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Il re del mare

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– Tanto osate?

– E devo aggiungere un’altra cosa che ti farà stupire.

– Quale?

– Che quel pellegrino che ci diede tanto da fare era un emissario del figlio di Suyodhana.

– Tu dici…

– Quando saremo a bordo del Re del Mare ti spiegheremo meglio. Vorrei ora sapere se nessuno ti disse mai che Suyodhana avesse un figlio.

– Mai ne ho udito parlare e poi, come capo dei thugs, non poteva ammogliarsi. Sicchè sarebbe stato lui a muoverci la guerra?

– Sembra, e appoggiato dagli inglesi e dal rajah di Sarawak.

– E come gli inglesi possono aver accordata protezione al figlio d’un thug perchè venga a misurarsi con noi che abbiamo estirpata quella piaga che disonorava l’India?

– È un mistero che noi non siamo riusciti a spiegare.

– E dove si trova quell’uomo?

– Ecco un altro mistero, mio caro Tremal-Naik. Speriamo in qualche luogo d’incontrarlo e di fargli fare la fine di suo padre. Signor Horward!

La scialuppa era giunta presso la barcaccia e l’americano era salito prontamente in coperta.

– Tutto bene, signor Yanez?

– Meglio non la poteva andare. Avete la massima pressione?

– Da un’ora.

– Ed i prigionieri?

– Sembrano conigli.

– A bordo, ragazzi.

Aiutò Darma a salire sulla barcaccia, poi tutti si issarono sulla tolda.

– Sbrighiamoci, – disse Yanez.

Fece slegare uno ad uno gli indiani che formavano l’equipaggio della barcaccia, fece scivolare nelle tasche del sergente un pugno di sterline e li fece scendere nella scialuppa dicendo loro:

– Il capitano Moreland vi aspetta sulla spiaggia. Portate a lui i miei saluti ed i miei ringraziamenti per la bella barca a vapore che mi ha regalato. Signor Horward, a tutto vapore.

L’americano fece fischiare ripetutamente la macchina, come un ironico saluto agli indiani della scialuppa, e la barcaccia, sbarazzata dell’ancora, filò rapidamente verso l’uscita della baia.

Yanez, affidata la barra del timone a Sambigliong, si era collocato a prora assieme a Tremal-Naik e scrutava attentamente le tenebre per cercare di discernere la nave di Sandokan, che doveva incrociare a non molta distanza dalla costa.

Dovendo però avere i fanali spenti non era cosa facile scoprirla.

– Si sarà portata più al largo a menochè non siano avvenute delle novità durante la mia assenza, – disse Yanez a Tremal-Naik che lo interrogava. – Da un praho che veniva da Labuan abbiamo saputo che una squadriglia d’incrociatori inglesi ha lasciato Victoria per darci la caccia.

– Che Sandokan li abbia incontrati?

– Avremmo udito il cannone e poi Sandokan non è un uomo da lasciarsi sorprendere, specialmente colla nave che possiede. Vedo laggiù delle scorie accese alzarsi. È il Re del Mare! Signor Horward, caricate le valvole!

La barcaccia, che era davvero una buona camminatrice, s’avanzava sempre più rapida sul tenebroso mare, lasciandosi a poppa una scia che talvolta diventava luminosa per effetto d’un principio di fosforescenza.

Ad un tratto una massa enorme, che scivolava sulle acque con un sordo fragore, comparve dinanzi alla scialuppa a vapore sbarrandole la via, mentre una voce formidabile gridava:

– Puntate il pezzo di prua!

– Alt! – aveva comandato prontamente Yanez. – Ehi, Sandokan, cala la scala. Sono le tigri di Mompracem che tornano!

La barcaccia, che aveva rallentato il cammino, abbordò l’enorme nave presso l’anca di tribordo, sotto la scala che era stata abbassata d’un colpo solo.

3. Un combattimento terribile

Sandokan attendeva Yanez ed i prigionieri sulla cima della gradinata, a fianco d’una bellissima fanciulla dalla pelle leggermente abbronzata, i lineamenti dolci e fini, gli occhi nerissimi ed i capelli assai lunghi, intrecciati con nastrini di seta e che indossava il pittoresco costume delle donne indiane.

Alcuni uomini dalla tinta olivastra, che indossavano le bianche divise della marina da guerra, illuminavano la scala con delle grosse lanterne.

Yanez pel primo era giunto sulla tolda, tendendo una mano al terribile pirata e l’altra alla giovane indiana.

– Nulla? – aveva chiesto la Tigre della Malesia con ansietà.

– Eccoli, – avea risposto Yanez.

Sandokan avea mandato un grido e si era slanciato verso Tremal-Naik, mentre Darma si gettava fra le braccia della giovane indiana, esclamando:

– Surama! Non credevo più mai di rivederti!

– Nel quadro, miei cari amici, – disse Sandokan, dopo d’essersi stretto al petto l’indiano e di aver baciato sulle gote Darma. – Abbiamo mille cose da dirci.

– Un momento, Sandokan, – disse Yanez, arrestandolo. – Fa’ mettere la prora al nord e risaliamo a piccolo vapore verso la seconda foce del Redjang. Vi è un leopardo nero che ci aspetta lassù e che se non lo assaliamo ci guasterà i nostri piani. Si dice che sia molto forte.

– Una nave?

– Sì e che a quest’ora si prepara per darci la caccia.

– Ah! – fece Sandokan, quasi con noncuranza. – Domani ci sbarazzeremo di quell’importuno.

Chiamò Sambigliong e l’ingegnere di macchina e diede loro alcuni ordini, poi scese nell’elegante salotto del quadro con Tremal-Naik, Darma e Surama che s’appoggiava dolcemente a Yanez, il suo sahib bianco.

Quando ebbe appreso l’esito della spedizione e quand’ebbe spiegato a Tremal-Naik tuttociò che era accaduto dopo il combattimento avvenuto sulle coste del Borneo, dell’acquisto della potente nave americana e della dichiarazione di guerra lanciata contemporaneamente all’Inghilterra ingenerosa ed al nipote di James Brooke, disse:

– Non sono già le squadre inglesi, che non tarderanno a darci la caccia, nè la flottiglia del rajah di Sarawak che m’inquietano: è sempre il mistero che avvolge il figlio del tuo antico nemico, mio caro Tremal-Naik. Dove si nasconde quell’uomo che ha dato una rara prova della sua potenza, distruggendo per opera del pellegrino, le tue piantagioni e le tue possessioni? Quando ci assalirà? Che cosa sta tramando costui? Io non temo nessuno, eppure quell’uomo che non abbiamo mai veduto, che non sappiamo nè dove sia nè che cosa stia preparando, mi preoccupa, più che la presenza d’una squadra inglese.

– Non avete raccolta nessuna notizia su di lui? – chiese Tremal-Naik, che pareva non meno preoccupato del formidabile pirata.

– Abbiamo interrogato parecchie persone durante la nostra corsa verso il sud avendo fermato parecchi velieri di Sarawak, e senza riuscire a sapere dove sia quell’uomo.

– Non sarà già uno spirito.

– Si mostrerà una volta o l’altra, – disse Yanez. – Se vuole farci la guerra e vendicare la morte di suo padre, non rimarrà già eternamente nascosto.

– Che cosa conti di fare intanto, Sandokan? – chiese Tremal-Naik.

– Di cominciare le ostilità col dare battaglia a quella nave che si tiene ancorata alla foce del Redjang. Giacchè abbiamo dichiarata la guerra diamo segno di farla davvero.

– Volete affondarla? – chiese Darma con un tono di voce che fece trasalire Yanez.

– La distruggerò, Darma, – rispose freddamente Sandokan.

Il portoghese, che la guardava attentamente, la vide leggermente impallidire e gli parve che un lieve sospiro le fosse uscito dalle labbra, ma fu tutto, poichè la fanciulla non ribattè parola alla terribile sentenza di morte pronunciata dal formidabile pirata contro la nave di sir Moreland.

Tutti si erano alzati per risalire in coperta. Surama aveva presa per una mano Darma, dicendole:

– Lasciamo fare agli uomini e tu vieni a riposarti nella mia cabina. Ho fatto preparare un bel lettino per te, perchè ero sicura di rivederti presto.

La figlia di Tremal-Naik sorrise senza rispondere e la seguì nell’interno del quadro.

Quando Sandokan, Tremal-Naik e Yanez furono in coperta, tutti gli uomini erano ai loro posti di combattimento, avendo Sambigliong avvertito le tigri di Mompracem che l’incrociatore si preparava ad assalire una grande nave nemica. I fanali di posizione erano stati accesi e le batterie illuminate e raddoppiato il personale del timone. I quattro enormi pezzi da caccia, disposti in barbetta, a prora e a poppa entro torri giranti difese da piastre di ferro di spessore considerevole, erano già stati caricati.

Un colpo di vento avendo dispersi nuovamente i vapori che ingombravano il cielo, cacciandoli verso il sud, le stelle erano riapparse, sicchè un vago chiarore si era diffuso nelle nere acque del vasto golfo di Sarawak, chiarore che permetteva di poter facilmente distinguere una nave, anche se navigasse coi fanali spenti.

Il Re del Mare s’avanzava a piccolo vapore, per non consumare troppo combustibile, anzi Sandokan, per maggior economia, aveva fatto spiegare le vele basse sul trinchetto e sull’albero maestro, essendo il vento abbastanza fresco e non del tutto sfavorevole. Dopo i consigli del capitano americano, il formidabile pirata era diventato eccessivamente economico nel consumo del combustibile, non potendo provvedersi in alcun porto dopo l’audace dichiarazione di guerra, e durante la traversata fra Labuan e il golfo di Sarawak non aveva fatto uso che delle vele, manovra d’altronde più familiare ai suoi uomini, quantunque non pochi di loro fossero stati già istruiti nel servizio delle macchine dagli americani rimasti a bordo.

Yanez e Tremal-Naik, appoggiati alla murata di prora, il cui capo di banda era stato imbottito da amache arrotolate per riparo dei fucilieri, scrutavano attentamente l’orizzonte, mentre Sandokan visitava le batterie e i pezzi per vedere se tutto era in ordine.

A levante le coste apparivano confusamente, diventando sempre più elevate di miglio in miglio che s’avvicinavano al dirupato e altissimo promontorio di Sirik, che chiude verso occidente la vasta baia o golfo di Sarawak. Nessun lume però brillava, quantunque in quei luoghi si trovasse la cittadella di Redjang.

 

La notte trascorse così in una continua esplorazione, senza risultato alcuno, ma appena cominciò a diffondersi un po’ di luce, si udì subito la voce della vedetta installata sulle crocette del trinchetto a gridare a squarciagola:

– Fumo a levante!

Yanez, Tremal-Naik e Sandokan si erano subito issati sulle griselle di babordo del trinchetto, innalzandosi fino alla coffa e videro subito, là dove il mare pareva confondersi col cielo, un pennacchio di fumo alzarsi nettamente nella limpida atmosfera mattutina.

– Viene dalla foce del Redjang, – disse Yanez. – Scommetterei cento sterline contro una sigaretta che quella è la nave di sir Moreland.

– L’hai veduta tu quella nave? – chiese Sandokan a Tremal-Naik.

– No, – rispose l’indiano. – Mi hanno detto però che stava completando le sue provviste di carbone alla foce del secondo braccio del Redjang.

– Vi è un deposito di combustibili colà?

– Udii a parlare d’un praho carico di carbone mandato da Sarawak. Non deve esservi nemmeno una misera borgata su quelle spiaggie.

– Peccato, – disse Sandokan.

– Ma io ho udito a raccontare che ve n’è uno alla foce del Sarawak invece, su di un’isoletta e dove va a provvedersi la squadra del rajah.

– Chi te lo ha detto?

– sir Moreland.

– Se ci va la squadra del rajah, possiamo bene andarci anche noi, è vero Yanez?

– E senza pagarlo, – rispose il portoghese, che non dubitava mai di nulla. – Ecco la prora che comincia ad emergere. Muovono su di noi, Sandokan, ed a tutto vapore. Devono aver scorto anche essi il nostro fumo.

Sandokan si levò da una tasca un cannocchiale, lo allungò più che potè e lo puntò sulla nave il cui scafo si cominciava a distinguere anche a occhio nudo.

– Una bella nave infatti, – disse. – Lo si direbbe un incrociatore e di forte tonnellaggio. Vedo molti uomini a bordo.

– Corre su di noi? – chiese Yanez.

– A tiraggio forzato, credo. Teme che noi scappiamo. No, mio caro, non ne abbiamo alcun desiderio. È qui che noi cominceremo le ostilità.

– Lo caleremo a fondo?

– Mi rincresce pel capitano, – disse Tremal-Naik. – Contraccambiamo molto male la sua ospitalità.

– Dorata, ma senza libertà, – disse Yanez.

– Prepariamoci, – disse Sandokan.

Scesero in coperta, dove s’incontrarono con Darma e con Surama che erano allora salite.

– Ci attaccano, mio sahib?– chiese l’indiana a Yanez.

– E farà molto caldo qui fra poco, Surama, – rispose il portoghese.

– Noi vinceremo, è vero?

– Come abbiamo vinti i thugs di Suyodhana.

– È la nave di sir Moreland? – chiese Darma, con una certa ansietà, che non isfuggì all’astuto portoghese.

– Almeno lo supponiamo.

Poi, prendendola per un braccio e traendola verso la torre di prora, le chiese, sorridendo:

– Che cos’hai Darma? È già la terza volta che, udendo parlare del capitano, mi sembri commossa.

– Io! – esclamò la fanciulla, arrossendo leggermente. – Vi siete ingannato, signor Yanez.

– Per Giove! Che la vecchiaia mi abbia indebolita la vista?

– Oh no, ci vedete ancora troppo bene.

– Allora?

Darma volse il capo verso il mare, fissando i suoi sguardi sulla nave nemica, che forzava la sue macchine e dicendo:

– È una grossa nave anche quella.

– Che non varrà la nostra – rispose Yanez.

– Costringetela ad arrendersi piuttosto che affondarla. Potrebbe esservi utile.

– Se è comandata da sir Moreland non abbasserà la bandiera. Quell’uomo, quantunque giovane, deve essere un valoroso e si batterà finchè tutto il suo equipaggio non sarà distrutto.

– E non accorderete quartiere a nessuno?

– Quando la nave calerà a picco vedremo di salvare i superstiti, te lo prometto, Darma. Ritirati nella cabina con Surama. Qui stanno per piovere le granate.

La voce formidabile, sonora come lo squillo d’una tromba, della Tigre della Malesia, echeggiò in quel momento sul ponte:

– A tutto vapore, ingegnere di macchina! Pronti pei fuochi di bordata! Dietro le brande i fucilieri!

La nave avversaria che doveva essere fornita di macchine poderose, non era più che a duemila metri e muoveva diritta sul Re del Mare delle tigri di Mompracem, come se avesse avuto intenzione di speronarlo o per lo meno di abbordarlo.

Era un bell’incrociatore e fornito di sperone, con tre alberi e due ciminiere. Pareva che fosse potentemente armato a giudicarlo dal numero dei suoi sabordi e anche in coperta si scorgevano parecchi pezzi, ma non protetti da torri blindate come quelli delle tigri di Mompracem.

Dietro le murate e perfino sulle coffe si vedevano numerosi fucilieri e sul ponte di comando parecchi ufficiali.

– Ah! – disse Sandokan, che lo contemplava con occhio tranquillo. – Vuoi misurarti pel primo colle tigri di Mompracem? Siamo pronti a riceverti.

Mentre le due fanciulle sgombravano rapidamente la coperta rifugiandosi nel quadro di poppa, Sandokan, Yanez e Tremal-Naik si ritrassero nella torretta di comando dove potevano mettersi in comunicazione col personale di macchina.

Gli artiglieri americani, assieme ai migliori puntatori malesi, attendevano dietro ai loro pezzi col cordone tira-fuoco in mano.

Ad un tratto una detonazione scoppiò al largo, mentre un getto di fuoco sfuggiva da uno dei due pezzi di prora dell’incrociatore. Si udì un rauco sibilo, che s’avvicinava rapidissimo attraverso gli strati d’aria, poi una vampa s’alzò sull’orlo della prima torretta di babordo del Re del Mare, mentre delle schegge passavano sibilando sopra i fucilieri appiattati dietro le murate.

– Granata da dodici pollici! – aveva esclamato Yanez. – Buon tiro!

La voce di Sandokan si fece udire subito.

– Artiglieri, non vi trattengo più!

I due pezzi da caccia di prora avvamparono nell’istesso tempo, mentre quelli della batteria di tribordo, trovandosi a buon tiro, tuonavano a loro volta con rimbombo tale da far tremare tutta la nave.

L’incrociatore, che aveva già guadagnato altri cinquecento metri e che manovrava in modo da presentare all’avversario il suo fianco di babordo, fu sollecito a rispondere.

Palle e granate cominciavano a cadere in gran numero su entrambi i vascelli, scrosciando lungo i fianchi di ferro e scheggiando i ponti, smussando i pennoni e massacrando le manovre.

Le granate, scoppiando, lanciavano in alto getti di fuoco, minacciando ad ogni istante di incendiare le alberature.

I fucilieri, coricati dietro le murate, a loro volta avevano aperto il fuoco, facendo delle scariche nutrite.

Una fitta nuvola di fumo avvolgeva le due navi, rotta da lampi, mentre il fracasso era diventato così formidabile da soffocare la voce dei comandanti.

La nave americana, meglio protetta, meglio armata e anche più rapida, e montata da un equipaggio ormai incanutito fra il fumo delle battaglie, aveva buon gioco contro l’avversario.

Le sue poderose artiglierie battevano terribilmente l’incrociatore, coprendolo di fuoco e di ferro, demolendogli le murate, massacrando le sue manovre e aprendogli fori considerevoli nello scafo.

Invano la povera nave, che aveva creduto di annientare facilmente i pirati di Mompracem, cercava di tener testa a quell’uragano di ferro che cadeva sui suoi ponti con un orrendo frastuono, facendo strage degli artiglieri della coperta e dei fucilieri. Le sue palle rimbalzavano sulle piastre metalliche del Re del Mare e le sue granate non riuscivano a demolire le torri blindate, dietro le quali gli artiglieri di Mompracem, sotto la direzione dei quartiermastri americani, sparavano al sicuro.

Sandokan aveva fatto ritirare sotto coperta i suoi fucilieri, avendo compresa l’inutilità di quegli uomini, necessari sui prahos, ma non su simili navi, e aveva dato il comando di muovere addosso all’incrociatore per dargli l’ultimo colpo.

Il Re del Mare, quasi ancora incolume, nonostante il furioso e ininterrotto cannoneggiamento dell’avversario, si era slanciato innanzi descrivendo una immensa curva attorno all’incrociatore che si era fermato.

A quattrocento metri gli scaricò addosso una terribile bordata coi pezzi del ponte e quelli di babordo, demattandolo e rasandolo come un pontone.

Perfino le due ciminiere erano rovinate in coperta, divelte da due granate scoppiate alla loro base.

– È finito, – disse Yanez. – Intimiamogli la resa.

– Se si arrenderanno, – rispose Sandokan.

Lasciò che il vento diradasse il fumo e fece innalzare sulla cima dell’alberetto maestro la bandiera bianca. La risposta fu una bordata che fulminò metà dei timonieri del Re del Mare.

– Non ne avete abbastanza? – gridò Sandokan. – Calatelo a fondo! Fuoco! Fuoco senza tregua!

Il cannoneggiamento ricominciò con un crescendo spaventevole. Il Re del Mare continuava la sua rapida corsa circolare opprimendo il disgraziato incrociatore sotto un fuoco spaventevole.

La nave americana faceva meraviglie. Pareva un vulcano avvampante, pronto a tutto distruggere.

L’incrociatore nondimeno opponeva una resistenza eroica, quantunque ormai fosse ridotto ad un ammasso di rovine. I due pezzi della coperta, smontati da quella grandine di granate, non rispondevano più.

Il ponte era pieno di morti e di feriti mescolati a pezzi di murate, a pennoni spaccati, a lembi di manovre cadute dalle alberature sotto gli ultimi uragani di mitraglia ordinati da Sandokan.

Getti di fuoco correvano da prora a poppa, illuminando sinistramente il mare, mentre dagli ombrinali di babordo e di tribordo sfuggivano getti di sangue.

La nave si sfasciava sotto i colpi furiosi, mortali del Re del Mare.

– Basta! – gridò ad un tratto Yanez, che dalla torre di comando assisteva a quella strage. – Cessate il fuoco! Le scialuppe in mare!

Sandokan che guardava freddamente, terribilmente impassibile, si volse verso il portoghese, dicendogli:

– Che cosa comandi, fratello?

– Che il massacro cessi.

La Tigre della Malesia ebbe un momento di esitazione, poi rispose:

– Hai ragione: salviamo i superstiti. Quegli uomini o meglio il loro comandante è un eroe! Mettete in acqua le scialuppe!

4. Sir Moreland

L’agonia dell’incrociatore, agonia terribile e spaventevole era cominciata.

Il mostro fumante esauriva vanamente le sue ultime forze tentando ancora, con gli ultimi tiri delle sue artiglierie, di colpire a morte il suo formidabile avversario che lo aveva vinto.

Quella splendida nave che rappresentava forse l’unità più forte della squadra del rajah di Sarawak, non era più che un ammasso di rovine, che le fiamme ormai a poco poco divoravano, mentre l’acqua lo invadeva per trascinarlo nei profondi abissi del mare.

I suoi fianchi, squarciati dalle granate e dagli obici perforanti della poderosa nave americana, parevano un crivello; le sue murate ed i suoi alberi non vi erano più; le sue batterie non offrivano più alcun rifugio agli ultimi superstiti.

Vampe gigantesche irrompevano furiosamente attraverso i boccaporti spalancati e gli squarci della coperta, con cupi fragori, allungandosi smisuratamente e lanciando in aria nembi di scintille e nuvoloni di fumo, i quali formavano al di sopra della nave come un immenso ombrello.

L’incrociatore affondava lentamente, cappeggiando, nondimeno i suoi artiglieri non cessavano di sparare cogli ultimi pezzi rimasti ancora in batteria, mentre i suoi fucilieri mantenevano ancora, quantunque ridotti a meno della metà, un fuoco vivissimo colle carabine, balzando come tigri attraverso la coperta fiammeggiante ed incoraggiandosi con degli urrà selvaggi.

Nonostante il fuoco della nave affondante, fuoco d’altronde male diretto per l’agitazione dei tiratori, la scialuppa a vapore e le tre baleniere del Re del Mare erano state subito calate in acqua, per raccogliere gli ultimi superstiti nel momento in cui la nave sarebbe mancata sotto i loro piedi.

Yanez aveva assunto il comando della barcaccia che era stata equipaggiata con quattordici rematori, mancando il tempo di accendere il forno; Sambigliong comandava invece le altre.

Darma e Surama che erano salite in coperta, vedendo le vampe avvolgere la disgraziata nave, gridavano:

– Salvateli! Salvateli, signor Yanez! Affondano!

Le quattro scialuppe avevano preso rapidamente il largo, muovendo verso l’incrociatore. I pochi uomini che ancora montavano la nave, vedendo che i loro avversarii muovevano in loro soccorso, avevano cessato il fuoco e cominciavano a gettarsi in acqua per sfuggire alle fiamme e per evitare il pericolo di saltare in aria.

La barcaccia fu la prima ad approdare l’incrociatore. Yanez, non curante del fumo e della pioggia di scintille, salì rapidamente la scala che era abbassata e si slanciò verso il ponte di comando insieme ad una mezza dozzina di malesi.

 

Cercava di salvare sir Moreland, innanzi a tutto, se le granate del Re del Mare lo avevano risparmiato.

Stavano aprendosi il passo fra i rottami e i cadaveri che ingombravano la coperta, quando avvenne una esplosione a prora che li scaraventò tutti in mare.

Il colpo fu così forte che Yanez, che era stato proiettato presso una della baleniere, svenne. Fortunamente i malesi l’avevano veduto piombare in acqua ed ebbero il tempo di ripescarlo quasi subito e di trarlo sulla barcaccia che si era accostata.

L’incrociatore, sventrato a prora, calava rapidamente, Sambigliong e gli uomini delle scialuppe che erano subito saliti a bordo, ridiscendevano precipitosamente, portando dei feriti che avevano sottratti con grandi pericoli ai turbini di fuoco.

La nave calava. Le sue murate ben presto scomparvero e le onde invasero bruscamente la coperta spazzandola dal cassero alla ruota di prora e soffocando d’un sol colpo le fiamme.

La barcaccia e le baleniere fuggivano a tutta forza di remi mentre intorno alla nave s’allargava un gorgo gigantesco.

La bandiera di Sarawak mostrò ancora per un momento, ai raggi del sole, i suoi colori, poi s’inabissò.

Tutto era finito! L’incrociatore scendeva, fra i muggiti del vortice gigante, negli abissi del golfo.

Le quattro scialuppe, sfuggite a tempo all’attrazione del gorgo scavato dalla nave, superata una gigantesca muraglia liquida che si estendeva con mille fragori sul mare, tornavano frettolosamente verso il Re del Mare che fumava a cinquecento metri dal luogo del disastro.

La superficie del golfo era ingombra di rottami e di cadaveri.

Casse, barili, pezzi di fasciame e di tramezzate ondeggiavano in tutte le direzioni.

Sambigliong si era subito occupato del portoghese, mentre altri s’affaccendavano intorno ad un giovane ufficiale che era stato salvato nel momento in cui la nave stava per scomparire e che sembrava fosse stato gravemente ferito, avendo la giubba inzuppata di sangue.

Yanez fortunatamente non aveva riportata alcuna lesione nello scoppio. Più che altro era rimasto stordito dall’improvvisa volata e dal frastuono prodotto dall’esplosione.

Ed infatti alla prima sorsata di ginepro fattagli inghiottire dal dayako, tornò subito in sè e aprì gli occhi.

– Come vi sentite, signor Yanez? – gli chiese Sambigliong con apprensione.

– Sono tutto scombussolato e pesto, ma mi pare che nulla vi sia di rotto, – rispose il portoghese, sforzandosi a sorridere. – E la nave?

– Affondata.

– E sir Moreland?

– È qui, nella baleniera. L’abbiamo salvato per miracolo.

Yanez si alzò senza aver bisogno dell’aiuto del dayako.

Il giovane comandante dell’incrociatore giaceva sul fondo della barcaccia, col petto denudato, il volto pallidissimo e chiazzato di sangue e gli occhi chiusi.

– Morto! – esclamò.

– No, rassicuratevi, ma la ferita che ha riportato al fianco deve essere grave.

– Chi l’ha colpito? – chiese Yanez con ansietà. – Tu, Sambigliong?

– Io! No, signor Yanez, è l’esplosione che lo ha ridotto in quello stato. Qualche frammento di granata gli ha aperto il fianco.

– Presto! A bordo!

– Ci siamo già, signor Yanez.

Le quattro scialuppe avevano abbordato il Re del Mare presso la scala, la quale era stata già abbassata.

Fu lasciato il posto alla barcaccia.

Due uomini presero delicatamente il comandante dell’incrociatore sempre svenuto e colle dovute precauzioni salirono la scala, seguìti da Yanez e da quattordici marinai dell’incrociatore, i soli superstiti strappati alle onde.

Sandokan, che aveva assistito impassibile alla distruzione della nave avversaria, li attendeva sulla cima della scala.

Vedendo il capitano ed i marinai del rajah, levò il turbante, dicendo con voce grave:

– Onore ai valorosi.

Poi strinse silenziosamente la mano a Yanez.

Darma che si trovava a qualche passo insieme a Surama, pallidissima, profondamente commossa dall’orribile scena svoltasi sotto i suoi occhi, si era avanzata verso i marinai che trasportavano il disgraziato comandante.

– Egli è morto, è vero? – chiese con voce rotta.

– No, – rispose Yanez. – Pare però che la ferita sia grave.

– Oh, mio Dio! – esclamò la giovane.

– Silenzio, – disse Sandokan. – Fate largo al valore sfortunato. Si porti il comandante nella mia cabina.

Con un gesto che non ammetteva replica, arrestò Darma e Surama, poi seguì i marinai nel quadro, insieme a Yanez e a Tremal-Naik.

Il medico di bordo, un americano che, come i macchinisti e i quartiermastri cannonieri, aveva accettato l’offerta fattagli da Sandokan di rimanere a bordo fino alla fine della campagna, era subito accorso.

– Venite, signor Held, – gli aveva detto Sandokan. – Il comandante dell’incrociatore pare assai aggravato.

– Farò il possibile per salvarlo, signore, – aveva risposto l’americano.

– Conto su di voi.

Entrarono nella cabina, dove sir Moreland era già stato deposto sul ricco letto del pirata.

– Aspettate i miei ordini nel corridoio, – disse Sandokan ai due marinai, – e che gli infermieri si tengano pronti.

Il medico aveva denudato interamente sir Moreland. Non aveva che una sola ferita, quella al fianco, ma era orribile.

Il proiettile che lo aveva colpito, qualche frammento di granata di certo, aveva lacerate le carni per una lunghezza di venti centimetri, scavando una specie di solco. Il sangue scorreva a fiotti dalla laceratura, minacciando di dissanguare rapidamente il ferito.

– Che cosa ne dite, signor Held? – chiese Yanez, fissandolo come se avesse voluto indovinargli il pensiero.

– La ferita è più dolorosa che grave, – rispose il medico. – Ha perduto molto sangue, però questo inglese è robusto.

– Non potreste garantirmi la sua guarigione?

– La vita di quest’uomo non corre alcun pericolo, ve l’assicuro.

Sandokan stette un momento silenzioso, guardando lo smorto viso dell’inglese, poi disse come parlando fra sè:

– Meglio così: quest’uomo potrebbe un giorno esserci utile.

Stava per uscire, quando un profondo sospiro, seguìto da un rauco gemito, sfuggì dalle labbra scolorite dell’inglese.

Il dottore aveva messe le mani sulla ferita per riunire le due labbra ed a quel contatto il comandante dell’incrociatore aveva trasalito, poi aperto gli occhi.

Girò all’intorno uno sguardo semi-spento, arrestandolo prima sul dottore, poi su Yanez, che stavagli dall’altra parte del letto.

Le sue labbra si schiusero, poi mormorò con un filo di voce:

– Voi!…

– Non parlate, sir Moreland, – disse il portoghese. – Il dottore ve lo proibisce.

Il comandante fece col capo un gesto negativo, poi raccogliendo tutte le sue forze, disse ancora e con voce più chiara quantunque spezzata:

– La… mia… spada… è rimasta… sulla… mia… nave…

– Non l’avrei accettata, signore, – disse Sandokan. – Mi rincresce solo che sia affondata colla nave, perchè non posso restituirvela. Voi siete un valoroso ed io vi stimo.

Il giovane con uno sforzo supremo alzò la destra porgendola al suo avversario, il quale gliela strinse delicatamente.

– I miei… uomini? – chiese ancora sir Moreland, mentre una rapida commozione gli alterava il viso.

– Ne abbiamo salvati… basta, non affaticatevi.

– Grazie… – mormorò il ferito.

Poi s’abbandonò richiudendo gli occhi: era nuovamente svenuto.

– A voi, dottore, – disse Sandokan.

– Non dubitate, signore, lo curerò come fosse vostro figlio. A me gli infermieri!

Mentre gli uomini richiesti entravano con disinfettanti, rotoli di cotone fenicato e numerose bottigliette, Sandokan rifece lentamente le scale, con Yanez e Tremal-Naik, rimontando in coperta.

Darma che li aspettava sulla porta del quadro, s’appressò al portoghese.

– Signor Yanez, – gli sussurrò, sforzandosi di rendere la sua voce ferma.

Il portoghese la guardò per qualche istante senza rispondere, poi sorrise e le strinse silenziosamente la mano.

– Lo salveranno? – chiese Darma con angoscia.

– Lo spero, – rispose Yanez. – T’interessa molto quel giovane, Darma?

– È un valoroso…

– Sì e qualche cosa di più anche.

– Se guarirà, lo terrete prigioniero?

– Vedremo che cosa deciderà Sandokan; ma è probabile.

Darma raggiunse Surama che si era un po’ scostata, mentre Yanez s’accostava a Sandokan che stava parlando animatamente con Tremal-Naik.

– Che cosa ti pare di quel giovane? – gli chiese.

– È quello che comandava il forte di Macrae?