Tasuta

La Tempesta

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SCENA II

Un'altra parte dell'isola.

Entra CALIBANO con un fastello di legna.

Si ode rumoreggiare il tuono.

CALIBANO

Tutte le infezioni che dai botri, dalle paludi, dalli stagni sugge il sole, possan ricadere sopra Prospero ed ogni pollice del suo corpo coprir di pustole! Gli spiriti suoi m'odono e pur debbo maledirlo. Ma s'ei non lo comanda non verranno a pungermi nè a spaventarmi in loro visioni di démoni nè a farmi cader nei fossi, o come fuochi erranti a condurmi di notte fuori della mia strada. Per la più piccola cosa eccoli addosso a me! Simili a scimmie qualche volta m'irridono col loro stridere e mi perseguono ed al fine mi mordono; altre volte prendon forma di porcospini che sul mio cammino si arrotolano sì che le lor punte mi feriscono i piedi, e spesso ancora son circondato da serpenti, i quali con la forcuta lingua sibilando mi rendon pazzo. Ahimè, questo che viene è uno dei suoi spiriti che certo mi vorrà tormentar perchè son lento a portare la legna. Vo' cadere disteso al suol, che forse non mi scorge.

Entra TRINCULO.

TRINCULO

Non c'è nè un cespuglio nè un alberello qualunque per ripararsi dalle intemperie ed ecco che si prepara una tempesta: la sento brontolare nel vento e c'è laggiù una nuvola nera—quella grossa là—che sembra un vecchio oltre il quale sia per spandere il suo liquido. Se tonasse, come ha già fatto, non saprei nè meno dove nascondere il capo: quella nuvola là non ci risparmierà certo l'acqua a secchie! Cosa c'è, qui per terra? Un uomo o un pesce? È morto o è vivo? È un pesce: per lo meno puzza di pesce, un puzzo rancido di pesce passato; una specie di baccalà che non dovrebbe essere nè meno tanto fresco. Che pesce buffo! Se fossi ora in Inghilterra, come ci sono stato un tempo, e se avessi questo pesce solamente dipinto, non un baggiano, nei giorni di fiera, mi rifiuterebbe la sua moneta d'argento per vederlo. In quel paese, questo mostro arricchirebbe il suo uomo: ogni strana bestia arricchisce il suo uomo laggiù. Certo, non darebbero un centesimo per soccorrere un povero stroppiato, ma ne sborserebbero dieci per vedere un Indiano morto. Piedi come un uomo e natatoie per braccia! In parola d'onore, è caldo! Abbandono la mia prima opinione: la congedo definitivamente: non è un pesce ma un isolano che sarà stato colpito dal fulmine.

Si ode rumoreggiare il tuono.

Povero me, ecco la bufera che ritorna! Non ho di meglio da fare che nascondermi sotto il suo gabbano: non c'è altro riparo tutto intorno! La sventura vi fa trovare curiosi compagni di letto! Mi nasconderò là sotto finchè non sarà passato il tramestìo della tempesta.

Si nasconde sotto le vesti di Calibano.

Entra STEFANO cantando con una bottiglia in mano.

STEFANO
 
Non andrò più al mare, al mare, sulla spiaggia vo' morir….
 

È un ritornello adattatissimo per il trasporto di qualcuno: ma ecco la mia consolazione.

Beve.

Il Padrone, il nostromo, io stesso, i marinari

 
              il cannoniere e il servente
        Megg, Moll e Marietta amavano del pari
              ma non si curavan niente
        di Cate che un linguaggio aveva spudorato
              e al marinar diceva di sovente
                    "Sii appiccato".
        Il gusto del catrame non le piaceva punto
              nè della pece il sapore
        sì che un sarto qualunque potea graffiarla appunto
              dove sentisse il prudore.
            Dunque su, ragazzi, al mare
            e lasciatela impiccare!
 

Anche questa è una canzone poco allegra: ma ecco la mia consolazione.

Beve.

CALIBANO

Non mi tormentate…. oh….

STEFANO

Cosa c'è? Ci sono dei diavoli qui? È per farci qualche burletta che vi travestite da selvaggi e da uomini dell'India, eh? Non mi son salvato dall'affogamento per aver ora paura delle vostre quattro zampe; già che è stato detto: "L'uomo più forte che mai sia andato su quattro gambe, non cederà il terreno" e si ripeterà di nuovo, finchè Stefano respirerà col suo naso.

CALIBANO

Gli spiriti mi tormentano, oh….

STEFANO

Questo deve essere un qualche mostro a quattro zampe dell'isola, che avrà acchiappato la febbre. Dove diavolo può avere imparato la nostra lingua? Non fosse che per questo gli vo' recare qualche aiuto. Se mi riescirà a guarirlo lo addomesticherò e lo condurrò a Napoli con me: sarà un regalo degno di ogni imperatore che avrà messo i piedi nel cuoio di vacca.

CALIBANO

Non tormentarmi, te ne prego, il legno a casa porterò presto.

STEFANO

Deve avere un accesso perchè quello che dice non è molto ragionevole. Gli farò assaggiare la mia bottiglia: se non ha mai bevuto vino, questa bevuta sarà capace di levargli la febbre. Se potrò guarirlo e addomesticarlo, non lo curerò mai abbastanza già che farà rientrare il suo padrone nelle spese e presto, ve lo garantisco io.

Dà da bere a Calibano.

Non sapreste dire chi è il vostro amico: apri bocca un'altra volta.

Gli dà di nuovo da bere.

CALIBANO

Un gran male non mi farai, ma ancora un poco certo: lo veggo al tuo tremor; Prospero agisce sopra di te.

STEFANO

Vieni qua: apri bocca. Ecco qualcosa che ti snoderà la lingua, gatto mio. Apri bocca: ecco una cosa che ti leverà di dosso i brividi, te lo garantisco io.

Gli dà da bere.

Su, apri bocca.

TRINCULO

Riconosco questa voce: dovrebbe essere…. ma è affogato quello. Questi sono diavoli. Aiuto!

STEFANO

Quattro zampe e due voci: un mostro straordinario! La voce davanti è per dir bene del suo amico, senza dubbio, e quella di dietro per maledire e dire delle oscenità. Fosse pur necessario tutto il vino della mia bottiglia, lo guarirò. Vieni qua.

Gli dà di nuovo da bere.

Amen. Voglio versarne un poco anche nell'altra bocca.

TRINCULO

Stefano!

STEFANO

L'altra tua bocca mi chiama per nome? Aiuto! Aiuto! Questo è un diavolo e non un mostro.

TRINCULO

Stefano! Se tu sei Stefano toccami e parlami perchè io sono Trinculo: non aver paura, sono il tuo buon amico Trinculo.

STEFANO

E se tu sei Trinculo, vieni fuori. Ti tirerò per le gambe più corte: perchè se fra tante gambe ci sono le gambe di Trinculo, quelle sono le più corte.

Tira fuori Trinculo di sotto il mantello di Calibano.

Sei proprio Trinculo per davvero! Come diavolo hai fatto a servire di sedile a questo vitello? O che forse peta Trinculi?

TRINCULO

Credevo che fosse stato fulminato. Ma tu non sei affogato, Stefano? Io spero che tu non sia affogato. Mi ero nascosto sotto il gabbano di quel vitello, per paura della tempesta.

E tu sei vivo, Stefano? O Stefano, due Napoletani salvi!

STEFANO

Ti prego, non mi girare così intorno: il mio stomaco non è troppo solido.

CALIBANO

da sè.

Sono esseri assai belli se pur non sono spiriti. È un gran Dio costui che reca un suo liquor celeste. Mi voglio inginocchiare.

STEFANO

E come te la sei scampata? Come sei arrivato qui? Giurami su questa bottiglia come sei arrivato qui. Io mi son salvato sopra un barile di Xeres che i marinari avevano buttato in mare: lo giuro per questa bottiglia che mi son fabbricato con la scorza d'albero appena giunto a terra.

CALIBANO

Ed io su questa bottiglia giurerò d'esserti fido suddito: che non è cosa terrena il suo liquore.

STEFANO

Su via: raccontami come ti sei salvato.

TRINCULO

Nuotando come un'anitra, ragazzo mio. Io posso nuotare come un'anitra: te l'ho giurato.

STEFANO

E allora, qua: bacia il vangelo.

Gli dà da bere.

Se bene tu possa nuotare come un'anitra, non vuoi dire che tu non sia fatto come un'oca.

TRINCULO

O Stefano, ce ne hai dell'altro?

STEFANO

Tutto il barile, ragazzo mio. La mia cantina è in una grotta, sulla spiaggia del mare dove ho nascosto il mio vino. Come va, vitello, ti è passata la febbre?

CALIBANO

Sei sceso dal cielo?

STEFANO

Dalla luna, te lo dico io. Ero io che facevo l'Uomo nella luna.

CALIBANO

Io ti ho visto e ti adoro. La padrona mia m'insegnò a vederti ed il tuo cane e il fastello di spine.

STEFANO

Vieni qua: giuramelo e bacia il vangelo. La riempirò di nuovo. Giura.

Dà da bere a Calibano.

TRINCULO

Per questa buona luce: ecco un mostro di poca intelligenza. Io aver paura di lui? Un mostriciattolo da niente! L'Uomo nella luna! Un mostro credulone, via! Bravo mostro, succhi bene.

CALIBANO

Ogni più breve spazio fertile in questa isola, io voglio mostrarti. Ecco, ti bacio il piede: sii mio Dio.

TRINCULO

Per la luce: un mostro ubbriacone e pieno di perfidia. Quando il suo Dio si sarà addormentato gli ruberò la bottiglia.

CALIBANO

Ti bacio il piede e d'esser tuo suddito giuro.

STEFANO

Vieni dunque qua: in ginocchio e giura.

TRINCULO

Questo mostro dalla testa di cane mi farà morir dal ridere. Un mostro spregevole: sentirei quasi la voglia di picchiarlo.

 
STEFANO

Vieni qua: bacia.

Gli dà da bere.

TRINCULO

Il povero mostro è briaco: un abominevole mostro.

CALIBANO

Le più fresche fonti ti mostrerò, ti coglierò le bacche, saprò pescar per te, per te bastante legna metterò insieme. Che la peste venga al tiranno che ora servo! Invece verrò con te che sei meraviglioso.

TRINCULO

Un mostro ridicolissimo, che trasforma un povero ubbriacone in una meraviglia!

CALIBANO

Lascia, ti prego, ch'io ti porti dove sono i frutti selvatici; con l'unghie mie lunghe ti saprò scavare i bulbi; ti mostrerò dove la gazza ha il nido; t'insegnerò come si prenda al laccio la marmotta e saprò condurre te nei folti d'avellane e poi per te sniderò l'alche. E tu verrai con me?

STEFANO

Su via: apri il cammino senza più chiacchierare. Trinculo, siccome il Re e tutto il resto della compagnia sono affogati, noi ereditiamo quest'isola. Qui, portami la bottiglia: compagno Trinculo, fra poco la riempiremo.

CALIBANO

cantando con voce da ubbriaco.

 
Addio padrone! padrone addio….
 
TRINCULO

Un mostro cialtrone: un mostro ubbriaco!

CALIBANO
 
D'ora in avanti non più penare
            per pescare
        non più fardelli pe'l focolare.
        Piatti e stoviglie messi in cantone
            ban, ban Caliban
        ha nuovo servo nuovo padrone.
 

Libertà hey-dà; hey-dà libertà, libertà hey-dà-libertà…

STEFANO

Da bravo, mostro, apri il cammino.

Exeunt.

ATTO TERZO

SCENA PRIMA

D'innanzi alla grotta di Prospero.

Entra FERDINANDO recando un ceppo da ardere.

Son faticosi certi giuochi e pure l'incanto lor compensa la fatica e bassezze vi son che sopportare si posson nobilmente. Spesso a ricche conclusioni tendono le imprese più miserande. L'opera ch'io compio essere mi dovrebbe tanto grave quanto odiosa, ma colei che servo quel che è sterile fa vivo e trasforma le mie fatiche in contentezza. Oh dieci volte ella è più gentil di quel che sia burbero il padre suo, che pure è fatto d'asprezze! Per un suo tristo comando gli debbo accatastar mille di questi ceppi e la mia dolce signora piange quando mi vegga lavorare e dice che mai lavor sì vile ebbe un cotale lavoratore. Ecco io mi scordo e pure questi dolci pensier fanno più lieve il lavor mio, sì che quanto più penso tanto meno fatico.

Entra MIRANDA e in fondo PROSPERO.

MIRANDA

Ahimè, vi prego, non lavorate sì aspramente. Avesse arso il fulmine questi ceppi che ora dovete accatastar. Lasciate questo, vi prego, e riposatevi. Allorquando brucerà dovrà piangere d'avervi fatto stancare. Immerso nello studio è mio padre: vi supplico, lasciate di lavorare; per tre ore, almeno, ei non verrà.

FERDINANDO

Dolcissima signora, il sol tramonterà prima ch'io m'abbia compiuto il mio lavoro.

MIRANDA

Se vorrete sedervi i ceppi io porterò per voi. Datemi quello, ve ne prego, io stessa lo recherò sulla catasta.

FERDINANDO

No, o creatura preziosa, meglio spezzarmi i nervi e rompermi la schiena che lasciarvi compire un disonore simile mentre rimarrei seduto senza far nulla.

MIRANDA

Assai meglio che a voi mi converrebbe un tal lavoro. Il mio cuore lo anela e ben ripugna al vostro.

PROSPERO

a parte.

Avvelenato sei, povero verme: lo prova questa tua visita.

MIRANDA

Avete l'aspetto stanco.

FERDINANDO

O nobile signora, non è vero: per me siete un mattino fresco anche quando è notte. Ma vi prego, ditemi il nome vostro ch'io lo possa pronunziar nelle mie preci.

MIRANDA

Miranda. O padre mio, dicendolo, ai comandi vostri ho disobbedito ora.

FERDINANDO

O ammirata Miranda, o vetta d'ammirazione degna di quanto è più caro nel mondo! A molte dame il mio sguardo migliore ho rivolto e ben spesso l'armonia di lor parole ha reso schiavo il mio udito troppo pronto. Per diverse virtù, diverse donne ho amato e mai con anima sì piena, poichè sempre qualche difetto in lor si combatteva con le grazie più elette, rimanendo vittorioso. Ma, per contro, voi, oh voi, così perfetta e senza pari siete l'eccelsa d'ogni creatura!

MIRANDA

Io non conosco alcuna del mio sesso nè rammento alcun volto femminile all'infuori del mio visto allo specchio. E fra quelli che posso nominare uomini, solo ho visto voi—l'amico mio buono—e il caro padre. Come sono gli umani volti, fuor di qui, lo ignoro, ma la modestia mia, solo gioiello della mia dote, non vuol altro al mondo compagno fuor di voi, nè il mio pensiero immaginar potrebbe un'altra forma a voi diversa ch'io potessi amare. Ma forse troppo follemente io parlo ed i precetti di mio padre oblio.

FERDINANDO

Principe io son—Miranda—per la mia nascita e—non lo voglia Iddio—fors'anco Re; nè vorrei questo portar di legna sopportare così come a una mosca delle carogne, non permetterei di pungermi le labbra. Ora ascoltate parlar l'anima mia: dal primo istante ch'io vi scorsi, il mio cuore in servitù vostra si venne e quivi esso è rimasto a farmi schiavo ed è solo per voi che qui rimango a trasportar la legna con pazienza.

MIRANDA

Voi mi amate?

FERDINANDO

Oh cielo, oh terra, siate testimoni a queste parole e coronate con felice evento quel che sto per dir, se dico il vero e se menzogna è quello ch'io esprimo, sia pur quanto di fortuna m'è riserbato, convertito in duolo. Oltre tutti i confin di ciò che è il mondo io vi ho cara e vi venero e vi adoro.

MIRANDA

piange.

Sono folle di piangere per cosa che mi rende felice.

PROSPERO

da sè.

O buon incontro di due nobili cuori. Il cielo piova la grazia sua sul sentimento nato fra loro due!

FERDINANDO

Ma perchè mai piangete?

MIRANDA

Perchè non sono degna d'offerirvi quel che darvi vorrei, nè prender quello che morirei di perdere. Ma questi son futili discorsi e più la mia affezione vuol celarsi e più gigantesca si mostra. Indietro, o vana timidezza! mi sia guida soltanto l'innocenza mia semplice ed onesta. Sarò la moglie vostra se vorrete sposarmi o morirò vostra fantesca. Che compagna vi sia, voi ben potete ricusare ma pur vi sarò serva che lo vogliate o no.

FERDINANDO

La mia più cara signora e come sono adesso, sempre umile innanzi a voi.

MIRANDA

Dunque, mio sposo?

FERDINANDO

Sì e con tal volonteroso cuore quanto la servitù mai non è stata di libertà. Prendi la mano.

MIRANDA

Ed ecco la mia con tutto il core in essa. Ed ora addio per poco.

FERDINANDO

Mille e mille dolci cose!

Exeunt da vie diverse.

PROSPERO

Certo, non posso esser sì lieto quanto lo sono loro due colpiti da egual stupore in uno stesso tempo: ma il mio contento è grande quanto più essere non potrebbe. Al libro mio ritornerò, che prima della cena molto da oprar mi resta.

Exit.

SCENA II

Un'altra parte dell'isola.

Entrano CALIBANO, STEFANO e TRINCULO che reca una bottiglia.

STEFANO

Non mi seccare: quando il barile sarà vuoto beveremo l'acqua: ma non una gocciola prima. Per conseguenza: fermi e all'abbordaggio. Servo-mostro: bevi alla mia salute.

TRINCULO

Servo-mostro! La pazzia di quest'isola! Dicono che non abbia che cinque abitanti e siamo in tre: se gli altri due hanno delle zucche come le nostre, addio stato!

STEFANO

Bevi, servo-mostro, te l'ordino io. Hai quasi gli occhi nella testa.

Calibano beve.

TRINCULO

E dove vorresti che gli avesse? Sarebbe, da vero, un bel mostro se gli avesse sulla coda.

STEFANO

Il mio mostro-domestico ha affogato la sua lingua nel vino. In quanto a me il mare non mi potrebbe affogare: prima di toccare la spiaggia ho notato trentacinque leghe in lungo e in largo, quanto è vera la luce! Tu sarai il mio tenente-mostro, oppure il mio alfiere.

TRINCULO

Meglio il vostro tenente: non può essere un alfiere.

STEFANO

Vogliamo correre, Monsieur Mostro?

TRINCULO

Nè correre nè andare al passo: vi accuccerete come cani e non saprete dire nè meno una parola.

STEFANO

Parla almeno una volta in vita tua, mio bel vitello, se sei un vitello davvero!

CALIBANO

Come stai, Signoria? Lascia ch'io lecchi le tue scarpe. Costui, non vo' servirlo: egli non è valente.

TRINCULO

Tu mentisci, o mostro ignorante: mi sento capace di fare ai pugni con uno sbirro. Ma, dimmi un poco, pesce svergognato, un uomo che ha bevuto tanto vino quanto ne ho bevuto io può essere un codardo? Vuoi proprio dirci una mostruosa bugia, tu che sei mezzo pesce e mezzo mostro?

CALIBANO

Ahimè, si burla di me? Lo lascerai dire, o signore?

TRINCULO

Ti ha chiamato signore: si è mai visto un mostro così ingenuo?

CALIBANO

Ahimè, di nuovo, ahimè: mordilo fino a che ne muoia, te ne prego.

STEFANO

Trinculo, cerca di aver in bocca una buona lingua, se non vuoi conoscere il primo albero come ribelle! Il povero mostro è mio suddito e io non permetterò che sia insultato.

CALIBANO

Grazie, mio nobile signore. Vuoi tu ancora udire quello che ti ho già narrato?

STEFANO

Ma certo: mettiti in ginocchio e ripeti la tua storia. Starò in piedi, con Trinculo, ad ascoltarti.

Entra ARIELE invisibile.

CALIBANO

Come ti ho detto, son sottomesso ad un tiranno, mago, che per l'incanto delle sue malie di quest'isola mia m'ha derubato.

ARIELE

Tu mentisci.

CALIBANO

Mentisci tu, pagliaccio di uno scimmione, tu! Vorrei che il mio valoroso signor ti sterminasse. Io non mentisco.

STEFANO

Trinculo, se lo interrompi un'altra volta, ti farò saltare qualche dente con questa mano.

TRINCULO

Ma se non ho detto nulla!

STEFANO

Zitto dunque e non una parola.

A Calibano.

Tira avanti.

CALIBANO

Con le sue malie mi ha rubato quest'isola, dicevo me l'ha rubata. Se la tua grandezza vuol di lui vendicarmi—io so che osarlo tu puoi, ma non costui….

STEFANO

Questo è vero.

CALIBANO

Sarai signore di tutto quanto ed io ti servirò.

STEFANO

E come si potrà fare? Mi ci puoi condurre tu?

CALIBANO

Sì, sì, signore mio: mentre ch'ei dorme te lo farò vedere e nella sua testa potrai ben conficcargli un chiodo.

ARIELE

Tu mentisci: non lo puoi fare.

CALIBANO

Che scemo quel fantoccio! O tu pagliaccio rognoso! Io prego vostra signoria di picchiarlo e di togliergli la sua bottiglia. Non potrà più bere quando non ce l'avrà, se non l'acqua marina, chè non gli mostrerò le fresche fonti.

STEFANO

Trinculo, non scherzare col pericolo! Se interrompi un'altra volta questo mostro, lascio da parte la compassione e con le mie proprie mani ti riduco come un baccalà.

TRINCULO

Ma cosa ho fatto? Se non ho fatto nulla! Me ne vado via, ecco.

STEFANO

O non hai detto che mentiva?

ARIELE

Tu mentisci!

STEFANO

Ah mentisco? E tu prendi questo.

Dà un pugno a Trinculo.

Se ti è piaciuto, smentiscimi un'altra volta.

 
TRINCULO

Io non ti ho smentito. Hai perduto il cervello e le orecchie? Maledetta la vostra bottiglia, è tutta colpa del vino e della ubriachezza. Che la peste si prenda il vostro mostro e il diavolo le vostre dita.

CALIBANO

ridendo.

Ah! ah! ah! ah!

STEFANO

E ora tira avanti, col tuo racconto. Allontanati, ti prego.

CALIBANO

Picchialo ancora un po': fra qualche tempo anch'io lo picchierò.

STEFANO

Più in là: prosegui.

CALIBANO

Ecco, come ti dissi, è suo costume di dormire nel pomeriggio. Allora quando i libri gli avrai tolti, potrai schiacciargli il cranio o rompergli la testa con un ceppo, o sventrarlo con un palo, o tagliargli la gola con il tuo coltello. Ma però, prima, rammenta d'impossessarti dei suoi libri. Senza di quelli ei non è altro che uno sciocco al par di me, nè ha più spirito alcuno al suo comando: l'odian tutti come io l'odio. Ma brucia soltanto i libri e serba i suoi belli utensili—in questo modo li chiama—con i quali ei vuole adornarsi una casa quando l'abbia. Ma più di tutto pensa alla bellezza di sua figlia: egli stesso la proclama "senza eguali". Non ho mai visto donna all'infuori di Sicorax, mia madre, e di lei: ma però questa sorpassa Sicorax, come una cosa più grande sorpassa una più piccola.

STEFANO

Ella è dunque una ragazza così bella?

CALIBANO

Certo, signore mio: ti garantisco ch'ella ti sarà di buon letto e ti darà bellissimi figliuoli.

STEFANO

Mostro! io ammazzerò quell'uomo. Sua figlia ed io, saremo il Re e la Regina—Dio salvi le nostre Maestà—e Trinculo e tu stesso sarete i miei vicerè. Ti piace la congiura, Trinculo?

TRINCULO

Eccellente.

STEFANO

Dammi la mano: mi dispiace di averti picchiato.

Ma finchè vivi, rattieni la lingua.

CALIBANO

Fra mezz'ora si sarà addormentato: hai tu deciso di ucciderlo?

STEFANO

In parola mia d'onore.

ARIELE

Lo dirò al mio padrone!

CALIBANO

Tu mi rendi felice, io sono pieno di gioia: ci vogliamo divertire. Volete un po' riprendere quel canto che poco fa mi insegnavate?

STEFANO

Voglio accordarti tutto quel che mi chiedi, mostro: tutto quanto, tutto. Vieni qua, Trinculo, cantiamo.

 
Canzoniamoli e snidiamoli, sì, snidiamoli e canzoniamoli: il pensiero è libero….
 
CALIBANO

Questa non è la stessa musica.

Ariele suona la musica col flauto e col tamburo.

STEFANO

Cos'è quest'eco?

TRINCULO

È l'aria della nostra canzone, suonata dal ritratto di Nessuno.

STEFANO

Se sei un uomo fatti vedere come sei; se sei un diavolo fatti vedere come ti pare.

TRINCULO

Oh, perdono per i miei peccati!

STEFANO

Quello che muore paga tutti i suoi debiti: io ti sfido. Aiuto!

CALIBANO

Hai paura?

STEFANO

No, mostro, no.

CALIBANO

Non avere timor: l'isola è piena di rumori e di dolci arie che danno piacere e non fan male. Qualche volta di ben mille strumenti odono il rombo le orecchie mie: qualche altra volta sento voci, che se mi sveglio dopo un lungo sonno, mi fan riaddormentare e allora mi sembra di veder sognando nubi che squarciandosi mostran gran ricchezze pronte a piovermi addosso, tanto che se allora mi svegliassi, piangerei per sognare di nuovo.

STEFANO

Questo prova che è un buon regno per me, dove potrò avere la musica per niente.

CALIBANO

Quando Prospero sarà ucciso.

STEFANO

Lo sarà fra poco: mi rammento la tua storia.

TRINCULO

Il suono si allontana: andiamogli dietro e poi faremo il nostro affare.

STEFANO

Facci la strada, Mostro, e ti seguiremo. Mi piacerebbe di vedere il tamburino: Deve avere una buona mano.

TRINCULO

Vengo con te, Stefano.

Exeunt.