prima di chiudere la porta.

Corse alla bacheca e afferrò una penna e un pezzo di carta, poi a fianco agli altri annunci scrisse il suo per la festa e ve lo appuntò. Pregò solo che chiunque fosse venuto avrebbe avuto la cortesia di rispondere all’invito in modo da sapere almeno per quante persone cucinare e potersi organizzare.

Una volta appeso l’invito, saltò in macchina e si diresse a casa ad avvertire Daniel dell’imminente tempesta e di preparare la casa per il suo arrivo.

Lo trovò nella sala da ballo. Cominciava ad avere un aspetto fantastico. Le finestre Tiffany facevano lampeggiare i colori contro i muri, resi ancor più belli, se era possibile, dal lampadario di cristallo che avevano pulito e appeso. Entrare nella sala da ballo sembrava mettere piede in un mare blu, in un mondo da sogno.

 

“Ho appena sentito in paese che è in arrivo una brutta tempesta,” disse Emily a Daniel.

Lui smise di fare quello che stava facendo. “Quanto brutta?”

“Cosa vuoi dire con quanto brutta?” disse Emily, esasperata.

“Voglio dire, tanto brutta che sarà meglio prepararsi al peggio?”

“Credo di sì,” disse lei.

“Okay. Dovremmo sprangare le finestre.”

A Emily sembrava strano rimettere il compensato sulle finestre quando tre mesi prima avevano lavorato insieme per toglierlo. Era cambiato così tanto da allora tra di loro. Lavorare alla casa insieme li aveva legati. Il loro amore per il posto li aveva avvicinati. Quello, e il dolore che entrambi provavano per la scomparsa del padre di Emily.

Una volta che la casa fu pronta, e le prime grosse gocce di pioggia cominciarono a chiazzare la terra, Emily notò che Daniel continuava a sbirciare fuori da una fessura del compensato.

“Non stai pensando di tornare alla rimessa, vero?” chiese. “Perché questa casa è molto più solida. Deve essere già sopravvissuta a una o due brutte tempeste nella sua vita. Non come la tua fragile rimessina per carrozze.”

“La mia rimessa non è fragile,” contestò Daniel con un sorrisetto.

Proprio allora il cielo si aprì e uno strato di pioggia si mise a rombare sulla casa. Il rumore era fenomenale, come delle legnate.

“Uao,” disse Emily alzando le sopracciglia. “Non ho mai sentito niente del genere prima.”

Le percussioni della pioggia furono accompagnate da un’improvvisa raffica di vento ululante. Daniel sbirciò fuori dalla fessura di nuovo ed Emily improvvisamente capì che stava guardando verso il granaio.

“Sei preoccupato per la camera oscura, vero?” gli chiese.

“Sì,” rispose Daniel con un sospiro. “È buffo. Non entro lì da anni ma il pensiero che venga distrutta dalla tempesta mi rattrista.”

Improvvisamente, Emily ricordò il randagio che aveva incontrato quando era stata lì. “Oddio!” urlò.

Daniel la guardò, allarmato. “Che c’è?”

“C’è un cane, un randagio che vive nel granaio. Non possiamo lasciarlo fuori con la tempesta! E se il granaio gli crolla sulla testa?” Emily si stava facendo prendere dal panico al solo pensarci.

“Va tutto bene,” disse Daniel. “Vado a prenderlo. Tu resta qui.”

“No,” disse Emily dandogli uno strattone al braccio. “Non dovresti uscire.”

“Allora vuoi lasciare il cane fuori?”

Emily era indecisa. Non voleva che Daniel si mettesse in pericolo, ma allo stesso tempo non poteva lasciare il cane indifeso fuori con la tempesta.

“Andiamo a prendere il cane,” rispose Emily. “Ma vengo anch’io.”

Emily trovò degli impermeabili e degli stivali ed entrambi li indossarono. Quando Emily aprì la porta sul retro un fulmine esplose in cielo. Lei sussultò di fronte alla sua forza, poi sentì il fragoroso rombo del tuono nell’aria.

“Credo che sia proprio sopra di noi,” disse a Daniel, alle sue spalle, la voce soffocata dal ruggito della tempesta.

“Allora abbiamo scelto il momento giusto per andarle incontro!” arrivò la sua sarcastica risposta.

I due arrancarono attraverso il prato, trasformando con il loro calpestio l’erba ordinatamente curata in fango. Emily sapeva quanto ci tenesse Daniel al prato e sapeva che doveva ucciderlo sapere di danneggiarlo con ognuno dei suoi passi.

Mentre la pioggia le pungeva il viso, Emily venne colpita da un ricordo che ebbe su di lei un impatto molto più forte dei venti che le soffiavano intorno. Si ricordò di quando era una bambina, fuori con Charlotte durante una tempesta. Il padre le aveva avvertite di non allontanarsi troppo da casa, ma Emily aveva convinto la sorellina ad andare un po’ più in là. Poi era arrivata la tempesta e loro si erano perse. Erano entrambe spaventate a morte, urlavano, piangevano quando il vento batteva sui loro piccoli corpi. Si erano avvinghiate l’una contro l’altra, le mani giunte, ma la pioggia le aveva rese scivolose e a un certo punto aveva perso la presa di Charlotte.

Emily gelò sul posto quando il ricordo le attraversò l’occhio della mente. Si sentiva come se fosse lì, riviveva quel momento in cui era stata una bambina terrorizzata di sette anni, che ricordava l’espressione tremenda sul viso del padre quando gli aveva detto che Charlotte non c’era, che l’aveva persa nella tempesta.

“Emily!” urlò Daniel, la voce quasi del tutto ingoiata dal vento. “Muoviti!”

Rivolse di nuovo l’attenzione al presente e seguì Daniel.

Alla fine riuscirono ad arrivare al granaio, sentendosi come se avessero arrancato attraverso un’immensa palude selvaggia per arrivarci. Il tetto era già saltato per via della forza del vento ed Emily non sperava tanto che il resto fosse resistito.

Mostrò a Daniel il buco e ci passarono attraverso insieme. La pioggia continuava a sferzarli attraverso il vuoto lasciato dal tetto ed Emily si guardò in giro e vide che il granaio si stava riempiendo d’acqua.

“Dove hai trovato il cane?” chiese Daniel a Emily. Nonostante l’impermeabile sembrava bagnato fino all’osso, e i capelli gli si erano appiccicati al viso in ciuffi.

“Laggiù,” disse facendo un cenno in direzione dell’angolo scuro del granaio dove aveva visto il muso del cane quando l’aveva lasciato.

Ma quando arrivarono al posto dove Emily pensava dovesse essere il cane, ebbero entrambi una sorpresa.

“Oddio,” gridò Emily. “Cuccioli!”

Gli occhi di Daniel si spalancarono d’incredulità quando vide i cuccioli rosa e senza pelo che si contorcevano. Erano appena nati, forse avevano anche meno di un giorno di vita.

“Che cosa ne faremo di questi?” disse Daniel con gli occhi tondi come delle lune.

“Li mettiamo in tasca?” rispose Emily.

C’erano in tutto cinque cuccioli. Li misero uno in ogni tasca e poi Emily cullò il piccolo tra le mani. Daniel vide la madre, che scattava verso di loro per aver disturbato i cuccioli.

Le pareti del granaio tremavano mentre se ne tornavano nel buco con i cuccioli che gli si agitavano nelle tasche.

Mentre attraversavano il granaio, Emily poté vedere i danni che la pioggia stava arrecando a tutto lì dentro, e capì che sicuramente sarebbe andato tutto distrutto – le scatole con gli album di foto di suo padre, le fotografie del giovane Daniel, la datata attrezzatura che forse avrebbe avuto un valore per un collezionista. Il pensiero le spezzò il cuore. Nonostante avesse portato già una scatola in casa, ce n’erano altre tre piene di album di foto di suo padre all’interno del granaio. Non poteva sopportare di perdere tutte quelle preziose memorie.

Contro il buon senso, Emily corse verso il posto in cui aveva trovato la pila di scatole. Sapeva che c’erano un misto di foto di Daniel e di quelle di suo padre lì dentro, e quella in cima scoprì che era piena di album di foto di suo padre. Posò il piccolino in cima alla scatola e la prese in braccio.

“Emily,” la chiamò Daniel. “Che stai facendo? Dobbiamo uscire prima che cada tutto quanto!”

“Arrivo,” rispose. “Ma non voglio lasciarle qui.”

Cercò di trovare un modo per prendere un’altra scatola, impilandola sotto alla prima e incastrandole entrambe sotto al mento, ma era troppo pesante e ingombrante. Non era possibile portare in salvo tutte le scatole con le fotografie.

Daniel la raggiunse. Sistemò il cane adulto sul pavimento, poi le fece un guinzaglio con una corda. Poi afferrò altre due scatole di foto della famiglia di Emily. Adesso avevano tutte e tre le restanti scatole di foto di suo padre, ma nemmeno una di Daniel.

“E le tue?” urlò Emily.

“Le tue sono più importanti,” rispose Daniel stoicamente.

“Solo per me,” rispose Emily. “E…”

Prima che potesse finire la frase il granaio cigolò in modo terrificante.

“Muoviamoci,” disse Daniel. “Dobbiamo andare.”

Emily non ebbe la possibilità di protestare. Daniel stava già correndo verso l’uscita, le braccia cariche delle preziose foto di famiglia di Emily a costo delle sue. Il suo sacrificio la toccò profondamente e non poté fare a meno di chiedersi perché continuava a mettere le necessità di Emily davanti alle proprie.

Mentre uscivano dal granaio, la pioggia li sferzava più feroce che mai. Emily riusciva a malapena a muoversi tanto il vento era forte. Combatté contro di esso, facendosi strada lenta attraverso il prato.

Improvvisamente uno schianto potentissimo venne da dietro. Emily urlò spaventata e si guardò alle spalle per vedere che la grande quercia a lato della proprietà si era strappata da terra ed era caduta dentro al granaio. Se l’albero fosse caduto solo un minuto prima, ne sarebbero stati entrambi colpiti.

“Un po’ troppo vicina, eh,” gridò Daniel. “Faremo meglio a tornare dentro più velocemente che possiamo.”

Riuscirono ad attraversare il prato e ad arrivare alla porta sul retro. Quando Emily la aprì, il vento ne strappò i cardini e la scagliò nel giardino.

“Presto, in soggiorno,” disse Emily chiudendo la porta che separava la cucina dal soggiorno.

Gocciolava di pioggia e lasciava grosse scie d’acqua sulle assi del pavimento. Andarono in soggiorno e misero il cane e i cuccioli sul tappeto vicino al focolare.

“Puoi accendere il fuoco?” chiese Emily a Daniel. “Devono congelare.” Strofinò le mani tra loro per riattivare la circolazione. “Io congelo.”

Senza la minima lamentela, Daniel si mise subito al lavoro. Un momento dopo un fuoco brillante riscaldava la stanza.

Emily aiutò i cuccioli a trovare la madre. Uno a uno cominciarono a prendere il latte, rilassandosi nel nuovo ambiente. Ma uno dei cuccioli non si unì al gruppo.

“Credo che questo sia malato,” disse Emily preoccupata.

“È il più piccolo,” disse Daniel. “Probabilmente non ce la farà a passare la notte.”

Emily era sul punto di piangere al pensiero. “Che cosa ne faremo di loro?” disse.

“Gli ricostruirò il granaio.”

Emily rise per prenderlo in giro. “Non ti sei mai occupato di un animale, vero?”

“Come l’hai capito?” rispose Daniel allegro.

Improvvisamente, Emily notò che c’era del sangue sulla canotta di Daniel. Veniva da un profondo taglio che aveva sulla fronte.

“Daniel, sanguini!” urlò.

Daniel si toccò la fronte poi guardò il sangue sulle sue dita. “Credo che sia stato un ramo. Non è niente, solo una ferita superficiale.”

“Lascia che ci metta sopra qualcosa così non si infetta.”

Emily andò in cucina a cercare il kit di primo soccorso. A causa del vento che entrava attraverso la voragine che aveva lasciato la porta, era molto più difficile muoversi in cucina di quanto si aspettasse. Il vento soffiava forte nella stanza, gettando ogni cosa non fissata a terra tutto intorno. Emily cercò di non pensare al disastro né a quanto sarebbe costato riparare i danni.

Alla fine trovò il kit di primo soccorso e tornò in soggiorno.

La madre aveva smesso di piangere e tutti i cuccioli stavano mangiando, eccetto il più piccolo. Daniel lo teneva tra le mani, cercando di convincerlo a mangiare. Qualcosa nella vista di Daniel le rimestò il cuore. Daniel continuava sorprenderla – dalla sua abilità nel cucinare, al suo delicato gusto per la musica, alla sua bravura nel suonare la chitarra, e alla sua manualità con un martello fino a questo, alla delicata attenzione nei confronti di una creatura indifesa.

“Nessuna fortuna?” chiese Emily.

Scosse la testa. “Non si mette bene per il piccoletto.”

“Dovremmo dargli un nome,” disse Emily. “Non dovrebbe morire senza un nome.”

“Non sappiamo neanche se è un maschio o una femmina.”

“Allora dovremmo dargli un nome unisex.”

“Cioè tipo Alex?” disse Daniel corrucciandosi per la confusione.

Emily rise. “No, volevo dire più come Rain, come pioggia.”

Daniel si strinse nelle spalle. “Rain. Funziona.” Rimise Rain con gli altri cuccioli. Si stavano tutti arrampicando per essere vicini alla madre, e il piccolo continuava a essere spinto via. “E gli altri?”

“Be’,” disse Emily. “Che ne dici di Storm, Cloud, Wind e Thunder.”

Daniel fece un largo sorriso. “Molto appropriati. E la madre?”

“Perché non le scegli tu il nome?” disse Emily. Lei aveva già scelto il nome per tutti i cuccioli.

 

Daniel accarezzò la testa della madre. Lei fece un suono contento. “Che ne dici di Mogsy?”

Emily scoppiò a ridere. “Non è molto in tema!”

Daniel si limitò a scrollare le spalle. “La scelta è mia, no? Io scelgo Mogsy.”

Emily fece un sorrisetto. “Certo. Scelta tua. E Mogsy sia. Ora lascia che ti dia un’occhiata a quella ferita.”

Sedette sul divano, guidando la testa di Daniel verso di lei con dita delicate. Gli scostò i capelli dal sopracciglio e si mise a disinfettare il taglio che gli attraversava la fronte. Aveva avuto ragione a dire che non era profondo, ma sanguinava abbondantemente. Emily usò parecchi cerotti per tenere insieme la ferita.

“Se sei fortunato,” disse incollandone un altro, “avrai una cicatrice figa.”

Daniel fece un sorrisetto. “Fantastico. Alle ragazze piacciono le cicatrici, no?”

Emily rise. Incollò l’ultimo cerotto. Ma invece di ritirarsi, le sue dita indugiarono lì, contro la sua pelle. Gli scostò un ciuffo ribelle dagli occhi, poi tracciò con i polpastrelli il contorno del suo viso, giù fino alle labbra.

Gli occhi di Daniel bruciavano lentamente dentro ai suoi. Allungò le braccia e le prese la mano poi le baciò il palmo.

Allora la afferrò e la portò giù dal divano e se la strinse al grembo. I vestiti fradici si schiacciarono quando lui premette la bocca sulla sua. Le mani di Emily percorsero il suo corpo su e giù, sentendo ogni parte di lui. Il calore tra i due si accese quando si liberarono l’uno con l’altra dei vestiti bagnati, e poi affondarono uno contro l’altra, muovendosi con ritmo armonioso, le loro menti così consumate uno dall’altra da non notare più la tempesta che infuriava fuori.